DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 La minaccia di chiusura che grava sulle aziende italiane appartenenti alla multinazionale svedese Electrolux rappresenta un ulteriore, tipico esempio dei processi in corso nell'economia europea e mondiale e del ruolo che vi svolgono le grandi multinazionali e i fondi di investimento. Il gruppo, leader nel settore degli elettrodomestici "bianchi", dovendo affrontare la concorrenza sempre più aspra e dovendo perciò ridurre i costi di produzione, interviene con la mannaia là dove i costi sono maggiori e meno comprimibili e dove il contesto territoriale è meno favorevole alle esigenze delle imprese. Potendo scegliere dove produrre, delocalizza trasferendo intere produzioni in aree che offrono condizioni più vantaggiose per fare profitti. La competizione a livello mondiale si riflette all'interno del gruppo che ha sedi in diverse nazioni, e da questo ai territori. Accade così che oggi un'area a vocazione industriale come la Provincia di Pordenone rischia di perdere un altro fondamentale insediamento produttivo che si aggiunge alla recente chiusura, probabilmente definitiva, dello stabilimento Ideal Standard di Orcenigo, dove 409 addetti su 410 (il "salvato" è un dirigente) hanno ricevuto la raccomandata che li dichiara "in esubero".

 

 

Anche in quest'ultima vicenda si sta consumando una guerra tra territori, in questo caso contigui, a vantaggio dello stabilimento del gruppo, facente capo al fondo Bain Capital, con sede in Veneto. Di questi tempi, situazioni che coinvolgono aziende di proprietà di multinazionali o di fondi di investimento si ripetono ormai con frequenza (in Friuli è il caso della acciaieria Polini e Bertoli, di proprietà di un gruppo russo, e della Italricambi, solo per fare esempi recenti); oltretutto, quando si tratta di fondi di investimento, le proprietà spesso non sono fisicamente individuabili e si sottraggono al confronto coi sindacati e i poteri locali, non si fanno scrupolo di imporre degli aut-aut o di procedere a dismissioni e chiusure di impianti, senz'altra logica che quella puramente capitalistica della redditività delle produzioni in rapporto alle possibilità di fare migliori profitti altrove.

Si scatena così una guerra senza confini che deve stabilire i sommersi e i salvati, chi deve morire e chi sopravvive, e si innesca una gara al ribasso che obbliga gli operai ad accettare condizioni salariali e di lavoro peggiorative in cambio della salvezza della fabbrica – "conquista" che, anche se raggiunta, non comporta la certezza che una nuova situazione di crisi non si ripresenti nel giro di qualche anno o di qualche mese. E' il Capitale che decide e pone le proprie condizioni a tutti. Così anche gli amministratori locali, nei limiti delle loro prerogative, si attivano contro la "desertificazione produttiva" del loro territorio offrendo quanto possono in termini di agevolazioni all'impresa che minaccia di andarsene, magari tagliando nei bilanci le spese per i servizi diretti alla popolazione. E il Capitale, come una fanciulla contornata da spasimanti in ginocchio, gongola. Come accade nelle fiabe, la bella reginetta convoca gli aspiranti e lancia loro la sfida: sceglierò chi di voi saprà superare tre difficili prove. Di solito, nella fiaba del Capitale queste prove consistono nel tagliare il maggior numero possibile di teste di proletari e nello stringere catene più pesanti per gli operai che restano.

Nel caso della “Reginetta Electrolux”, probabilmente i calcoli sono già stati fatti da tempo e le decisioni già prese. Difficile che il Pordenonese possa sostenere il confronto con il distretto degli elettrodomestici sorto di recente nella regione polacca della bassa Slesia, nei pressi di Wroclaw, modellato proprio su quello del Nordest italiano, ma che offre vantaggi nettamente superiori per le imprese: il costo orario medio di un operaio polacco è di 10 euro (di cui 2 di oneri sociali), contro i 24 euro (di cui 8 di oneri sociali) di un italiano. Ma, oltre ai vantaggi di un "costo del lavoro" più che dimezzato, l'impresa è attratta in Polonia da agevolazioni fiscali (sgravi del 50% sul capitale e del 19% sui profitti) e da prezzi dell'energia inferiori del 20-30%. Evidentemente non c'è gara. Con l'acuirsi della concorrenza sui mercati mondiali, è sempre più decisivo l'intervento messo in campo dagli Stati per offrire condizioni più competitive alle imprese, e in questa fase il governo italiano – nonostante le dichiarazioni di intenti – è in grado di offrire solo un taglio del carico fiscale sulle buste paga talmente irrisorio da suonare come una presa per i fondelli. Così la "desertificazione produttiva" prosegue a ritmi incalzanti, mandando sul lastrico migliaia di famiglie operaie.

In più, la vicenda si inquadra nella crisi generale dell'Europa mediterranea e del contemporaneo rafforzamento dell'Europa nordica, centrata sulla potenza industriale tedesca attorno a cui gravitano le economie "emergenti" dell'Est. A Wroclaw, in Polonia, la Electrolux ha già approntato uno stabilimento-clone di quello pordenonese di Porcia, in grado di assorbire molta parte delle produzioni dei quattro stabilimenti italiani.

Ma la Reginetta dei frigoriferi conosce le buone maniere e, prima di prendere decisioni definitive e liquidare i vecchi rapporti, ha voluto offrire un'ultima possibilità: "Electrolux ha deciso di aprire un'investigazione su tutti gli stabilimenti italiani di elettrodomestici per verificare se e con quali azioni di innalzamento di competitività e riduzione di costo sia possibile ripristinare la sostenibilità delle produzioni oggi gravemente compromesse nel contesto europeo".

Ora sta ai pretendenti italici – sindacati, governo, amministrazioni locali – attivarsi per offrire a Sua Grazia su un piatto d'argento il regalo richiesto: che fuor di metafora significa licenziamenti, flessibilità, ulteriore subordinazione della forza lavoro, agevolazioni, ecc. Tra i vari pretendenti, siamo certi che i sindacati si faranno in quattro per far digerire l'amaro boccone agli operai, invocando “le crude e inesorabili leggi economiche”, e con quasi altrettanta certezza prevediamo che alla fine si lamenteranno della “mancanza di una politica industriale nazionale” come causa della fuga all'estero di Sua Maestà il Capitale. Svolgeranno ancora una volta fino in fondo il ruolo di sindacati corporativi, guardandosi bene dal chiamare gli operai alla lotta unitaria contro le pretese dell'azienda. Alla Electrolux, i sindacati hanno già annunciato forme "creative" di protesta allo scopo di ... "sollecitare l'attenzione dell'opinione pubblica"! La via maestra per un'altra sconfitta è segnata. D'altra parte, se si accetta in pieno la logica del Capitale, della concorrenza, della competizione, della produttività, dell'efficienza, poi non ci si può lamentare se altrove qualcuno sa o può far meglio: "It's the economy, stupid!". E più ancora, in questa stessa logica, lo sciopero, da arma di difesa della condizione operaia, diviene una minaccia, un deterrente, che rischia di innervosire ulteriormente la bella ma irritabile fanciulla e indurla alla fuga verso luoghi che non conoscono simili forme di... maleducazione. Alla fine, chi resterà fregato sarà sempre l'operaio. Eppure, gli operai Electrolux hanno già dato: solo nel marzo scorso hanno subito un accordo che prevede un migliaio di esuberi negli stabilimenti italiani del gruppo, gestito in parte con la cassa integrazione, in parte con contratti di solidarietà. Ma evidentemente la Reginetta dei frigoriferi è insaziabile e se si addolcirà con nuove concessioni sarà ben presto pronta ad alzare il prezzo.

Lungo questa china di continui cedimenti, in nome del malinteso "realismo" dei sindacalisti che spacciano ogni svendita come necessaria per la "difesa del posto di lavoro", gli operai hanno solo da perdere, e alla fine si troveranno ad aver venduto anche l'anima in cambio di un pugno di mosche.

Il nuovo piano di ristrutturazione annunciato dall'azienda prevede da subito oltre mille esuberi sui 7500 dipendenti in Europa, di cui 200-300 in Italia, per la maggior parte concentrati a Porcia, dove si aggiungono ai 300 persi in virtù del precedente accordo. In prospettiva, la minaccia di chiusura degli impianti italiani mette a rischio licenziamento 4000 addetti diretti, più l'indotto. Tutto il tessuto industriale del Pordenonese gravita storicamente attorno al polo industriale che un tempo si chiamava Zanussi. Qui sono in ballo almeno 2000 posti in aziende che producono quasi esclusivamente per l'Electrolux (motori, lavorazioni plastiche, gomma) e forniscono servizi (trasporti, pulizie, mense). Si può immaginare l'impatto che avrebbe la chiusura dello stabilimento di Porcia (1400 dipendenti) su una zona, il Friuli occidentale, che a causa dei fallimenti dovuti alla crisi conta già oggi 11.000 iscritti nelle liste di disoccupazione e 6000 a rischio licenziamento, in regime di cassa integrazione speciale. Si potrebbero raggiungere i 20.000 senza lavoro su una popolazione attiva di circa 150.000, senza contare le ricadute sul commercio e altre attività di servizio.

Intanto, sale la protesta operaia. Alla Ideal Standard, in un clima di grande tensione, gli operai hanno occupato lo stabilimento dichiarandosi in assemblea permanente, mentre i dirigenti si asserragliavano negli uffici chiedendo al protezione della polizia e i sindacalisti li invitavano significativamente a "continuare a produrre" per deviare la rabbia verso forme di protesta innocue e autolesioniste. Nel frattempo, i dipendenti di Porcia – operai e impiegati uniti dal destino comune – scendevano in sciopero e occupavano simbolicamente la statale. Sulla spinta della protesta, i sindacati hanno dovuto rinnovare il rituale della mobilitazione. Vista la posizione irremovibile dell'azienda, alla Ideal Standard il loro ruolo si limiterà a contenere e circoscrivere la lotta operaia, mentre alla Electrolux lo spiraglio lasciato dalla "investigazione" li vedrà pronti ad avviare quel "confronto sulla produttività" che – lamentano – finora l'azienda non ha inteso avviare. E' probabile che, com'è accaduto in passato in situazioni analoghe, saranno organizzati "presìdi" davanti agli stabilimenti: qualche bandiera, capannelli di lavoratori che discutono, all'inizio animatamente, forti del numero e della rabbia che li accomuna, increduli di fronte a un'azienda che li ha sfruttati per anni illudendoli della garanzia di un posto sicuro; poi, alle notizie demoralizzanti sui risultati delle trattative, l'animosità che si smorza al crescere della sfiducia e della rassegnazione, e la solidarietà spontanea dell'avvio della mobilitazione che lascia il posto alla ricerca disperata di una soluzione individuale che preservi la famiglia e i figli dall'indigenza. Le autorità civili e religiose, inizialmente prodighe di dichiarazioni di solidarietà e di appelli melensi alla proprietà, ben presto si interesseranno ad altre emergenze, e così pure l'informazione. Gli operai rimarranno soli, come del resto sono sempre stati, ciascuno alle prese con le bollette, gli affitti o i mutui da pagare, spinti fino all'umiliazione di dover contare sulle pensioni dei vecchi e di rivolgersi all'assistenza sociale o, come succede a molti di questi tempi, alla Caritas.

E' facile prevedere lo svolgimento di un film già visto che racconta ogni volta la stessa storia di sconfitta, in cui gli operai vengono ingannati e indotti a rincorrere obiettivi che non faranno che peggiorare la loro condizione di schiavi del capitale, a partecipare alla finzione di una lotta che ha il solo scopo di sostenere la richiesta all'azienda che li sfrutta di sfruttarli ancora di più. In questo, il realismo dei sindacalisti maschera una subordinazione totale agli interessi dell'impresa.

 

Da comunisti, ci auguriamo che questa volta non finisca così, che gli operai si organizzino per difendere la propria classe dall'aggressione alle condizioni di vita e di lavoro a cui è sottoposta, mettendo finalmente al primo posto le loro esigenze di esseri umani, di proletari gettati nel tritacarne del Capitale. Ma, per organizzarsi, bisogna uscire dalla logica che condiziona da decenni le lotte operaie, che le subordina agli interessi dell'avversario di classe e le riduce a vertenze circoscritte, regolarmente in perdita. Nel teatrino delle trattative, i soliti attori recitano sempre lo stesso copione, con gli operai che assistono impotenti sventolando innocue bandierine. E' necessario invece prendere in mano la lotta ed estenderla, e per farlo ci si deve riconoscere come membri di una classe che va ben oltre la fabbrica, che abbraccia tutti i proletari, occupati e non occupati, accomunati da una condizione di asservimento che ormai non conosce confini. Su questa base è possibile organizzarsi, fare appello alla fattiva solidarietà dei proletari del territorio ed allargare il più possibile la lotta. Così facendo si può costruire una forza formidabile, in grado oggi di resistere, di difendersi e respingere le pretese dei padroni, domani di passare all'attacco del potere sotto la guida del partito di classe.

In questi tempi di crisi, di emergenze che si susseguono senza soluzione di continuità, hanno già iniziato a cantare le sirene nazionalistiche: i volantini distribuiti alla Electrolux dal cosiddetto Partito dei Comunisti Italiani (l'aggettivazione finale li qualifica) inneggiano alle nazionalizzazioni come risposta allo "strapotere dei padroni". E' la voce di quanti, in nome della difesa dell'industria e dell'occupazione nazionali, mettono obiettivamente gli uni contro gli altri i proletari dei diversi Paesi, mascherando con proclami populisti l'obiettivo di riaffermare in ciascuna nazione la logica dello sfruttamento. Questo inganno è tanto più subdolo in quanto si traveste da parole d'ordine "operaie", tanto nelle varianti democratiche che invocano nazionalizzazioni, "investimenti produttivi" e "politiche industriali" nazionali per creare "posti di lavoro", quanto in quelle – solo in apparenza opposte – che in molte parti d'Europa ripropongono soluzioni nazionaliste di stampo più o meno dichiaratamente fascista, appellandosi anch'esse ai "lavoratori". L'obiettivo di tutte queste forze è perpetuare le condizioni di sfruttamento del lavoro salariato. Il nazionalismo è, in tutte le sue manifestazioni, arma ideologica del Capitale. Di fronte al Capitale internazionale, la lotta non può che essere internazionale, chiama all'unità i fratelli di classe di ogni dove, da Porcia a Wroclaw e ovunque il Capitale domina e ricatta. "Proletari di tutti i Paesi, unitevi!" non è un vecchio slogan, ma l'appello quanto mai attuale che riassume stupendamente l'idea che ci guida e l'arma per realizzarla.

 

Partito Comunista Internazionale 

 

(il programma comunista n°06 - 2013)
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