DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Se mai fosse possibile misurare il tasso di schifo prodotto da questa società del profitto e dello sfruttamento, certo uno (ma solo uno!) dei criteri più efficaci sarebbe quello di vedere come sono trattati i migranti: i profughi, i senza riserve, i “miseri” vittime della legge ferrea della “miseria crescente”, quell'esercito di disperati che fugge da fame, carestie, disoccupazione, guerre, dissesti dell'ambiente, disastri “naturali”, e chi più ne ha più ne metta. Dall'Africa, martirizzata da secoli di colonialismo prima e penetrazione imperialista poi; dal Medio Oriente, stravolto da guerre endemiche frutto del continuo, spietato ridisegno delle geografie da parte delle principali potenze mondiali; dall'Oriente, attraversato dagli sconvolgimenti di un'impetuosa e travolgente capitalistizzazione; dall'America Centrale e Meridionale, dove abbondano i frutti velenosi di un capitalismo ormai stramaturo – da tutte queste aree del mondo si riversano fuori, a milioni, proletari, semi-proletari, sotto-proletari, in cerca di... di che cosa se non della nuda e precaria sopravvivenza?

Per capire chi sono e perché la loro condizione sia disperata non c'è bisogno di impiastricciarsi con la melassa buonista versata a secchiate da un Papa che si affanna per prendere il posto di un riformismo socialistoide ormai sfiatato e incapace di svolgere in pieno il proprio ruolo di controllo e imbottimento dei crani. Si vada piuttosto a leggere o rileggere il Libro Primo, Sezione Prima, del Capitale di Marx: “La ricchezza delle società, nelle quali domina il modo di produzione capitalistico, si presenta come una ‘enorme raccolta di merci’; la merce singola, come la sua forma elementare”. Un’enorme raccolta di merci: prodotti del lavoro, frutti della terra, capacità fisiche e intellettive, esseri umani… Tutto è merce, tutto è sfruttamento e speculazione, nel modo di produzione capitalistico. E, per l'appunto, l’orrenda tragedia dei migranti lo urla al cielo. Essi sono il “sovraprodotto” di un modo di produzione che conosce solo l'imperativo categorico del produrre e produrre e produrre ancora, per poter vendere e ricavare profitti. E che quindi, a cicli periodici, entra in sovrapproduzione e non sa come “piazzare” le merci prodotte in eccesso – se non distruggendole, di volta in volta in piccole dosi o in giganteschi ammassi. Esseri umani come merci, che si acquistano e si vendono sul mercato, che servono al capitale come manodopera a buon mercato per tenere bassi i salari dei paesi dove riescono ad approdare, e di cui ci si disfa il più presto possibile quando non servono più. E' una lunga storia, nata quando è nato il capitalismo: è la storia dei proletari irlandesi e indiani all'epoca della rivoluzione industriale, e degli altri milioni di proletari che li han seguiti ovunque – merci per nutrire la vorace macchina produttiva capitalistica, scaraventate da un capo all'altro del mondo in cerca di... sappiamo bene di che cosa: nuda e precaria sopravvivenza. Verso l'Inghilterra, e poi verso l'Australia e verso l'America – e oggi verso tutto il mondo, perché tutto il mondo è ormai sotto il tallone di ferro del capitalismo nella sua fase imperialista.

Barconi strapieni navigano le acque del Mediterraneo e dell'Oceano Indiano, file di clandestini cercano di varcare la frontiera fra Messico e Stati Uniti, ondate di contadini senza più terra si riversano sulle città di Cina e Vietnam, masse di profughi tentano di lasciarsi alle spalle il fumo e le fiamme dei bombardamenti in mezzo mondo. E l'Europa, “culla e faro di civiltà”, si illude di poter sbarrare le porte: a Ventimiglia, a Calais, in questo inizio d'estate, si chiudono le frontiere, si ricacciano i disperati da una parte e dall'altra, li si costringe sugli scogli, gli si dà la caccia sui pullman e sui treni; in Ungheria e altrove, si costruiscono muri per impedirgli di arrivare. Merce sovraprodotta. E così lo schifo di questa società non ha fine.

Ancor più lo urlano, che tutto è merce, i molti modi con cui da quei disperati (sulla loro pelle, nel vero senso della parola) si estrae profitto. E' l'osceno business dei migranti, con cui politici, assessori, cooperative, delinquenti di varia tacca, origine e natura non hanno smesso di speculare e di lucrare, negli stessi giorni e mesi in cui magari alcuni d’essi sbraitavano e ragliavano (o spargevano lacrime di coccodrillo) sull’“afflusso indiscriminato” dei disgraziati in fuga: due euro per profugo, nel Centro d'Accoglienza Richiedenti Asilo di Mineo, fuori Catania, già Residence degli Aranci, alloggio dei militari USA di stanza a Sigonella (coincidenza significativa – la guerra c'entra sempre!). Un osceno business che, in Italia come altrove (tutto il mondo capitalistico è paese), si declina in una miriade di modi: nella carità pelosa di una sfilza di organizzazioni diverse, più o meno ong e più o meno onlus, nella retorica cinica o lamentosa di articoli di giornali o servizi televisivi, nei dibattiti e nelle iniziative (il maxipranzo per cinquemila “poveri” all'Expo di Milano!). Intanto, crescono e s’inaspriscono (come non cessiamo di sottolineare) i controlli polizieschi, la militarizzazione della società si estende capillarmente, la funzione repressiva dello Stato diviene sempre più esplicita, si progetta di bombardare di qua e di là per bloccare il flusso migratorio (anche le bombe sono merci “sovraprodotte” che vanno ben smaltite!), e il meccanismo di elaborazione ideologica che, soprattutto presso le mezze classi stordite, fa del “migrante”, del “reietto”, del “povero” (o, semplicemente, dello “straniero”) un “nemico” potenziale funziona a pieno regime.

Noi non vogliamo ripetere qui quanto abbiamo già detto e scritto più volte sull'argomento 1. Ribadiamo che parola d'ordine irrinunciabile per i comunisti è “No a ogni controllo dell'immigrazione!”. No a ogni forma (militare, burocratica, culturale) di limitazione dei movimenti di profughi, migranti, senza terra e senza casa – proletari fra proletari, l'enorme esercito dei senza riserve che il capitalismo crea ogni minuto nella sua fame di profitti, nel suo bisogno di manodopera elastica e ricattabile. Ma questo “No” (senza condizioni, senza tentennamenti) si accompagna alla consapevolezza che noi comunisti dobbiamo reintrodurre nelle file di tutti i proletari: proprio perché figlia bastarda del capitalismo, questa tragedia immane può essere cancellata dall'esperienza umana solo eliminandone la causa prima – solo abbattendo una volta per tutte il capitalismo e ripulendo finalmente tutto lo schifo (materiale e ideologico) che ha prodotto e lasciato in giro.

 

1 1 Cfr. anche solo “La questione dell’immigrazione”, Il programma comunista, n.4/2008; e “Clandestini”, Il programma comunista, n.6/2013.

 

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