DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Gli avvenimenti che si stanno succedendo da mesi nel cuore dell'Europa – le tensioni al confine fra Russia e Ucraina con relativo dispiegamento di eserciti, il distacco della Crimea dalla seconda con adesione finto-democratica alla prima, il clamore politico e mediatico suscitato da ogni parte intorno a questi avvenimenti – mostrano come, sotto la pressione della crisi economica mondiale, la borghesia faccia sempre più ricorso a una carta che ben conosce: quella del nazionalismo.

Per noi comunisti, la “questione nazionale” s'è ormai chiusa da tempo: in Europa, dal 1871 (gli eserciti nazionali di Prussia e Francia che sospendono le operazioni militari per schiacciare insieme il proletariato insorto nella Comune di Parigi); nel resto del mondo, intorno alla prima metà degli anni '70 del '900 (la conclusione del ciclo dei “moti di liberazione nazionale e anti-coloniale”, dall'Algeria al Vietnam, dall'Angola al Mozambico). Al tempo stesso, le due guerre mondiali si sono concluse con il ridisegno del mondo (il trattato di Versailles nel 1919 e la conferenza di Yalta nel 1945, tanto per intenderci) a uso e consumo degli imperialismi vincitori: dunque, lasciando irrisolti tutti i nodi del caso, a costituire le premesse di tensioni future e i pretesti di un futuro nuovo scontro mondiale, quando le dinamiche economiche e sociali l'avessero imposto. La disintegrazione dell'Unione “Sovietica” tra la fine degli anni '80 e gli inizi degli anni '90 del '900 (al termine di una “guerra fredda” che fu guerra fra imperialismi) completò... l'opera. Così, sempre sotto la pressione della crisi economica, assistiamo a un processo di balcanizzazione che ha nel Mediterraneo e dintorni la sua area critica più evidente (ma non l'unica: altre faglie corrono lungo le coste dell'Estremo Oriente, fra India, penisola indocinese, Cina e Giappone).

 

Come scrivevamo già nel 1952-3, l'Europa è giungla di nazionalismi. Lo è stata sempre, ma oggi lo diviene ogni giorno di più: da ogni parte, si propongono inesistenti “questioni nazionali” ancora aperte, si alimentano movimenti nazionalisti, si inneggia al nazionalismo come logica continuazione e coronamento dei principi democratici borghesi di “Liberté, égalité, fraternité”. Sull'arco di una sessantina d'anni abbondanti, il mondo dominato dal capitale ha fatto il suo giro, ed è tornato ancora una volta al punto di partenza di tutti i contrasti inter-imperialistici, la pre-condizione dei due macelli mondiali: gli USA, la Germania, la Russia, la Francia (cui si è aggiunta ora l’area asiatica, con effetti potenzialmente ancor più devastanti), gli stati fittizi disegnati sulla carta dai vincitori, il revanscismo e la retorica patriottarda. Sempre più chiare appaiono anche le mistificazioni che hanno dominato per tutto il secondo dopoguerra: gli USA come “garanti della pace mondiale”, la Russia come “patria del socialismo”, l'Europa “in via di unificazione”... mistificazioni che hanno sempre nascosto la realtà vera agli occhi dei proletari (che intanto sgobbavano nella furibonda estrazione di plusvalore di tutti quei decenni, fino alla saturazione dei mercati nella crisi di sovrapproduzione di merci e capitali): che cioè di imperialismi contrapposti si è sempre trattato, che la “pax americana” era foriera di nuove guerre (finora combattute lontano dall'Europa, ma negli ultimi decenni sempre più vicine al suo cuore), che la Russia è un capitalismo imperialista come gli altri, che quella dell'Europa è sempre stata e sempre sarà un'unità fittizia, che la Germania continua a essere il perno intorno a cui ruota ogni dinamica economico-politica europea... 1

 

Ora, dopo settimane di tensione, la situazione in Ucraina sembra avviata verso uno stallo prolungato che non esclude improvvisi inasprimenti. Torneremo ancora su questa situazione, mostrandone origine e sviluppi; come torneremo ancora sullo scenario in continua (e sanguinosa) ebollizione che si dispiega dalla Libia all'Egitto e alla Siria, con il continuo stillicidio di massacri di popolazioni prese dentro alla morsa di imperialismi e nazionalismi. Ovunque, i contrasti che due guerre mondiali hanno lasciato irrisolti (e che sono irrisolvibili entro il modo di produzione capitalistico) tornano a essere i presupposti di un prossimo macello mondiale.

 

In tutto ciò, il proletariato non ha fatto sentire la propria voce. Schiacciato dalla crisi economica, abbandonato a se stesso dopo la distruzione storica del suo partito comunista perpetrata ormai da novant'anni, subisce colpi e contraccolpi sempre più violenti. Ma l'insistenza con cui le varie borghesie, alleate o momentaneamente contrapposte, agitano il vessillo nazionale (utilizzando a questo scopo, con macabro cinismo, anche il centenario dello scoppio del primo macello mondiale) mostra con evidenza che il loro vero terrore sta nella possibilità di un risveglio proletario. Il virus del nazionalismo deve preparare il terreno al disporsi degli schieramenti futuri, ma soprattutto deve servire a fiaccare in anticipo ogni velleità di indipendenza ideologica e materiale da parte di un proletariato finora disorientato e passivo.

La ripresa classista, sotto la pressione incalzante della crisi, dovrà allora passare necessariamente attraverso la riconquista di una delle chiavi di volta della prospettiva rivoluzionaria, cui a partire da questo numero dedichiamo ampio spazio di materiali teorici e storici: la proclamazione e la pratica del disfattismo rivoluzionario, sia sul piano economico e sociale (rifiuto di sacrificarsi a ogni livello a favore della “Patria”) sia su quello politico (rifiuto di considerare i proletari delle altre nazioni come nemici e di appoggiare lo sforzo bellico della “propria” borghesia). Ma ciò potrà e dovrà avvenire solo grazie al rafforzamento e al radicamento, nella classe proletaria mondiale, del Partito comunista internazionale.

 

1E, in prospettiva, anche militare: non a caso, mentre scriviamo (fine marzo), la Germania sta inviando, per la prima volta, contingenti militari nei Paesi Baltici e in Polonia (cfr. La Repubblica del 31/3/2014) – un fatto che parla da sé e pone le basi, come molti altri fatti succedutisi in queste settimane, per precedenti di non ritorno.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2014)

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