DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

In un articolo che dovrebbe commentare lo scontro in atto fra Confindustria e CGIL (CISL e UIL latitanti?), a firma di Marco Valerio Lo Prete, vice-direttore de Il foglio, leggiamo:

Alla Cgil, secondo cui la contrattazione aziendale non potrà che ingenerare un impoverimento dei lavoratori, la Confindustria risponde utilizzando un concetto basilare dell’economia come il valore aggiunto. Quest’ultimo, in generale, è pari alla differenza tra il valore dei beni o servizi prodotti da un certo ente o sistema produttivo e il valore dei beni e servizi che quello stesso sistema produttivo acquisisce dall’esterno. Diciamo che il valore aggiunto è la differenza tra output produttivi e input necessari alla produzione. Da qui il suo nome: esso rappresenta infatti il valore che i fattori produttivi utilizzati dall’impresa, capitale e lavoro, hanno ‘aggiunto’ agli input acquistati dall’esterno, in modo da ottenere una data produzione. Come calcolare la quota di valore aggiunto dovuta al lavoro e quella dovuta al capitale? Il valore aggiunto di un settore industriale, come abbiamo detto, è uguale ai ricavi di quel settore al netto delle spese per i beni e servizi intermedi. La quota riconducibile al fattore lavoro è pari al rapporto tra il costo totale del lavoro – composto da retribuzioni lorde, contributi sociali a carico delle imprese e altri oneri da  esse sostenuti (per esempio: forme  di  welfare  aziendale) – e lo stesso  valore  aggiunto. La quota del capitale si ricava  come  residuo  di  quella  del  lavoro. Il fatto che il valore aggiunto di un settore industriale, per esempio, possa essere suddiviso tra quello che è generato dal capitale e quello che è generato dal lavoro, fa sì che la quota di valore aggiunto costituisca anche l’indicatore principale per determinare se la distribuzione del reddito in un certo periodo sia andata a favore del lavoro o del capitale1.

Il nostro acuto vice-direttore, dopo alcune righe iniziali, diventa molto serio, pronto com’è a sciorinarci una perla di economia (“economia politica”, s'intende): perentorio, egli afferma infatti che passerà alla disamina di un “concetto basilare dell'economia” (niente po’ po’ di meno!), un concetto fondativo di tutta l'intelaiatura concreta e ideologica dell'economia. E quale sarebbe questo basilare concetto? “Il valore aggiunto”.

Ma allora esiste un “valore aggiunto”? “Da qui il suo nome: esso rappresenta infatti il valore che i fattori produttivi utilizzati dall’impresa, capitale e lavoro, hanno 'aggiunto' agli input acquistati dall’esterno, in modo da ottenere una data produzione.” Non sembra puzzare di vetero-marxismo, il nostro vice-direttore? Ma no, si rassicuri! non corre alcun rischio! Si tratta invece della mistificazione di cui scrive Marx nel cap. II del Libro terzo del Capitale, che vorrebbe far “coincidere” il profitto con il plusvalore. Riassumiamo. Nel plusvalore, è messo a nudo il rapporto tra capitale e lavoro, non l’eccedenza realizzata nel processo di circolazione sul prezzo di costo della merce. Qui, invece, si vorrebbe fare altrettanto con il “valore aggiunto”: quel “qualcosa” creato dal “fattore lavoro” e… dal “fattore capitale” messi insieme.

Nel caso di produzione d’imprese che realizzano beni e servizi diversi (si chiamano merci!), l’economia borghese ricorre, è vero, a tale concetto (concetto!?): ma si tratta, propriamente, della somma delle “appropriazioni violente” da parte dei proprietari dei fattori produttivi (mezzi di produzione, materie prime, materie ausiliarie), la cui derivazione è quella data dalla formula insegnata ai bambini delle elementari: guadagno=ricavo-spese. C’è un input, il capitale investito, e c’è un output, il fatturato, e c’é la differenza tra output e input, ovvero questo “valore aggiunto”. Aggiunto da quali fattori? Il nostro vice-direttore vorrebbe dividere la quota riconducibile al fattore lavoro e al fattore capitale con la stessa saggezza salomonica, cioè dando alle due donne una metà del bambino da loro richiesto! Dove si trovano il tempo di lavoro necessario (salario) e il tempo di lavoro non pagato (plusvalore), di cui scrive Marx? Che cos’ha in comune il rapporto tra valore aggiunto e costo totale del lavoro con il saggio di sfruttamento (plusvalore), che è il rapporto tra tempo di lavoro non pagato e tempo di lavoro necessario? Nulla. Si tratta del classico vaneggiare di chi proprio non vuol capire.

In questa breve proposizione, si nasconde tutta la menzogna ideologico-economica sulla quale si erge il sistema di potere del Capitale. Infatti, il nostro portavoce confindustriale pare accettare il nocciolo della questione: il lavoro umano produce nuovo valore; ma subito dopo dimentica di concludere che l'appropriazione privata da parte di un numero ristretto di persone del prodotto totale del lavoro umano non ha alcuna giustificazione economica. Per puntellare il proprio ragionamento con una pezza teorica, egli inserisce fra i creatori di nuovo valore non solo i lavoratori,ma anche i fattori del capitale che al contrario, come nell'intera sua opera Marx dimostra (il capitale costante, fisso o circolante), nella produzione di merci non instillano neanche una goccia di nuovo valore.

Ma perdoniamo il nostro vice-direttore: egli non può dircela tutta, perché, se lo facesse, dovrebbe anche ammettere che il prelievo di plusvalore da parte della borghesia è ingiustificato, e ciò lo metterebbe nell'imbarazzante posizione di dover dichiarare tale prelievo un furto: troppo, veramente troppo, per chi in fondo ricopre la carica di vicedirettore del Foglio... Stia comunque sereno, il Nostro: lo comprendiamo, parla con la voce del padrone. – e non potrebbe essere altrimenti

A noi piace invece sottolineare come nemmeno il Capitale possa negare la fondatezza delle ragioni scientifiche dell’analisi materialistica. Ora tocca al proletariato mondiale riconoscere quelle ragioni e por termine al furto che si perpetua da almeno due secoli e mezzo!

 

1 Marco Valerio Lo Prete, “Cosa è davvero in gioco nella disputa tra Confindustria e sindacati sui contratti aziendali”, Il Foglio, 12/10/2015.

 

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