DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il 29 gennaio 1849, a pochi mesi dalla repressione a Parigi, nel giugno 1848, della lotta proletaria (oltre 3000 insorti massacrati, 1500 deportati senza giudizio, 15 mila arrestati e poi deportati), Odilon Barrot, primo ministro francese, chiese all’Assemblea Nazionale una serie di misure eccezionali, “una vera e propria legge polivalente contro gli estremismi di destra e di sinistra”, proferendo la famosa frase, poi riportata da Engels in un suo scritto del 6 marzo 1895, “la legalité nous tue”, “la legalità ci uccide”. Rivolgendosi all’Assemblea, Barrot dichiarava che nessuna fazione politica interna avrebbe mai più potuto rappresentare in quell’aula lo stato di tregua, di pacificazione, di legalità nei confronti del proletariato, perché il principio stesso di esistenza dello Stato si riassume nel controllo, nella sicurezza, nella repressione. Propose perciò alla Costituente di autosciogliersi: la Costituente chinò la testa, il governo sciolse i clubs (partiti politici) e la stessa guardia mobile di cui si era servito nel giugno e cambiò 50 prefetti nei dipartimenti. Nessuna novità per le generazioni di proletari che si succederanno, fino a noi.

Non ci occuperemo qui dell’azione quotidiana, ordinaria, esercitata dalle forze dell’ordine (polizia ed esercito) e dalla magistratura sull’intera società, nelle fabbriche, nelle strade, negli alloggi, nelle carceri, nei campi di battaglia, ma dell’azione di attività di controllo e di feroce repressione nei momenti alti dello scontro di classe. Valga comunque la verità di fatto che nella società borghese, “anche nella repubblica più democratica”, quelle azioni si esercitano senza soluzione di continuità. La transizione dall’epoca in cui la “funzione dittatoriale” viene resa opaca (epoca di cosiddetta “pace sociale”) annebbiando gli occhi del proletariato con ideologie legalitarie, democratiche, assistenzialiste, collaborazioniste, a quella in cui la dittatura si impone in modo trasparente, alla luce del sole, dipende dall’improvviso sprigionarsi della lotta della classe oppressa, costretta in una condizione insopportabile. Una parte della borghesia, a quel punto, impaurita da una condizione d’incertezza per il futuro, spinge il suo Stato verso lo scontro di classe, gridando a se stessa: “il lungo periodo di legalità è stato un suicidio, bisogna tornare alle vie di fatto”. Di fronte alla dichiarazione di aperta guerra di classe della borghesia, allo scatenamento della sua azione di guerra, prodotti inevitabili delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico, il proletariato riscopre (le grandi esperienze della Comune e dell’Ottobre rosso lo confermano, come lo confermano le migliaia di episodi di lotta di classe sull’arco di più di due secoli di dominio borghese) nuove forme di organizzazione, tattiche e strategie per non farsi annientare – metodi e forme che, in presenza del partito rivoluzionario radicato nella classe, rappresentano vere e proprie dichiarazioni di guerra alla borghesia e nelle quali l’obiettivo della “dittatura del proletariato” è sospinto in primo piano. Le diverse epoche di legalità e di illegalità, di calma piatta e di feroce repressione, di collaborazione e di controrivoluzione aperta, si alternano di pari passo con le diverse fasi e contraddizioni dell’economia capitalista.

Nella prefazione 1891 al libro di Marx Le lotte di classe in Francia, a proposito del “fascino delle barricate” di cui abbiamo riportato passi significativi in un recente articolo 1, Engels descrive le diverse condizioni moderne, tecniche e tattiche, nello scontro di classe tra gli operai dei grandi centri e la polizia o l'esercito, proiettando il processo rivoluzionario all’interno o della guerra rivoluzionaria o a quella di annientamento moderna. Già alcuni anni prima (15 dicembre 1887), anticipando di un quarto di secolo gli eventi della prima guerra mondiale, lo stesso Engels aveva scritto, in un articolo intitolato A proposito dei patriottardi: “infine per Germania-Prussia è possibile solo una guerra mondiale di un’estensione e di una violenza insospettabili. Da otto a dieci milioni di soldati si sgozzeranno reciprocamente e distruggeranno l’Europa come non hanno fatto mai neppure dei nugoli di cavallette. Le devastazioni della guerra dei trent’anni concentrate nel lasso di tre o quattro anni ed estese a tutto il continente. Fame, epidemie, inselvatichimento degli eserciti e delle masse del popolo; rovina irreparabile del nostro artificioso sistema commerciale, industriale e creditizio, con la conseguenza di un fallimento generale. Crollo dei vecchi Stati e della loro sapienza politica tradizionale, in modo che dozzine di corone rotoleranno per terra senza trovare qualcuno che le rialzi. Assolutamente imprevedibile l’andamento finale di tutto questo e chi sarà il vincitore della battaglia. Un solo risultato è assolutamente sicuro: l’esaurimento generale e il nascere delle condizioni per la definitiva vittoria della classe operaia. Tale è la prospettiva se il sistema della corsa agli armamenti spinto agli estremi darà i suoi inevitabili frutti. A questo punto, signori principi e signori uomini di Stato, nella vostra sapienza avete condotto la vecchia Europa. E se non dovete far altro che iniziare l’ultima grande danza di guerra, per noi va bene. Forse si verificherà che la guerra ci respinga momentaneamente indietro e che perderemo alcune posizioni già conquistate. Ma se voi avete messo in moto quelle forze che siete ormai incapaci ad incatenare ancora, ebbene, sia così; ma alla fine della tragedia verrà la vostra rovina, mentre il proletariato avrà già acquistata la propria vittoria, o, in ogni caso, essa sarà inevitabile”. Mentre scriveva queste parole, i socialpacifisti, gli sciovinisti, i maestri dell’opportunismo socialdemocratico di allora affermavano che alle lotte delle barricate del 1848 occorreva sostituire come fatto acquisito per sempre “la conquista legalitaria democratica e non violenta del potere”.

***

I classici lavori di Marx sulla storia francese, che ripercorrono le fasi dello sviluppo della lotta di classe tra borghesia e proletariato, sono tre. Il primo, Le lotte di classe in Francia, riguarda il periodo 1848-1850, che per Engels è il primo tentativo di spiegare colla sua concezione materialistica un periodo storico colle condizioni economiche corrispondenti. Il secondo lavoro, che segue immediatamente, è Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, e analizza il periodo fino al 2 dicembre 1851, data famosa del colpo di Stato con cui il piccolo Napoleone si fece imperatore. Il terzo è l'Indirizzo della Internazionale sulla Comune del 1871, scritto subito dopo la sua sanguinosa repressione.

La sintesi di tali indagini definitive sta in due risultati, che per chiarezza potremmo dire di politica interna e di politica estera. Il primo dice che, per complesso che sia lo schieramento delle classi e dei partiti in una società, quando il proletariato pone la sua rivendicazione massima, tutte le altre classi e tutti i partiti si gettano contro di lui. Il secondo dice che, quando in una moderna nazione o in una moderna capitale gli operai alzano il vessillo di fuoco della vittoriosa dittatura di classe, tutti gli eserciti nazionali, anche tra loro nemici, si confederano contro di lui.

In un articolo del 1952, intitolato “La legalité nous tue” 2, da cui sono tratte anche le citazioni che seguono, così dicevamo: “Alla fine del suo studio sulla formazione di un potere unico, chiaro, sfacciato, totale, di classe, Marx scrive il passo famoso sulla talpa rivoluzionaria che ha bene scavato. Giustifica che gli operai di Parigi siano rimasti indifferenti al colpo di Stato del 2 dicembre di Napoleone III, e registra come risultato utile il pestaggio della menzogna democratica sotto il calcio dei fucili. […] L'insegnamento di centro è questo: la classe operaia avrà una forza politica quando si saprà preparare al momento inevitabile in cui la borghesia liberale, democratica, costituzionale, repubblicana, griderà che la legalità la frega, e muoverà in un fronte unito totalitario contro la rivoluzione. Allora, se il proletariato, invece di gridare, accettando la lotta, ‘dittatura del proletariato contro dittatura della borghesia’, griderà: ‘democrazia costituzionale’ e ‘libertà contro totalitarismo’, tutto sarà perduto, come nel giugno 1848 o nel marzo 1871”.

In questo percorso controrivoluzionario, la rivendicazione democratica (il suffragio universale), aveva compiuto la sua missione: “La maggioranza del popolo aveva compiuto la scuola di sviluppo, che è tutto ciò cui il suffragio universale possa servire in un’epoca rivoluzionaria. Esso doveva essere eliminato o da una rivoluzione proletaria o dalla reazione. […] La prefazione di Engels non abbandona in nulla la linea stabilita da Marx. La sua costruzione, riferita ai rapporti di forza della Germania 1895, non si sogna di escludere l'urto finale armato, tratta solo della politica della ‘provocazione’ borghese che riuscì così bene a Odilon Barrot e dice: ‘non saremo così gonzi da attaccarvi in un momento che a voi conviene, a voi impero tedesco, ministero Bismarck, borghesia tedesca’. Il succo della lotta è che dobbiamo noi, ad un momento che non viene a ‘volontà’, ma si riconosce nella storia, sapere essere i provocatori”.

Insieme a queste considerazioni, Engels ci lascia una preziosa testimonianza nelle lettere che scrive a Kautsky, direttore del Vorwärts, il 1 aprile 1895: “Con mia grande sorpresa trovo oggi nel Vorwärts un estratto della mia Introduzione, pubblicato senza che io lo sapessi e così sconciato che io vi appaio come un pacifico fautore della legalità a tutti i costi”; e a Lafargue il 3 aprile 1895: “Bernstein mi ha fatto un brutto scherzo. Dalla mia Introduzione agli articoli di Marx sulla Francia del 1848-’50, egli ha estratto tutto ciò che poteva servirgli in difesa della tattica ad ogni costo, pacifica e contraria alla violenza, che gli fa comodo predicare, soprattutto ora che a Berlino si preparano le leggi eccezionali”.

Così dunque commentavamo, nel nostro articolo del 1952: “L'insegnamento di Engels sulla generosa impazienza rivoluzionaria del 1848 era che non bastava che la Francia fosse centralmente controllata da Parigi, e Parigi dai suoi operai. Tantomeno ci si poteva illudere che ciò bastasse nella Germania di quel tempo. Ma quando le cifre statistiche delle elezioni hanno confermato ciò che dicono le cifre dello sviluppo industriale avvenuto dopo il 1848, ancora più dopo il salasso prussiano del 1871 alla ricca finanza di Francia, allora si vede avvicinarsi il momento in cui la minoranza rivoluzionaria non rappresenterà solo se stessa, ma una effettiva maggioranza lavoratrice. Con ciò Engels non condiziona il moto di classe alla ‘coscienza’ e tanto meno alla ‘consultazione democratica’ della maggioranza, ma solo alla fisica esistenza di una numerosa classe proletaria e di uno sviluppato industrialismo. Inoltre pone in evidenza i fattori internazionali e ricorda la conclusione di Marx fin dal rovescio del 1848; da questo momento ogni lotta rivoluzionaria del proletariato di Francia coinciderà con una guerra mondiale. Fin da allora adopera la parola guerra mondiale, e profetizza così la Comune di venti anni dopo, scatenata dalla guerra europea 1871. Engels nel 1895 sa di stare nel periodo intermedio tra tale guerra europea e la più volte da lui profetizzata a Bismarck: grande guerra contro le razze riunite degli slavi e dei latini”.

Per il momento, quindi, dice Engels, senza che i nostri compagni rinuncino al diritto alla rivoluzione, che anzi è l'unico diritto storico su cui riposano, senza eccezione, tutti gli Stati moderni, noi socialisti tedeschi non siamo alla vigilia di una lotta armata: “Se noi non commetteremo l'insigne follia di lasciarci trascinare in una lotta per le strade per dar loro piacere, ai partiti dell'ordine, allora […] non rimarrà ad essi, da ultimo, che spezzare colle proprie mani questa legalità loro così fatale”. A parte quindi la peculiare situazione 1895 in Germania, Engels sapeva che un giorno la legalità sarebbe saltata; confermava che il suffragio universale conduce alla sua fine sotto una delle due dittature, o quella proletaria o quella ancor più fatale della borghesia.

Oggi (1952 – o 2015?), “gli Stati borghesi si rinforzano di mezzi potenti di polizia allenati e attrezzati, quando occorre finanziati senza limiti dal dollaro, o riforniti con prontezza dalle flotte che frequentano porti ed aeroporti. Nelle loro feste nazionali, in cui gli operai sono stupidamente condotti a celebrare una loro liberazione recente, si vedono ad occhio nudo sfilare formazioni la cui efficienza cancella il ricordo delle SS; per non parlare proprio delle imbelli camicie nere. […] Frattanto i rappresentanti del proletariato inquadrato in sindacati o in partiti, non fanno che dedicare ogni ora ad inneggiare al diritto di questi Stati a vivere, a difendersi, a tutelare la loro linea di costituzione. Tale costituzione è democratica, e da ciò si desume subito che lo Stato ha il diritto di reprimere ‘tutti i tentativi di dittatura’. Con ciò si insegna al proletariato che esso trova tutela in un sistema, che si svolgerà indefinitamente entro i limiti legali delle istituzioni, e quindi è bene che i delegati degli operai appoggino leggi e misure con cui si reprime ogni movimento che minacci attacchi con la forza al potere legale”. Ci vengono a dire che “la democrazia offre delle possibilità che bisogna sfruttare ‘fino all'ultimo’. Bisogna quindi evitare che lo Stato borghese la sopprima, ne diminuisca le garanzie, le possibilità di aver sindacati, giornali, stampa, riunioni, ecc. (si capisce, poi, soprattutto elezioni!). Ed allora bisogna impedire che vadano al potere quei gruppi (le destre, i fascisti, etc.) che tali garanzie sopprimerebbero, ed ottenere anzi che lo Stato con mezzi legali reprima quei gruppi, sciogliendo i loro partiti, vietando fin da ora i loro giornali, riunioni, presentazione alle elezioni e simili. Lo Stato, il governo, il partito di maggioranza oggi al potere, risponde: benissimo! Dunque facciamo una legge che dica che la libertà di opinione di associazione di agitazione è limitata da questa norma: non è permesso enunciare che si possa prendere il potere per altra via che per quella legale. […] Ma naturalmente la legge sarà ‘polivalente’, ossia chi teorizza il colpo di forza, da destra o da sinistra, perde tutti i diritti di fare lavoro politico ed è colpito da rigori repressivi”.

A quel punto, viene fuori la massa di legalitari, pacifisti, nazionalisti, democratici di tutte le risme, di destra e di sinistra, e proclama: “nulla di male!, la legge repressiva eccezionale non riguarda noi. Cancelleremo dai nostri programmi la conquista armata del potere e la dittatura del proletariato, essendo certi che almeno per 30 o 40 anni il proletariato non ha da avanzare altre richieste che quelle pienamente compatibili con le Costituzioni attuali”.

Il depistaggio degli operai consiste nel far credere che la democrazia serva a conservare lo Stato borghese in condizioni di debolezza fino al giorno in cui la classe scenderà in piazza di sorpresa, giorno in cui verrà dichiarato lo “stato di guerra contro la borghesia”. In realtà, quando le forze della destra, i fascisti, cominceranno ad avere successi in ambito democratico, allora il grido sarà quello della “difesa della democrazia”, non quello dell’abbattimento della borghesia. Ancora il nostro articolo: “il fascismo ritorna, bisogna difendersi, bisogna rifare contro di esso le squadre di azione, riproporre l’unità delle forze partigiane e il fronte antifascista!”. Nel panorama odierno, tutti i partiti di destra e di “sinistra”, gli extraparlamentari e i parlamentari, sono divenuti le guardie spirituali e i questurini volontari della democrazia, i difensori e i controllori dell’ordine. Sono le oche capitoline che, un giorno sì e uno no, starnazzando annunciano il pericolo imminente.

“Ma l'aspetto più grave di tutta la sporca commedia – sottolineavamo in chiusura – è l’ammissione da parte dell’immensa maggioranza dei lavoratori (altro che progresso nelle coscienze!) della esistenza di due e più gruppi nei partiti della classe dominante, che per natura, per principio, per abbracciate filosofie, ammettono gli uni di impiegare sempre la persuasione, gli altri la forza. In tal modo viene distrutto ogni residuo di insegnamento della decifrazione marxista della storia, che cioè quando viene il momento che il suffragio è messo da parte, e si pon mano alla forza di classe, tutti i gruppi della borghesia e delle classi medie (che in prima linea affluirono al fascismo anche nel 1922) in fatto ed in principio si schierano per la repressione”.

 

1 “Il fascino delle barricate e la guerra rivoluzionaria”, il programma comunista, n.2/2015.

2 “La legalité nous tue”, Battaglia comunista, n.12/1952.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista)

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