DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

La questione del Programma al IV Congresso dell’Internazionale comunista

Il IV Congresso dell’Internazionale, seguito da circa 400 delegati in rappresentanza di 52 Paesi, si tenne a Mosca dal 5 novembre al 5 dicembre 1922. A detta di molti partecipanti, le discussioni che si svolsero nelle sedute plenarie furono di una qualità molto inferiore a quelle dei tre Congressi precedenti. Gli argomenti principali furono la natura del fascismo e alcune “questioni” nazionali, soprattutto quelle italiana e francese. I momenti nei quali l’attenzione dei presenti fu maggiormente concentrata furono (a parte il breve intervento sulla NEP da parte di un Lenin già molto sofferente) un grande discorso di Trotzki e la relazione di Amadeo Bordiga sul fascismo.

Ma era sul tappeto anche un altro importantissimo punto, su cui le sezioni nazionali, da alcuni mesi, erano state invitate a lavorare: la questione del Programma dell’Internazionale. Tale aspetto non solo non era secondario, ma fu uno degli elementi che portò al contrasto tra la politica dell’Internazionale e il PCd’I diretto dalla Sinistra. Esso si rivelò emblematicamente, in fondo, come l’espressione di due modi diversi di concepire la teoria e la pratica rivoluzionaria.

Può sembrare strano, a prima vista, che un’organizzazione come l’IC non avesse proceduto, fin dal suo sorgere, a darsi un programma sicuro e definito. Già la I Internazionale (in realtà, Associazione Internazionale dei Lavoratori), pure in un’Europa nella quale erano ancora irrisolte alcune fondamentali questioni storiche, tra cui grandi differenze nello sviluppo sociale ed economico tra i diversi Paesi, si era data degli Statuti all’atto della sua formazione; e, scriveva Marx a Engels il 5 marzo 1869, “la comunità di azione a cui tende l’Associazione Internazionale degli Operai, lo scambio di idee a mezzo dei diversi organi delle sezioni in tutti i paesi, e infine il dibattito diretto, nei congressi generali, creeranno pure a poco a poco un programma teorico comune per il movimento operaio generale” (corsivi nostri) (da K. Marx, F. Engels, Il Partito e l’Internazionale, Edizioni Rinascita, Roma 1948, pag. 126).

I primi Congressi della III Internazionale si erano svolti in un clima di grande attesa per l’imminente rivoluzione in Europa. L’ondata di lotte e di scioperi che aveva traversato Italia e Germania tra il 1919 e il 1921 aveva fatto emergere une serie di difficoltà organizzative nelle diverse sezioni nazionali, dal punto di vista della creazione di partiti in grado di guidare con sicurezza il proletariato alla vittoria. Il problema di un programma generale non sembrò dunque di immediata attualità, ponendosi sul tappeto questioni di ordine pratico la cui soluzione, si pensava, avrebbe presto consentito la vittoria su scala almeno europea. D’altra parte, nei primi Congressi, tutta una serie di norme era stata fissata, in stretta aderenza col marxismo rivoluzionario. Il problema del programma dunque non si pose che nella tarda primavera del 1922, quando ormai era iniziato un periodo di riflusso che avrebbe portato il fascismo al governo in Italia nell’autunno di quell’anno, e a una grave sconfitta nell’autunno dell’anno seguente in Germania. Fu allora, nel luglio 1922, che l’EKKI (il Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista) incaricò le sezioni nazionali di preparare dei progetti sul programma dell’Internazionale, in previsione di un dibattito sulla questione nel corso del IV Congresso.

Il PCd’I non era certo impreparato a questa richiesta. Fu costituita una Commissione ad hoc, fu dato sufficiente spazio sui quotidiani del partito ad articoli e contributi e si giunse alla decisione che, al IV Congresso, si sarebbe presentato sostanzialmente il programma di Livorno 1921, che si riteneva applicabile a tutte le sezioni dell’Internazionale.

Tuttavia, alla base del problema, aleggiava un equivoco di fondo. Nelle successive discussioni che si svolsero al IV Congresso, non si riuscì effettivamente a uscire dall’equivoco se si dovessero fissare delle norme generali – un vero e proprio programma di teoria rivoluzionaria – oppure se tutto dovesse rientrare nelle ormai dibattutissime questioni tattiche; se quindi si dovesse pervenire ad un corpo di tesi sulla tattica prima e più che a un programma di inquadramento generale.

In realtà, ai vertici dell’EKKI, il pensiero dominante al riguardo era stato già espresso in modo sufficientemente chiaro da Zinoviev nel corso delle sedute della Commissione del Comitato Esecutivo fin dal giugno 1922: “I partiti possono svilupparsi in due modi: o per mezzo di un programma seguito dalla costituzione del partito, o nel senso contrario. Noi abbiamo adottato il seguente ordine: prima il partito, poi il programma [nostro corsivo, NdR]. Sarebbe stato facile, due anni fa, stabilire teoricamente un programma per il Giappone e per gli altri paesi. Abbiamo voluto avere dapprima un movimento, per poi mettere insieme delle esperienze concrete e giungere quindi al programma. Ora, il momento è arrivato, abbiamo i partiti. Si tratta di riassumere le esperienze e stabilire un programma” 1.

Questo aspetto della questione era già presente in alcuni scritti della Sinistra italiana, e visto in modo opposto. Ad esempio, in “Partito ed azione di classe” (Rassegna comunista, n. 4, 31 maggio 1921), dove si legge: “Prima condizione di successo rivoluzionario del proletariato mondiale, è dunque il pervenire della Internazionale ad una stabilizzazione organizzativa che dia dappertutto alle masse un senso di decisione e di sicurezza, che sappia guadagnarle sapendole anche attendere dove è indispensabile che lo sviluppo della crisi agisca ancora su di esse, dove non è evitabile che esse tornino ancora a certe sperimentazioni degli insidiosi consigli socialdemocratici. Non esistono ricette migliori per uscire da tale necessità. Il secondo Congresso della Terza Internazionale intese queste necessità. Si trattava, all’inizio di una nuova epoca, che doveva sboccare nella rivoluzione, di fissare i punti di partenza di un lavoro internazionale di organizzazione e di preparazione rivoluzionaria. Forse meglio sarebbe stato il congresso [il II Congresso dell’Internazionale – NdR], anziché seguire la disposizione di argomenti che seguì nelle varie tesi, tutte teorico-tattiche, avesse fissato le basi fondamentali della concezione teorica programmatica comunista, sulla cui accettazione si dovrebbe fondare primieramente l’organizzazione di tutti i partiti aderenti; e quindi avesse formulato le fondamentali norme di azione di fronte al problema sindacale, agrario, coloniale, ecc. ecc., alla cui osservanza disciplinata sono impegnati tutti gli aderenti. Ma tutto ciò esiste nel corpo di risoluzioni uscito dal secondo congresso, ed è compendiato egregiamente nelle tesi sulle condizioni di ammissione dei partiti” [corsivi nostri – NdR].

Nelle riunioni che il Partito tenne per la discussione del programma, la questione riemerse ancora nel mese di settembre. Riportiamo di seguito una parte del verbale (il testo completo troverà posto nel V volume della nostra Storia della sinistra comunista).

Dal verbale della Riunione della Commissione del Programma. Roma, 15 settembre 1922 (in APC [Archivio del Partito Comunista], 1922, 111/3-6)

Partecipano: Bordiga, Terracini, Bombacci, Berti, Ravazzoli. Assente Mauriello.

Bordiga: Prima di trattare la questione specifica riflettente la formazione del programma per il partito italiano, occorre ed è bene fare un accenno alla questione della redazione del programma per l’Internazionale. A questo scopo è stata costituita una commissione internazionale, della quale fanno parte per l’Italia i compagni Bordiga e Graziadei. Essi vi partecipano in quanto individui per portarvi il contributo del loro personale criterio, indipendentemente dal partito; ma Bordiga reputa opportuno che invece in tale lavoro ogni membro della commissione internazionale debba rispecchiare nel limite del possibile l’idea del proprio partito. Per tale ragione egli prospetta alla commissione riunita il proprio punto di vista, che è condiviso dall’Esecutivo del partito. Sono in nostre mani pochissimi documenti della questione; essi si limitano al verbale incompleto della prima seduta della commissione internazionale e ad un articolo del compagno Rudas che è stato pubblicato su tutti i nostri quotidiani. Altre notizie ci sono giunte in maniera indiretta successivamente, ma nulla di preciso e di ufficiale. In ogni modo, la discussione si è precisata attorno a due discorsi: l’uno del compagno Radek e l’altro del compagno Bucharin. Radek che sostiene la possibilità e la necessità di formare un programma dell’Internazionale in cui, oltre ai punti programmatici della critica alla società, dello sviluppo della crisi capitalistica e dei suoi momenti essenziali, degli scopi della lotta proletaria e dei mezzi da impiegarvi, sia necessario includere una trattazione sulla tattica che contempli anche fatti meno ampi (?) ma si soffermi su quelle forme di lotta che devono essere realizzate di tempo in tempo: ecco quindi che nel programma dell’I.C. si deve trattare del fronte unico, del governo operaio ecc. Ragioni di sincerità e di chiarezza pretendono ciò. Bucharin si oppone a questa tesi, affermando che riesce impossibile stendere un programma di tale genere data l’enorme diversità di condizioni dei vari paesi, che obbligherebbe ad una moltiplicazione esagerata di argomenti, nella quale tuttavia non si potrebbero mai comprendere tutti i casi possibili della tattica comunista. Né a questo si porrebbe rimedio fissando quattro o cinque tipi di paesi delineando per ciascuno di essi le possibilità tattiche. Il programma dell’Internazionale deve costituire quindi una dichiarazione di fede che deve restare immutata nell’avvenire, mentre la tattica presenta ad ogni momento nuovi orizzonti e nuovi sviluppi [corsivi nostri – NdR]. Bordiga espone ancora gli altri elementi della discussione e comunica che la Centrale del partito, nella breve discussione che fece sull’argomento, accettò all’unanimità le tesi di Bucharin. Se la Commissione intende anche essa rendere nota la sua opinione, ciò potrà essere utile per i compagni che dovranno a Mosca discuterne.

Tutti i membri della Commissione accettano il punto di vista di Bucharin e successivamente decidono all’unanimità, su proposta di Bordiga, che il P. C. I. conservi come suo programma teorico quello approvato al Congresso costitutivo di Livorno, salvo a sostituirlo con quello dell’Internazionale ove essa entrasse nel criterio di Radek: in tal caso il partito assumerà come proprio programma teorico quello dell’Internazionale […]”.

***

La posizione di Radek era stata chiarita nel corso di incontri estivi della Commissione russa sul programma. Secondo Radek, si può avere un programma solo quando si entra in un periodo di stabilità sociale; perciò “se deve trattarsi di un programma esatto [?], di un sistema concreto di rivendicazioni obbligatorie, noi non possiamo stabilire un programma del genere per l’Internazionale comunista”. Intanto perché il capitalismo sta per crollare ovunque; in secondo luogo perché “le condizioni nei diversi paesi sono troppo diverse per formulare le stesse necessità in America o in Jugoslavia”. I partiti dunque devono preparare, ciascuno per sé, le proprie parole d’ordine, “che non solo mirino a realizzazioni concrete, ma siano anche i mezzi per raccogliere le masse in vista della futura dittatura”. Perciò, proseguiva il relatore, “il primo dovere della commissione sui programmi non è quello di fornire un programma all’IC, ma di preparare delle tesi sul metodo per costruire la nostra azione di rivendicazioni in ogni paese, e di esprimerle in modo concreto, in rapporto alla situazione internazionale, secondo le disposizioni contenute nelle risoluzioni del Terzo Congresso”. In conclusione, egli ribadiva che “si tratta di stabilire un programma di rivendicazioni transitorie che servano da leva all’azione che condurrà alla conquista della dittatura” (tutte le citazioni sono tratte da Origines et débuts des partis communistes des pays latins, I, cit., pp. 216-31). Presente al IV Congresso ma non relatore sulla questione del programma, Radek entrerà in duro contrasto con Bucharin.

Fu solo dopo due settimane dall’inizio del IV Congresso che si aprì la discussione sul programma, con una lunga ed articolata relazione di Bucharin. Essa toccò la teoria della miseria crescente, quella del crollo del capitalismo, la teoria marxista dello stato, la teoria delle crisi. Infine, Bucharin espose la propria visione sul programma, opposta a quella di Radek. Essa aveva trovato, come si è visto, pronta adesione da parte della Delegazione italiana. Tuttavia, il rivoluzionario russo, dato il clima teso che si era ormai stabilito fra l’EKKI e la direzione del PCd’I, preferì sottolineare, piuttosto pretestuosamente, un inesistente elemento di contrasto. Vediamo dunque parte della sua relazione.

Relazione di Bucharin sulla questione del Programma dell’Internazionale e dei Partiti comunisti, 14.ma seduta (18 novembre 1922, sera) (da Protokoll des Vierten Kongresses der Kommunistischen Internationale, Verlag der Kommunistichen Internationale, 1923, pag. 404 segg.).

Io penso che il programma dei Partiti nazionali debba essere formato almeno da due parti: 1. Una parte generale e comune, valida per tutti i partiti. La parte generale comune deve essere contenuta nella tessera di partito di ogni membro di ogni Paese. 2. Il programma deve consistere di una parte nazionale, che analizza le rivendicazioni specifiche del movimento operaio di quel Paese. E quindi 3. Forse – ma questo non è un elemento propriamente programmatico – un programma d’azione, che prenda in considerazione le questioni propriamente tattiche, che può essere cambiato rapidamente a discrezione, magari ogni due settimane (ilarità). Alcuni compagni sostengono che le questioni tattiche, come l’acquisizione (registrazione) di beni materiali (confisca di beni) in Germania, la tattica del fronte unico o la questione del governo operaio, debbano essere fissate in modo programmatico. Il compagno Varga dice che è vigliaccheria ideologica se si protesta contro questo modo di vedere (Radek: Molto giustamente!). Ma io sostengo che il desiderio di fissare queste questioni non è altro che il prodotto (la secrezione) dell’atteggiamento opportunistico di questi compagni (ilarità). Tali questioni e tali parole d’ordine, per esempio quella del fronte unico o del governo operaio o la confisca di beni, sono parole d’ordine fondate su una base molto fluttuante. Questa base trae origine da una certa depressione all’interno del movimento operaio. E questi compagni vogliono vincolare con un programma questa posizione di difesa in cui si trova il proletariato, e rendono così impossibile l’offensiva. Contro ciò io lotterò con tutti i mezzi. Noi non permetteremo mai di fare tali considerazioni programmatiche (Radek: Noi? chi sono “noi”?). Noi, i migliori elementi dell’Internazionale comunista (ilarità, applausi).

Io penso, compagni, che in questa parte teorica debbano essere presenti le seguenti sottosezioni: prima di tutto, un’analisi generale del capitalismo; questa parte sarà particolarmente necessaria per i popoli delle colonie. Quindi, dobbiamo condurre l’analisi dell’imperialismo e dello sfascio del capitalismo e infine l’analisi dell’epoca della rivoluzione socialista.

Nella seconda parte del programma, dobbiamo avere uno schizzo della società comunista. Io penso che la descrizione della società comunista nel programma sia indispensabile, che sia indispensabile dire che cosa significa comunismo e quale sia la differenza tra le diverse fasi di transizione.

La terza parte deve trattare del crollo della borghesia e della lotta del proletariato per il potere.

La quarta parte dev’essere dedicata alle questioni strategiche generali, non a questioni, come per esempio l’atteggiamento verso la socialdemocrazia e i sindacati. Infatti, queste questioni sono di natura non oscillanti e queste questioni stratetiche tattiche possono essere stabilite nel programma […]

La Centrale italiana ha espresso il proprio contributo alla discussione della Commissione sul programma in una lettera nella quale si sostiene la mia visione della cosa, ma con una motivazione molto particolare. Essa dichiarava che tali cose non andassero stabilite in un programma, perché non si potrebbe forzare l’obbedienza al ‘Credo’ da parte dei partiti nazionali. Dunque, la Centrale italiana sostiene il mio punto di vista non perché sia opportunistico e impossibile inserire queste cose in un programma – in questo caso, dovremmo cambiare il nostro programma ogni due settimane – ma perché l’Internazionale non può forzare i partiti nazionali nell’obbedienza al ‘Credo’. Io ringrazio molto i compagni italiani, che sono d’accordo con il mio modo di vedere, ma non posso in nessun modo ringraziarli per questa particolare motivazione”.

***

La discussione sul programma sarebbe ripresa tre giorni dopo, all’interno di altri punti all’ordine del giorno. Evidentemente, il contrasto tra le opinioni espresse da Radek e da Bucharin (con l’appoggio italiano) aveva suscitato perplessità nell’assemblea. Utilizzando un metodo che sarebbe poi nuovamente servito nei confronti della Delegazione italiana a proposito delle questioni tattiche, la Delegazione russa decise di far sentire tutto il peso della propria forza morale con una dichiarazione che voleva mettere a tacere ogni dubbio e che in sostanza approvava il punto di vista di Radek, vero acrobata, spesso sfortunato, in esercitazioni tattiche.

Dichiarazione della Delegazione russa, 18 seduta, 21 novembre 1922 (da Protokoll des Vierten Kongresses, cit., pag. 542)

In considerazione del fatto che la polemica su quale formulazione debba essere data alle rivendicazioni parziali (transitorie) e in quale parte del programma esse debbano essere inserite ha destato un’impressione totalmente errata di un contrasto di fondo, la Delegazione russa concordemente afferma che la formulazione delle rivendicazioni parziali nei programmi delle sezioni nazionali e la loro comune formulazione e base teorica non possono essere intese nella parte generale del programma come opportunismo.

In rappresentanza della Delegazione russa:

Lenin, Trotzki, Zinoviev, Radek, Bucharin”

E, per chiarire all’assemblea plenaria il senso di questo intervento, il presidente dell’EKKI, Zinoviev, presentava la seguente mozione:

Mozione Zinoviev sul Programma,18 seduta, 21 novembre 1922 (da Protokoll des Vierten Kongresses, cit., pag. 542-43)

[…] 1. Tutti i progetti di programma vengono trasmessi all’EKKI o a una delle sue Commissioni a ciò nominate allo scopo del loro studio e dettagliata rielaborazione. L’EKKI ha l’incarico di pubblicare nei termini più brevi tutti i progetti di programma che perverranno.

2. Il Congresso dichiara che le sezioni nazionali dell’IC, che non hanno ancora un programma nazionale, hanno il dovere di procedere immediatamente alla sua elaborazione, per sottoporlo al più tardi 3 mesi prima del 5° Congresso all’Esecutivo, per approvazione durante il prossimo Congresso.

3. Nei programmi delle sezioni nazionali dev’essere motivata con tutta chiarezza e categoricamente la necessità della lotta per le rivendicazioni transitorie, mentre devono essere fatte le relative riserve sulla subordinazione di queste rivendicazioni rispetto alle concrete condizioni del tempo e del luogo.

4. La base teorica per tutte le rivendicazioni transitorie e parziali dev’essere precisamente stabilita nel programma generale, per quanto il IV Congresso condanni decisamente allo stesso modo i tentativi di presentare l’introduzione delle rivendicazioni transitorie nel programma come opportunismo, come anche tutti i tentativi di nascondere o sostituire i compiti fondamentali rivoluzionari con rivendicazioni parziali.

5. Nel programma generale, devono essere chiaramente presentati i caratteri basilari storici delle rivendicazioni transitorie delle sezioni nazionali, in conformità con le fondamentali differenze nella struttura economica e politica dei diversi Paesi, come, per esempio, da un lato, l’Inghilterra, dall’altro l’India”.

***

Dopo questa esposizione, il presidente della seduta (Neurath) informava che “il Presidium è dell’opinione che questa mozione possa essere adottata senza discussione” perché tutte le sezioni sono fondamentalmente d’accordo con la proposta del Presidium. “Tuttavia la Delegazione italiana ha annunciato che essa […] ha l’intenzione di presentare una dichiarazione” – e qui il presidente chiedeva alla Delegazione italiana se intendeva insistere in questa intenzione. Bordiga rispondeva che la Delegazione era d’accordo nel rinunciare alla lettura della dichiarazione, ma chiedeva che venisse comunque messa a verbale. Radek sollevava un’eccezione d’incompatibilità: se qualcosa andava verbalizzato, doveva essere portato a conoscenza del Congresso. Perciò veniva data lettura della seguente dichiarazione:

Dichiarazione della Delegazione italiana,18a seduta, 21 novembre 1922 (da Protokoll des Vierten Kongresses, cit., pag. 544)

La delegazione italiana voterà la mozione di rinvio della questione del programma, ma desidera mettere a verbale che avrebbe preferito che il programma dell’Internazionale fosse discusso e votato nel presente Congresso. Concorda con il criterio sostenuto dal compagno Bucharin per la redazione del programma, e ritiene che la questione del progetto di programma, anche rinviandone la versione definitiva, avrebbe dovuto essere meglio precisata in questa sede”.

Ci siamo soffermati con qualche dettaglio sullo svolgimento della seduta, perché esso riflette lo stato di tensione che inizia a farsi sentire. Sommersa da una marea di altre “questioni”, l’Internazionale accantonò quella del programma per tornare sui problemi specifici, che verranno infine condensati nelle Tesi sulla tattica (fronte unico politico e governo operaio, soprattutto), considerate di primaria importanza, ma che, secondo la Sinistra italiana, non avrebbero dovuto essere stabilite se non dopo l’introduzione di norme sicure e precise sul piano dottrinale.

Sarà solo nove giorni dopo che la questione del programma riemergerà, nel quadro dipinto a 360° in un importante discorso di Bordiga – un discorso che, accanto all’analisi del fascismo e all’atteggiamento tenuto coerentemente rispetto alle questioni tattiche della fusione tra partiti e del noyautage, del fronte unico e del governo operaio, entra a buon diritto nei materiali della storia della Sinistra internazionale.

Discorso Bordiga, 27 seduta, 30 novembre: dibattito sulla riorganizzazione dell’Esecutivo (da Protokoll des Vierten Kongresses, cit., pag. 814-16):

Ho chiesto la parola per parlare sul rapporto del compagno Eberlein in merito alla riorganizzazione del Comitato Esecutivo dell’Internazionale. Chiamato a far parte della commissione, già osservavo che si tratta non soltanto di organizzare il C.E. e il suo lavoro, ma di riorganizzare l’intera Internazionale. Sono in gioco questioni importanti che implicano un’effettiva revisione degli statuti dell’Internazionale in riferimento all’insieme dei rapporti fra le sezioni e la centrale, e all’intero lavoro organizzativo dell’Internazionale in generale.

Ho sollevato la questione della necessità di una revisione degli statuti dell’Internazionale. Il compagno Eberlein ha però detto poc’anzi che questo problema è rinviato al prossimo congresso. Trovo del tutto accettabile in ogni sua parte il progetto di organizzazione. Esso contiene disposizioni che, considerate oggettivamente, sono importantissime, in quanto tendono a eliminare gli ultimi residui dei metodi organizzativi federalistici della vecchia Internazionale. Certo, se in questo stadio del Congresso si potesse allargare un po’ la discussione, ci si potrebbe chiedere se a tutto ciò che sarebbe necessario per la realizzazione di un’effettiva centralizzazione rivoluzionaria si possa provvedere con l’aiuto di una riforma dell’apparato organizzativo. Ho già detto qualcosa, in merito, nel mio discorso sul rapporto del C.E. Non voglio ripetermi. Non ne ho il tempo, del resto; voglio però dichiarare ancora una volta che, se vogliamo portare a compimento un’effettiva centralizzazione, cioè una sintesi delle forze spontanee dell’avanguardia del movimento rivoluzionario nei diversi paesi, per eliminare dalla faccia della terra le crisi disciplinari di cui constatiamo oggi l’esistenza, dobbiamo sì centralizzare l’apparato organizzativo, ma, nello stesso tempo, unificare i metodi di lotta e chiarire con la massima precisione tutto ciò che si riferisce al programma e alla tattica. Dobbiamo spiegare esattamente a tutti i gruppi e a tutti i compagni che aderiscono all’Internazionale che cosa significa l’obbligo, da essi contratto nell’entrare nelle nostre file, di una ubbidienza incondizionata.

Quanto ai congressi internazionali, sono perfettamente d’accordo con l’eliminazione dei mandati imperativi [che davano ai delegati la piena responsabilità di rappresentanza dei loro elettori – NdR] e con la convocazione dei congressi internazionali prima di quelli nazionali. Ammetto senza riserve che si tratta di misure corrispondenti ai principi della centralizzazione; sono però dell’avviso che non dobbiamo limitarci a dichiarare che questi due provvedimenti rispondono agli interessi di una giusta centralizzazione, ma che sul lavoro e l’organizzazione dei congressi si debbano dire parole ancora più gravi.

Noi siamo arrivati alle ultime sedute di questo Congresso, e dobbiamo riconoscere che l’opera da esso svolta non è stata in tutti i campi soddisfacente. Molte questioni importanti sono state sollevate, ma, giunti agli ultimi giorni di dibattito, constatiamo che i dibattiti stessi non sono stati particolarmente attivi.

Dobbiamo esaminare il problema delle dimissioni 2. Sono d’accordo che si debbano impedire le dimissioni. Ma si potrebbe anche adottare la norma applicata con successo nel nostro Partito e consistente nel fatto che tutte le dimissioni vengono immediatamente accolte e che chi le ha date non può, nell’anno o nei due anni successivi, riprendere il suo posto nel partito. Credo che questo sistema porterà a una sensibile riduzione del numero delle dimissioni 3.

Un’altra questione rimasta sul tappeto, e che, nonostante lo stadio in cui si trovano attualmente i lavori del Congresso, dev’essere assolutamente affrontata, è la proposta relativa a un intervallo di due anni fra i singoli congressi mondiali. Se il prossimo Congresso non dovesse essere eccessivamente gravato, come l’attuale, di lavoro e di questioni da discutere, sarebbe certo ottima cosa non ripetere questo enorme dispendio organizzativo, finanziario, ecc. Ciononostante, io sollevo la questione particolare dello spazio di tempo che ci divide dal quinto Congresso.

Noi stiamo per rinviare a questo prossimo congresso questioni di enorme importanza, come la redazione di un nuovo programma dell’Internazionale, o meglio, del suo primo programma, e come la revisione dello statuto, cioè del legame organico intercorrente fra l’Internazionale e le sue sezioni.

Dopo il rapporto dell’Esecutivo, abbiamo a lungo discusso la questione della tattica; i diversi oratori succedutisi alla tribuna hanno però evitato di affrontare il grande problema della tattica dell’Internazionale. Essi si sono limitati a discutere alcuni rilievi dell’Esecutivo sul lavoro o sulla situazione di questa o quella sezione nazionale. In questa discussione, questioni importantissime non sono state invece chiarite come, per esempio, la questione del governo operaio: il testo è stato rimesso a una commissione che non è ancora giunta ad alcun risultato. La questione non è quindi ancora sviscerata, né avremo tempo di farlo. Ora, io non propongo certo di aprire di nuovo una grande discussione sulla questione della tattica, ma se penso al programma, agli statuti, alla tattica, trovo assurda l’idea di tenere il quinto Congresso mondiale solo fra due anni. Io, a nome della maggioranza della Delegazione italiana, mi riservo di sottoporre al congresso la proposta di tenere il quinto Congresso dell’Internazionale, in considerazione del rinvio di argomenti molto importanti, nell’estate o nell’autunno del 1923”.

***

Avendo Kolarov, a nome del C.E., spiegato che il quinto Congresso si sarebbe tenuto l’anno seguente, sebbene fosse stato deciso che, in seguito, i congressi mondiali si tenessero solo ogni due anni, Bordiga si dichiarò soddisfatto del chiarimento. Com’è noto, il V Congresso non si terrà che nel luglio 1924, e l’Internazionale si doterà di un programma generale solo in occasione del VI Congresso, nel 1928. Ma a quell’epoca Zinoviev sarà già stato costretto a dimettersi dalla carica di presidente dell’EKKI (ottobre 1926), Trotski si troverà in esilio ad Alma Ata, l’opposizione allo stalinismo verrà sconfitta a suon di espulsioni. Lo stesso Bucharin, subentrato a Zinoviev nella carica di presidente e relatore del progetto di programma che aveva fatto circolare preventivamente tra i congressisti, era stato pubblicamente e apertamente screditato da Stalin. Un delegato tedesco – scrive E. H. Carr 4 – lodò entusiasticamente il programma perché costituiva un appello all’azione. Sempre Carr ricorda: “L’obbligo di dotare il Komintern di un programma era stato assolto; il documento fu passato agli archivi, e raramente o mai fu invocato dai singoli partiti comunisti o dagli organi centrali residenti a Mosca”.

 

 

1 Cit. in S. Bahne (a cura di), Origines et débuts des partis communistes des pays latins, Vol. I, Archives Jules Humbert-Droz, D. Reidel Publ., Dordrecht 1970, pag. 224.

2 Casi di dimissione individuali o addirittura di interi gruppi all’interno di vari Comitati centrali si erano verificati nei mesi precedenti in più d’una sezione nazionale. Alla luce del fatto che anche la Centrale italiana si sentisse di fatto esautorata e “dimissionata” dall’EKKI, la questione trattata assume rilevanza particolare.

3 Non si può fare a meno di cogliere una nota ironica da parte del relatore, ben consapevole del fatto che, in diversi casi (non solo nel partito italiano), non mancassero talvolta quelli che “si sono resi dei mantenuti abituali perché hanno bisogni personali e abitudini di disordine e di pigrizia, e costoro considerano il partito come una carriera” (dalla lettera di Bordiga ad Ambrogi del 16 settembre 1922, ripubblicata su queste stesse pagine, nel n. 3-4/2014). “Costoro” certamente non avrebbero mai pensato alle dimissioni!

4 E. H. Carr, Le origini della pianificazione sovietica, IV, Einaudi 1978, pag. 239.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista)

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  • Cannibalismo dello Stato colonialmercenario di Israele(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Le masse oppresse palestinesi e libanesi sole di fronte ai cannibali dell'ordine borghese internazionale(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • La lotta delle masse oppresse palestinesi e libanesi è anche la nostra lotta- volantino(Il Programma comunista, n°13, 1982)
  • Per lo sbocco proletario e classista della lotta delle masse oppresse palestinesi e di tutto il Medioriente(Il Programma comunista, n°14, 1982)
  • La lotta nazionale dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Sull'oppressione e la discriminazione dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°19, 1982)
  • La lotta nazionale delle masse palerstinesi nel quadro del movimento sociale in Medioriente(Il Programma comunista, n°20, 1982)
  • Il ginepraio del Libano e la sorte delle masse palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1984)
  • La questione palestinese al bivio ( Il programma comunista, n°1, 1988)
  • Il nostro messaggio ai proletari palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1989)
  • Una diversa prospettiva per le masse proletarie (Il programma comunista, n°5, 1993)
  • La questione palestinese e il movimento operaio internazionale ( Il programma comunista, n°9, 2000)
  • Gaza, o delle patrie galere (Il programma comunista, n. 2, 2008)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • A Gaza, macelleria imperialista contro il proletariato ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • Il nemico dei proletari palestinesi è a Gaza City ( Il programma comunista, n°1, 2013)
  • Per uscire dall’insanguinato vicolo cieco mediorientale (Il programma comunista, n° 5, 2014)
  • Guerre e trafficanti d’armi in Medioriente (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • Gaza: un ennesimo macello insanguina il Medioriente-Volantino (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • L’alleanza delle borghesie israeliana e palestinese contro il proletariato (Il programma comunista, n°6, 2014)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario  ( Il programma comunista, n°3, 2021)
  • A fianco dei proletari e delle proletarie palestinesi! ( Il programma comunista, n°5-6, 2023)
  • Il proletariato palestinese nella tagliola infame dei nazionalismi ( Il programma comunista, n°2, 2024)
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