DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Atto primo: Violenza?

L'oretta di scontri verificatisi a Milano a margine del MayDay, nel pomeriggio dell’1° maggio, ha dato la stura al prevedibile coro di lamentazioni e indignazione per i “teppisti e facinorosi che hanno messo a ferro e fuoco la città”. Lamentazioni e indignazione ipocrite. Da quand’è nata, tutta la società borghese gronda sangue e fango dalla testa ai piedi. E’ il caso di fare esempi? ci vorrebbe un’intera biblioteca per elencarli! Basti pensare all’espropriazione (violenta e sanguinaria) dei contadini nella fase di quell’accumulazione originaria che ha segnato la nascita del modo di produzione capitalistico; al quotidiano sfruttamento (violento e sanguinario) di uomini, donne e bambini caratteristico della rivoluzione industriale… E non sono forse violenza l’estrazione di plusvalore, la porzione sempre maggiore della giornata non pagata nel rapporto capitale-lavoro, gli incidenti e le malattie che sfiancano e distruggono vite proletarie e sono inscindibili dalla legge del profitto, la miseria crescente che accompagna e caratterizza tutto l’arco di vita del capitalismo? Nella fase imperialistica, poi, la violenza che sta nel DNA di questo modo di produzione s'è accresciuta e dilatata: due guerre mondiali, centinaia di guerre locali, devastazioni, deportazioni, massacri di popolazioni intere, sanguinarie pulizie etniche, migrazioni disperate, e via di seguito... senza contare la crescita esponenziale delle violenze individuali, dell'aggressività personale, del gusto sadico per la carneficina che emana dai media di ogni tipo. Violenza, sangue e fango.

E anche quando essi non sono visibili, anche quando la violenza si esercita in maniera “solo” virtuale, non è meno violenza! E' violenza il solo fatto che, se non lavori, sei costretto a chiedere la carità (se ti va bene), oppure muori di fame – quella fame che attanaglia centinaia e centinaia di migliaia di proletari, di senza terra, di masse proletarizzate in giro per tutto il mondo (proprio mentre si celebra il “cibo”, in quell'ipocrita e violenta buffonata che è l'Expo di Milano!). E' violenza il solo fatto di dover lavorare (se ti va bene) a un lavoro che ti sfianca e ti sfibra, che ti fa ammalare e morire; oppure di essere cacciato da quello stesso lavoro che ti dà appena da vivere. E' violenza il dover fuggire da luoghi devastati da guerre, carestie, intrighi, per andare non si sa bene dove, in viaggi senza speranza e, per tanti, mortali, verso paesi dove ti ammassano in lager circondati da reti metalliche e ostilità aperta. E' violenza non avere un tetto per ripararti o esserne sloggiato a forza dal padrone di casa o dalla polizia... L'elenco potrebbe continuare all'infinito. Tacciano allora gli indignati e i lamentosi! Questa è la società che essi difendono – con la violenza degli eserciti, delle polizie, degli Stati.

D’altra parte, spaccare tre vetrine e incendiare quattro automobili non è nemmeno all’altezza del “gesto rivoluzionario” di altri tempi. Negli ultimi mesi e anni, abbiamo assistito alle vere e proprie rivolte dei proletari tunisini ed egiziani, sudafricani e cinesi, coreani e afroamericani – rivolte diverse fra loro per intensità ed estensione, ma tutte nate in risposta alla violenza quotidiana implicita nel sopravvivere (a stento) sotto il tallone di ferro del Capitale. Erano (sono e saranno) la testimonianza del faticoso rimettersi in cammino di una classe proletaria mondiale che, nel disperante isolamento politico, cerca di uscire dalla più lunga (ormai novant’anni!) fase di controrivoluzione che il movimento operaio e comunista abbia conosciuto e sofferto – tutt’altra cosa dal “gesto”! Noi abbiamo solidarizzato subito con quelle rivolte, auspicando che esse si diffondano e approfondiscano. Ma anche in quei casi, anche di fronte alla violenza generosa di proletari che si confrontavano (e sempre più si confronteranno) con la dittatura aperta o velata del dominio di classe, abbiamo detto a chiare lettere, e a maggior ragione diciamo di fronte a quella, episodica e fine a se stessa, degli “esteti del gesto”, “Prima di tutto, il partito!”. Prima di tutto, urge che si riaffermino a livello mondiale la scienza della rivoluzione, la continuità della teoria e della prassi rivoluzionarie, il filo rosso ininterrotto da centocinquant’anni che solo noi abbiamo saputo difendere.

Noi sappiamo che il percorso rivoluzionario che porterà alla presa del potere sarà necessariamente violento (quale classe dominante abbandona il potere senza prima difendersi con le unghie e con i denti, con tutta la spietata violenza che le viene dall’aver dominato per secoli?) e che sarà inevitabile un lungo periodo in cui il nuovo potere infine conquistato dovrà difendersi con la forza da nemici interni ed esterni, prima che ci si possa avviare verso la società senza classi e la vera storia umana. Solo l'ingenuità anarchica crede che la rivoluzione sia la “bella giornata”! Noi sappiamo anche che quel percorso sarà punteggiato da gesti, scoppi e rivolte, da insurrezioni più o meno estese, da tentativi più o meno falliti o fallimentari: l'esperienza storica ce l'insegna. E allora ci sarà bisogno di un'organizzazione della violenza, del suo inquadramento e della sua direzione, per evitare che quegli scoppi e quelle rivolte, quegli atti che hanno le loro radici nella violenza della società capitalistica, si trasformino in altrettanti bagni di sangue, oppure avvengano e passino senza lasciar traccia, se non altre vittime proletarie.

C'è bisogno, prima di tutto, del partito rivoluzionario, sintesi storica di tutta una tradizione di lotte ed esperienze – scienza della rivoluzione e del comunismo. Senza questo partito, cui noi lavoriamo da tante generazioni negli alti e bassi della storia del movimento proletario, senza questo partito tutto è vano. Le avanguardie di lotta, che sanno di non poter sprecare in futili scontri le proprie energie preziose, dovranno rendersi conto di questa necessità improrogabile: e lavoreranno con noi al rafforzamento e all'estensione di quel partito, del nostro partito. Non c'è tempo da perdere. Altra violenza si prepara: la violenza tremenda di un nuovo sanguinoso conflitto mondiale, originato dalle contraddizioni insuperabili del modo di produzione capitalistico. Solo i proletari diretti dal loro partito possono impedirlo.

Prima di tutto, il partito!

Atto secondo: Noli me tangere?

Passano due giorni di lamentazioni e indignazione, ed ecco che la nuova “maggioranza silenziosa” scende in campo, armata di scope e spazzoloni. La parola d’ordine è “Nessuno tocchi Milano”: mettere in campo il “senso civico”, il “senso dell’appartenenza”; ripulire e riparare; sfilare composti; tenere alto il gonfalone… Insomma, Milàn l’è ‘n gran Milàn. E la foto che immortala il primo cittadino milanese alla testa del corteo con i suoi compari vuole essere una consapevole riedizione – ma in versione piccina picciò – della celebre istantanea di qualche mese fa, quando, dopo l’attentato di Parigi, sfilarono i capi di Stato dei principali paesi (europei e non), tutti insieme appassionatamente, a braccetto: altra possente discesa in campo della “maggioranza silenziosa”. Ma al di là delle involontarie comicità 1 di questa “replica di replicanti” all’insegna della “comunanza [sì, è il caso di dirlo!] degli interessi”, il segnale risulta forte e inquietante. E solo noi comunisti possiamo leggerlo in tutte le sue implicazioni. Questa nuova “maggioranza silenziosa” è la prova provata della sostanza fascista della democrazia uscita dalla seconda guerra mondiale, quando – come dicemmo allora – “i fascisti hanno perso, ma ha vinto il fascismo”.

Che cos’è infatti questo “Nessuno tocchi Milano” se non la prefigurazione in tono minore della mobilitazione patriottica, presente e futura, contro il “nemico” (chiunque esso sia, reale o immaginario, potente o insignificante, minaccia o pretesto)? un allenamento, una delle tante prove generali destinate a saggiare e preparare il terreno al delirio nazionale di fronte alla guerra. Così, su questa via, a una “Milano” che è pura astrazione (il centro ricco e dorato sullo stesso piano delle periferie povere e scalcinate, tutti cittadini della stessa entità metafisica, il “bene comune e supremo” di fronte al quale scompaiono e si dimenticano le classi, le rispettive condizioni di vita e di lavoro, i rispettivi interessi immediati e storici), subentrerà una “Patria” altrettanto astratta, che non conosce divisioni al proprio interno, in cui gli “interessi particolari” si sublimano nella mistica missione suprema della Nazione minacciata (e pronta a minacciare). Solo la “destra” più ottusa non capisce che la vera destra è lì, in quello schieramento fatto di buonismo e teneri sentimenti, di cives bene intenzionati e motivati, armati oggi di spazzoloni ma pronti domani a impugnare ben altre attrezzature (armamentario!), quando la Patria chiamerà contro il nemico esterno e quello interno. Si blatera oggi di “unità”, ma, quando il nemico storico (il proletariato) tornerà a lottare per i propri interessi e le proprie finalità, la frattura si riproporrà e non ci sarà retorica che possa tenere: si dovrà fare argine contro di esso, lo si dovrà bastonare per ricondurlo al suo posto – “O con la Nazione o sotto il suo Tallone di Ferro”.

Al di là dunque delle involontarie comicità (si sa: gli allenamenti sono sempre un po’ comici, c’è chi ha il fiato grosso o forse non prende ancora sul serio i cento piegamenti imposti dal caporale di giornata; e poi, è trendy, fa fino esserci, riprendersi e farsi riprendere, dichiarare e farsi intervistare… ), noi vediamo in quel “Noli me tangere” multicolore e un po’ festaiolo, composto e “civile”, un altro passo verso quella union sacrée cui da tempo lavora la classe dominante resa esperta da secoli di dominio, utilizzando (e inventandosi) ogni pretesto per cancellare, nella psiche di massa di piccolo-borghesi tremebondi e scorticati e, purtroppo, di proletari drogati da decenni di democrazia blindata, il fatto reale delle classi e della loro insanabile contrapposizione, dell’antagonismo sociale destinato a riaffiorare con il procedere della crisi economica, indipendentemente dai suoi alti e bassi episodici.

“La Città, la Nazione, über Alles”: ecco che cosa dicevano quelle scope e quegli spazzoloni.

 

1 La comicità assoluta si tocca quando, dopo le parole di Alfano circa i facinorosi “con il Rolex al polso”, interviene la ROLEX stessa, attraverso il suo AD Gianpaolo Marini. In una “lettera aperta” pubblicata sui principali quotidiani nazionali, la ditta ricorda che il suo prodotto “è presente nel nostro Paese da oltre ottant’anni”; che la ROLEX ITALIA SpA “è da sempre un ‘cittadino’ esemplare di Milano, ossequioso della legalità e molto spesso chiamato a collaborare con le Forze dell’Ordine in occasione di indagini relative al nostro settore”; e che l’utilizzo della parola ROLEX “in caratteri minuscoli ed in forma sostantivata generica non risponde a correttezza ed è suscettibile di diluire e pregiudicare il suo valore e la sua distintività”! (cfr. Corriere della Sera, 6/5/2015).

 

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