DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nel comunicato diramato in varie lingue dopo i “fatti di Parigi” 1, abbiamo ricordato che le guerre che hanno imperversato negli ultimi decenni in modo particolare “non sono certo guerre etniche o religiose, né guerre per affermare questo o quel preteso 'principio di nazionalità', ma guerre per difendere ed estendere gli interessi economici nazionali”. Soprattutto, sono “atti di guerra contro il proletariato mondiale”. Un giovane simpatizzante che frequenta una delle nostre sezioni ha chiesto di precisare meglio che cosa s'intende per “atti di guerra contro il proletariato mondiale”. Gli abbiamo risposto che, per prima cosa, le vittime immediate, i grandi numeri di questi massacri (e di quelli che seguiranno inevitabilmente, fino a un prossimo terzo macello mondiale), sono masse proletarie o in via di proletarizzazione: non è una novità, e continuerà a essere una sanguinosa realtà finché il modo di produzione capitalistico trascinerà la propria esistenza scatenando conflitti, esportando e utilizzando armi di distruzione di massa. Ci par di sentire, a questo punto, l’obiezione dello “statitisco”: “Be’, non saranno poi tutti proletari quelli che rimangono uccisi nelle guerre!”. Certo che no; ma a noi la “statistica”, nel suo cinico indifferentismo, non interessa: sotto le rovine di città e paesi distrutti, restano nella grande totalità coloro che non possono sfollare in zone sicure e che comunque devono tirare a campare sotto i bombardamenti e i rastrellamenti; e le migliaia e migliaia di profughi, ormai privi di ogni mezzo di sussistenza, in fuga da vere e proprie terre bruciate potranno anche non essere, all’anagrafe, proletari puri, ma tali sono destinati a divenire...

Non si tratta dunque di sola statistica, di conta dei morti. Questi massacri (come d'altra parte gli episodi di “terrorismo diffuso”, opera di questa o quell’organizzazione, al soldo di questo o quell'interesse locale o nazionale o inter-nazionale) sono atti di guerra contro il proletariato mondiale anche in un altro senso, forse più sottile, meno appariscente e sanguinoso, ma dalle conseguenze non meno devastanti. Questi massacri non fanno altro che rinfocolare ed esasperare le divisioni all'interno del proletariato lungo linee etniche, religiose, linguistiche, culturali – divisioni già alimentate dagli sviluppi stessi (ineguali, contraddittori, distruttivi) del capitalismo a livello mondiale, specie nella sua fase imperialista. Sono atti di guerra praticati a livello ideologico, sovrastrutturale, ma le loro ricadute sono ben materiali, concrete: la paura, la diffidenza, il sospetto, l'odio nei confronti del diverso, dello straniero, dell’immigrato, si traducono in azioni e reazioni a livello sia individuale che collettivo, sia istintivo che istituzionale; e reclamano o giustificano i provvedimenti che gli Stati via via introducono a livello legislativo: ulteriori strumenti d'intimidazione e repressione, oggi rivolti contro potenziali o equivoci “terroristi”, ma domani pronti all’uso nei confronti di proletari che possano imboccare la strada non democratica dell’antagonismo di classe.

Non solo. I contrasti inter-imperialistici, tra fazioni borghesi in lotta fra di loro per strapparsi fette di rendita e plusvalore, in quella guerra di tutti contro tutti che è il capitalismo, hanno la loro maledetta ricaduta anche nelle stesse lotte che i proletari sono costretti a ingaggiare con padroni e Stato, per “vendere cara la propria pelle”: le guerre fra Stati o tra fazioni borghesi, che infiammano aree più o meno periferiche, si riflettono cioè negativamente anche dentro gli schieramenti in lotta, suscitano altre divisioni, altre incomprensioni, altre ostilità – altra guerra fra poveri. Già ne abbiamo avuto esempi: sia quando, in certe fasi della mobilitazione all’interno della logistica, in Italia, lavoratori egiziani pro-Morsi si sono scontrati con lavoratori egiziani pro-Al Sisi indebolendo in maniera determinante un fronte di lotta, sia quando settori di proletari vengono strumentalizzati pro o contro altri settori, sulla base di quanto sta avvenendo “in patria”. Le guerre alimentano il nazionalismo, e il nazionalismo è uno strumento di preparazione alle guerre: agisce per mettere proletari contro proletari, e soprattutto per legare i proletari alla Nazione, per farne sudditi obbedienti in base ai credo religiosi e alle affiliazioni politiche, alla retorica patriottica o religiosa, per trasformarli in carne da cannone che opera all’insegna della sublime consegna capitalistica “morte tua, vita mia”.

Atti di guerra contro il proletariato mondiale: sia nelle carni straziate di centinaia di migliaia di proletari attuali e futuri sia nelle perversioni nazionaliste e razziste, quanto sta succedendo nel mondo – le guerre, le stragi, gli attentati, le esplosioni di collera e le vendette, e le loro variegate coperture e ricadute ideologiche, mediatiche e politiche – non può essere definito in altro modo.

1 Vedi il n.6/2015 di questo giornale e il nostro sito www.internationalcommunistparty.org.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista)

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