DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Un ingenuo sentimentalismo può far pensare che le spinte che costringono la nostra classe alla rottura dell'ordine sociale si concentrino e si concludano in un unico grande momento insurrezionale che ci permetta in un colpo solo di eliminare la borghesia e il modo di produzione capitalistico. Niente di più sbagliato.

La rivoluzione è un processo nel quale il momento insurrezionale (quello cui ci si prepara con l'azione di guida del Partito Comunista e che porta all'abbattimento dello Stato e alla disarticolazione di tutte le istituzioni con cui la borghesia esercita la sua dittatura), è solo il primo indispensabile passaggio. Da quel momento, con l’istituzione e l’estensione del dominio della nostra classe, comincia il lavoro di abbattimento di un modo di produzione che ha fatto il suo tempo.

E’ proprio da quel turbinoso 1848 parigino ed europeo, quando prepotentemente i comunisti, con il Manifesto del Partito Comunista, indicarono la via all'organizzazione proletaria, che si rende evidente come la direzione di questo processo non possa essere lasciata all'improvvisazione.

Il Comunismo è il movimento che cambia lo stato di cose esistente solo se trova uomini e donne che lo sappiano indirizzare perché conoscono scientificamente, materialisticamente, il cammino e la finalità dello stesso: militanti del partito rivoluzionario. “La rivoluzione comunista è la più radicale rottura coi rapporti di proprietà tradizionali; nessuna meraviglia, quindi, se nel corso del suo sviluppo avviene la rottura più radicale con le idee tradizionali”.

Nella parte conclusiva del capitolo “Proletari e comunisti” del Manifesto del Partito Comunista, quella che indica anche gli obiettivi transitori e immediati di una lotta che ha ancora qualcosa in comune con radicali borghesi e piccolo-borghesi, è chiaro lo scopo per cui reclamiamo il potere dittatoriale della nostra classe. Leggiamo: “Abbiamo già visto sopra che il primo passo sulla strada della rivoluzione operaia consiste nel fatto che il proletariato si eleva a classe dominante, cioè nella conquista della democrazia”.

Immediatamente, il Manifesto pone il limite e il compito di questa “democrazia conquistata”, ci dice quale funzione politica essa possiede: “Il proletariato adopererà il suo dominio politico [ecco qua: fin dal 1848, la “conquistata democrazia” altro non è che dominio, dittatura di classe – quella stessa dittatura diretta dal Partito Comunista che si renderà prepotentemente necessaria nell'esempio della Comune del 1871 e ancor più prepotentemente internazionale nell'esperienza del Rosso Ottobre del 1917] per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioè il proletariato organizzato come classe dominante, e per moltiplicarne al più presto possibile la massa delle forze produttive.

Questo, nel 1848: nel frattempo, la borghesia ha ingigantito le forze produttive, ha centralizzato l’immenso suo potere. A noi il compito, dopo quello militare (strapparle quel potere e difenderlo contro tutti i suoi tentativi di riprenderselo), di risanare le condizioni di esistenza dell’umanità di specie, finalmente liberata dall’oppressione economica e sociale.

Ma andiamo avanti: “Naturalmente, ciò può avvenire, in un primo momento, solo mediante interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, cioè per mezzo di misure che appaiono insufficienti e poco consistenti dal punto di vista dell'economia; ma che nel corso del movimento si spingono al di là dei propri limiti e sono inevitabili come mezzi per il rivolgimento dell'intero sistema di produzione”.

E ancora: “Quando le differenze di classe saranno scomparse nel corso dell'evoluzione, e tutta la produzione sarà concentrata in mano agli individui associati, il pubblico potere perderà il suo carattere politico. In senso proprio, il potere politico è il potere di una classe organizzato per opprimerne un'altra. Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe dominante attraverso una rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le condizioni di esistenza delle classi in genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe. Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra una associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti”.

Dunque, un processo certo non breve, che comporta per l’appunto la difesa del potere conquistato, l’estensione geografica della dinamica rivoluzionaria, la distruzione violenta dei vecchi rapporti di produzione e infine la riorganizzazione completa dell’intero tessuto sociale… Altro che “la bella giornata”, come vorrebbero anarchici e affini!

 

  Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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