DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Quello che doveva essere il bastione della democrazia occidentale (e proprio per questo gli si perdonava un alto grado di autoritarismo), sta velocemente piombando in una spirale di “incontrollata” violenza. La mattina di sabato 10 ottobre, alcuni “ignoti” si sono fatti esplodere di fronte alla stazione dei treni di Ankara, mentre iniziavano numerosi gli arrivi di manifestanti per il corteo a sostegno del partito filo-curdo Hdp e della democrazia in generale. Bilancio provvisorio: un centinaio di morti, almeno tre volte tante le persone ferite e fra queste molte in condizioni gravissime.

La strage costituisce l'ennesimo episodio di una tremenda spirale (non dimentichiamo che la strage del 10 ottobre è stata preceduta da un’altra analoga il 20 luglio, con trenta morti). Il potere “paternalistico” di Erdogan, fulgido negli anni della crescita economica che caratterizzava l'inizio della sua ascesa, ora traballa e inizia a scricchiolare in maniera sinistra, dopo anni di crisi mondiale (e dunque anche turca). Presentatosi come l'alternativa islamica moderata, accettabile e accettata dalle cancellerie occidentali (tutte – va ricordato – democrazie “cristiane”!), dopo aver messo all'angolo i militari grazie al proprio peso elettorale, il presidente turco ha pensato di poter aspirare al potere massimo, organizzando una campagna di opinione e soprattutto di atti legislativi, che ha avuto l’effetto di limitare enormemente l'agibilità politica delle forze avverse, politiche e sociali.

Ma la realtà materiale ha presentato il conto al “bene amato” presidente: prima, la protesta delle donne turche contro la richiesta, neanche tanto velata, che si comportassero in pubblico in modo decoroso (cioè, senza dispensare sorrisi!); poi, l’episodio di Gezi Park, con l'esplosione soprattutto dei giovani e della piccola borghesia; quest’estate, il grandioso sciopero degli operai di Bursa (e non solo) 1; infine, gli esiti altalenanti delle ultime elezioni, che pur vedendo il partito del presidente vincitore con la maggioranza dei voti, hanno avuto due risvolti negativi (per il presidente, il suo partito e il blocco di potere che essi rappresentano): tale maggioranza non è poi sufficiente al cambio della costituzione senza compromessi politici e in parlamento è entrato un partito apertamente filo-curdo.

A questi fatti, il governo turco ha replicato ammonendo severamente le donne, reprimendo con furore i giovani, applicando un “saggia” equidistanza nei confronti degli operai in rivolta e attaccando senza preavviso le forze del PKK con la rottura di una ormai decennale tregua. Tutto questo sul fronte interno. Nella proiezione estera, la Turchia si è trovata, suo malgrado, a dover intervenire pesantemente sullo scacchiere mediorientale, vista la situazione creatasi in Siria. Nell'affrontare la questione, il governo turco ha pensato bene, almeno per una lunga fase iniziale, di appoggiare più o meno apertamente le schiere dell’ISIS in funzione anti-siriana e anti-iraniana: sicura della propria potenza, la Turchia ha tentato così di giocare alla gatta col topo con gli jiadisti. Negli ultimi tempi, però, ha dovuto fare una brusca retromarcia, dimostrando che la gatta, perso di vista il topo, aveva lasciato lo zampino nella trappola siriana. Sommersa dai migliaia e migliaia di profughi, messa di fronte a un teatro di guerra che vede un complesso e inestricabile conflitto di tutti contro tutti condotto da decine di soggetti diversi (ovvero, di fronte alla necessità di dichiarare apertamente la guerra), la Turchia è venuta a più miti consigli e, smesso il presunto ruolo di potenza regionale autonoma, si è nuovamente e momentaneamente riaccodata all’antica appartenenza NATO, ai sempiterni americani (peccato che gli stessi risultino, a loro volta, molto confusi). In tutte queste giravolte, ampio e copioso è stato l'uso della repressione, delle armi e del versamento di sangue, soprattutto di proletari curdi, massacrati dall’esercito turco. Questo, in massima sintesi, il quadro.

Ecco il frangente in cui si è consumata la strage di Stato. Ora, è del tutto inutile perdersi nella cronaca spicciola e nelle supposizioni circa gli agenti materiali del fatto, se l’ISIS (quest’equivoca formazione utile a tutti per montare e scaricare rabbia e frustrazione, per far pendere piatti della bilancia da questa o quella parte, per mandare segnali e messaggi, nei conflitti inter-imperialistici, di tutti contro tutti, che stanno crescendo in intensità) o chi altri. Sappiamo bene (l’esperienza secolare ce l’insegna) che il potere statale borghese ha a disposizione diversi metodi per provocare o commettere atti simili: c’è il subdolo suggerimento (o ricatto) a menti esaltate e già predisposte, c’è il pilatesco lavarsi le mani ben sapendo quel che sta per accadere, c’è il rozzo agire in prima persona sacrificando i “propri” uomini, e via di seguito. La domanda non è mai “chi è stato?”, ma piuttosto “chi ci ha guadagnato?”.

Una cosa è tuttavia certa: la classe dominante turca, attraverso il governo e il presidentissimo, non ha certo lavorato, in tutti questi anni, per il compromesso fra le varie forze politiche e sociali: figuriamoci per una pacificazione! E’ stata anzi la prima ad alzare il livello dello scontro e della violenza. Altrettanto indubbio è poi il fatto che una situazione di
“pericolo estremo” interno ed esterno può “giustificare”, agli occhi del… diritto borghese, la richiesta di uno stato di emergenza e di pieni poteri al presidente, “riformando” nei fatti (se non nelle sacre pergamene della legge) la costituzione in senso più apertamente “fascista”.

Nel frattempo, i sindacati hanno dichiarato lo sciopero generale, che, come effetto della strage, si propone come “sciopero politico”. Staremo a vedere...

 

1 Cfr. il nostro articolo “Dalla Turchia, un episodio di genuina lotta proletaria”, Il programma comunista, n.4/2015. Si leggano anche gli articoli da noi dedicati alla situazione turca: “Turchia oggi”, nn.1 e 3-4/2014.

 

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                                                                           (il programma comunista)

 

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