DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nei Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (Grundrisse, 1857-1858, La Nuova Italia, vol I, pag. 52-53), Marx poneva alcuni quesiti, gli stessi che la realtà imponeva allora e impone ancora oggi. Leggiamo alcuni passi: “Siamo giunti al problema fondamentale:[...] è possibile rivoluzionare i rapporti di produzione esistenti e i rapporti di distribuzione ad essi corrispondenti mediante una trasformazione dello strumento di circolazione – trasformando cioè l’organizzazione della circolazione? [...] è possibile intraprendere una simile trasformazione della circolazione senza toccare gli attuali rapporti di produzione e i rapporti sociali che poggiano su di essi?”. Dopo aver attaccato tutte le proposte che in fondo mirano a impedire il carattere violento delle trasformazioni, così Marx proseguiva: “i moderni istituti di credito sono stati ad un tempo sia effetto che causa della concentrazione del capitale”. Essa “è accelerata sia da una circolazione difettosa, sia da una circolazione scorrevole”. Occorrerebbe dunque indagare “se le diverse forme civilizzate di denaro – moneta metallica, carta moneta, moneta di credito, denaro-lavoro (quest’ultimo come forma socialista) – possono raggiungere ciò che da esse si pretende senza sopprimere lo stesso rapporto di produzione espresso nella categoria del denaro. [...] Le varie forme del denaro possono anche corrispondere meglio alla produzione sociale a vari livelli; e l’una può eliminare inconvenienti per i quali l’altra non è matura; ma nessuna, finché esse rimangono forme del denaro, e finché il denaro rimane un rapporto di produzione essenziale, può togliere le contraddizioni inerenti al rapporto del denaro: può soltanto rappresentarle in una forma o nell’altra. Nessuna forma di lavoro salariato, sebbene l’una possa eliminare gli inconvenienti dell’altra, può eliminare gli inconvenienti del lavoro salariato stesso”.

Nessun cambiamento della forma del denaro dunque può far sparire le contraddizioni inerenti ai rapporti di produzione borghesi. Qualunque sostituzione di una moneta, che abbia chiuso la sua storia, con un’altra ha lo scopo di perpetuare il modo di produzione: in particolare, quando si tratta della moneta di credito, che appare agli opportunisti la forma in cui il denaro si socializza. Se il dollaro è al tramonto, vuol dire semplicemente che i rapporti di forza economici e politici tra gli Usa e gli altri Stati capitalistici stanno mutando o sono mutati. Il grado di questa trasformazione lo si è visto già negli anni ’70, quando gli Usa hanno negato la convertibilità del dollaro con l’oro; ma da allora, pur con cambi flessibili, il dollaro-moneta mondiale è riuscito a essere, seppur temporaneamente, quell’“unità di misura di valore”, che di volta in volta era piazzata dai bottegai nazionali su uno dei piatti della bilancia dei pagamenti per conoscere il contante da riscuotere o da dare.

Gli economisti contro cui Marx diresse le sue aspre critiche sostenevano, come si è sostenuto e si sostiene anche oggi, che il male è rappresentato dal privilegio dell’oro o dei biglietti convertibili in oro. “Degradatelo al rango delle altre merci, avrete eliminato il male definitivamente”, scrivevano. Soluzione assurda, e così – sempre nei Lineamenti – Marx affermava: “Non è lo stesso sistema di scambio borghese a rendere necessario uno specifico mezzo di scambio? Non crea esso necessariamente un equivalente particolare per tutti i valori? [...] gli inconvenienti che derivano dall’esistenza stessa di un particolare mezzo di scambio, di un equivalente, particolare o universale, si riprodurrebbero in qualsiasi forma, seppure diversa”.

La paura diffusa non deriva dunque dalla trasformazione che potrebbe subire la moneta mondiale: è l’assenza del candidato che mette paura. Al passaggio di fase, tra l’inizio della Prima e la conclusione della Seconda guerra mondiale, il dollaro e il marco si erano presentati all’appuntamento storico con le carte in regola contro la sterlina: e tuttavia la detronizzazione avvenne al passo di scarpe chiodate, non di concorsi per premi Nobel.

Il candidato a sostituirsi al dollaro deve presentarsi con una divisa non più nazionale, ma continentale, con un potenziale economico integrato gigantesco, sia economicamente che politicamente. In altri termini, ciò significa capire come si costruiranno le alleanze in funzione della futura guerra. I preparativi richiedono piccoli e medi alleati ed oggi sul mercato si offrono briganti di taglia piccola e media: ma in questione sono le grandi alleanze, che fino all’ultimo giorno utile grideranno il loro peso, reale o fittizio, nel mercato finanziario. La paura è quella che si perda il controllo dell’economia reale, che l’instabilità diventi permanente e irreversibile, che la crisi economica reale affermi il suo dominio sulla crisi finanziaria, scompaginando valori reali e fittizi: il puro artificio del denaro è assolutamente necessario, esso è il feticcio attorno al quale gira in una danza di morte la legge borghese del valore: M = D. Essa può essere stravolta ed è stravolta periodicamente in modo pesante nelle crisi di sovrapproduzione senza generare processi di trasformazione rivoluzionaria. La droga finanziaria e creditizia può essere sostituita da altre droghe, da altri eccitanti funzionali all’iper-accumulazione capitalistica.

Ciò che sarà decisivo sarà l’eliminazione del valore. La nostra prospettiva è quella che il proletariato internazionale torni a battersi sul terreno della lotta di difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro, sottraendo rapidamente e audacemente margini di plusvalore al capitale, spostandoli sul salario. E, nel corso di queste lotte, ritrovata la sua coscienza di classe, il partito rivoluzionario, vada fino in fondo nella conquista del potere e nell’esercizio della dittatura proletaria.

Il capitalismo non crollerà da solo, a causa delle sue crisi economiche. Non esiste una “via economica” al crollo del capitalismo, esiste solo la soluzione decretata dalla dittatura rivoluzionaria: distruzione dell’economia mercantile!


Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2014)


 

 

 
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