DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 In questo mondo che celebra i diritti dell'individuo borghese come supremo traguardo della Storia Universale, la libertà di pensiero e di parola assume la forma dell'“opinione”, ma mai come nel tempo presente le opinioni sui fatti umani appaiono di un’uniforme vuotaggine. L'informazione è talmente controllata da pochi grandi gruppi pubblici e privati che, quando capita di leggere sulle pagine dei giornali l'espressione di un pensiero un po'… “divergente”, si è portati a rileggere con più attenzione per accertarsi di non aver frainteso. E' il caso di un articolo, il cui titolo, a prima vista, potrebbe anche apparire su un giornale di sinistra: "L'ozio rivoluzionario e lo spreco della vita consacrata al lavoro" (Il Gazzettino, 7 giugno 2013). L'autore, Massimo Fini, così delinea la “questione”: "Noi ci sentiamo obbligati a lavorare, a produrre, a consumare, anzi, paradosso dei paradossi, a consumare per produrre, a ritmi sempre più ossessivi, parossistici, angosciosi, stressanti. Il doverismo del lavoro – che è funzionale al sistema, non certo a noi – ci domina e ci sovrasta. Non riusciamo più a distinguere ciò che è essenziale da quello che non lo è. Siamo travolti da questo sinistro doverismo, accecati".

 

Nobili parole per una nobile causa!”, dirà qualcuno. A prima vista, solo a prima vista. Il paradosso del "consumare per produrre" è un modo per esprimere la condanna del capitalismo come sistema in cui tutto è finalizzato alla produzione, alla produzione per il profitto, tanto che gli stessi bisogni umani sono soddisfatti solo in quanto consentono la realizzazione del profitto, non certo per se stessi; e in cui la vita umana è sottoposta alla quotidiana pressione di un sistema che impone ritmi e obiettivi cui ci si deve piegare per sopravvivere, pena l'emarginazione, la miseria, la rovina. L'essenziale diviene così il lavoro, la produzione, mentre la vita stessa, il suo tempo, che dovrebbe realizzare la natura umana nella sua integrità e potenzialità, diventa un accessorio: nega se stessa per alimentare il mostro produttivo che succhia lavoro vivente ed erutta merci in quantità crescenti. Appena uno si ferma a riflettere – sempre che possa farlo – non può non riconoscere che la sua vita è sprecata, che il sistema è demente, che la follia è la cifra caratteristica del quotidiano agitarsi di masse umane che sacrificano la propria esistenza al lavoro.

 

E fin qui può anche andare. Ma, a sentir l'“anticonformista” Fini, Marx andrebbe inscritto tra gli adoratori del Dio Lavoro al pari dei liberisti! Sentiamolo: "Per Marx il lavoro è 'l'essenza del valore' (e non a caso Stakanov diverrà, simbolicamente, un eroe dell'Urss), per i liberisti è esattamente quel fattore che combinandosi col capitale dà il famoso 'plusvalore'".

 

Come giudicare l'enorme abbaglio di attribuire a Marx (a Marx!) un'“etica” del lavoro, tracciando addirittura una discendenza diretta del mito di Stakanov, quando tutta la sua opera è dedicata a smascherare i meccanismi di sfruttamento del lavoro umano su cui si fonda il sistema di produzione capitalistico (che ha caratteri specifici propri, anche se a un certo punto si presenta in veste "sovietica"), allo scopo di liberare l'umanità dalla schiavitù del lavoro salariato? Sforzandoci di capire da dove può nascere l'“equivoco”, prendiamo la definizione di Marx della legge del valore. Marx semplicemente riconosce che "un valore d'uso, o un bene, ha valore soltanto perché in esso viene oggettivato, o materializzato, lavoro astrattamente umano. E come misurare ora la grandezza del suo valore? Mediante la quantità della 'sostanza valorificante', cioè del lavoro, in essa contenuta. La quantità del lavoro a sua volta si misura con la sua durata temporale, e il tempo di lavoro ha a sua volta la sua misura in parti determinate di tempo, come l'ora, il giorno, ecc." (Il Capitale, Libro I, Ed. Riuniti, 1980, pp.70-71).

 

Fini dunque confonde grossolanamente la legge del valore espressa da Marx (e da altri prima di lui) con l'attribuzione di un... “valore etico” al lavoro. Quando qui Marx parla di valore, si riferisce tra l'altro al prodotto del lavoro umano come merce, che dunque ha una sua limitatezza storica, all'opposto del valore d'uso, contenuto dei prodotti del lavoro umano in tutte le epoche. Solo lo scambio delle merci presuppone un confronto tra valori contenuti in prodotti differenti e "se si prescinde dal valore d'uso dei corpi delle merci, rimane loro soltanto una qualità, quella di essere prodotti del lavoro" (Idem). Ne consegue che quando finalmente l'umanità avrà superato l'era capitalistica, se ne farà un baffo dell'"essenza del valore", e sarà interessata solo ai valori d'uso e alla contabilità quantitativa della ricchezza sociale prodotta.

 

Nella società presente, il lavoro, unica fonte di valore, è ugualmente la fonte del "famoso [?] plusvalore", mentre nel profitto si mistifica l'origine della nuova ricchezza prodotta facendola derivare dal capitale nella sua totalità. Anche qui il giornalista, forse richiamando un po' a memoria vecchie letture, fa una bella confusione tra plusvalore e profitto: ma certo non si pretende un buon esercizio di marxismo da chi marxista non è!

 

Il capitale estorce valore dal lavoro umano (plusvalore) e comprime sempre più la quota relativa di valore prodotto destinata al consumo dell'operaio, intensifica lo sfruttamento del lavoro vivente, sia in termini relativi, con l'introduzione di tecnologie sempre più sofisticate che ne aumentano la produttività, sia assolutamente, con l'estensione della giornata lavorativa, l'aumento dei ritmi, ecc. Così, mentre la dinamica del capitale comporta, con l'aumentata produttività, una progressiva riduzione del tempo di lavoro socialmente necessario in rapporto al volume del prodotto, la condanna del lavoro salariato viene perpetuata dalla necessità del capitale di incrementare costantemente la produzione per soddisfare non i bisogni umani, ma la sua propria fame di profitto. La stessa dinamica che genera un crescente risparmio di lavoro umano, invece di tradursi in fattore di liberazione, genera ulteriore sottomissione: la forza lavoro espulsa passa dalle catene della produzione all'abisso della miseria, pronta più che mai a vendersi a qualunque prezzo a un nuovo compratore di questa merce, tanto più redditizia quanto più abbondante; chi rimane nel luogo di produzione è soggetto a uno sfruttamento ancora maggiore e più intenso in virtù dell'accresciuta produttività, senza contare l'aumento dei ritmi e della giornata lavorativa che il capitale persegue ogni volta che ne rileva la necessità e la possibilità. Le potenzialità di liberazione che lo stesso capitalismo ha creato si convertono dunque nel loro opposto. Nella prospettiva comunista, esse si esplicheranno e si realizzeranno solo quando la rivoluzione sociale spezzerà i limiti dei rapporti di produzione entro i quali sono costrette le forze produttive che lo stesso capitalismo ha generato.

 

Ma affidiamoci ancora alle parole di Marx: "Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio deve cessare di essere la misura del valore d'uso. Il pluslavoro della massa ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non-lavoro dei pochi ha cessato di essere condizione dello sviluppo delle forze generali della mente umana. Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla, e il processo di produzione materiale immediato viene a perdere anche la forma della miseria e dell'antagonismo. [Subentra] il libero sviluppo delle individualità, e dunque non la riduzione del tempo di lavoro necessario per creare pluslavoro, ma in generale la riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico, ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro" (Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, I, La Nuova Italia, 1978, p.401-402).

 

Come si vede, Marx prefigura in modo inequivocabile, nella società comunista, l'“ozio” finalizzato alla crescita completa delle potenzialità sociali e individuali, finalmente liberate dagli angusti limiti dei rapporti di produzione di una società di classe. Stakanov c'entra con Marx come i cavoli a merenda, e se c'è un'“etica” in Marx – posto che il materialismo non concepisce una morale avulsa dai rapporti sociali – è quella della liberazione dal lavoro salariato, come costrizione e catena che lega l'esistenza di ciascuno a una mansione determinata. Ma c'è dell'altro: l'identificazione del lavoro con la fatica e la costrizione e del tempo libero con il riposo e il soddisfacimento dei bisogni è propria della società capitalistica, rappresenta la condizione caratteristica di un mondo fondato sull'alienazione del lavoro. Marx infatti non condanna il lavoro in sé, ma il lavoro alienato, quello che separa l'uomo dal suo prodotto, dalle condizioni del lavoro, e l'uomo dall'uomo. Egli condanna lo sfruttamento del lavoro salariato come appropriazione di lavoro altrui e fondamento della proprietà privata, ma identifica il lavoro libero e creativo come l'elemento distintivo della specie umana rispetto alle altre specie animali:

 

"La creazione pratica di un mondo oggettivo, la trasformazione della natura inorganica è la riprova che l'uomo è un essere appartenente a una specie e dotato di coscienza [...]; l'uomo produce anche libero dal bisogno fisico, e produce veramente soltanto quando è libero da esso; l'animale riproduce soltanto se stesso, mentre l'uomo riproduce la stessa natura; [...] l'uomo costruisce anche secondo le leggi della bellezza" (Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, 1980).

 

Qui certamente Marx esalta il lavoro umano, ma come attività creativa che si esplica solo in condizioni di libertà dalla costrizione: tutt'altra cosa rispetto alla condizione mortificante della schiavitù salariata. L'ozio e il lavoro appartengono allora allo stesso tempo di vita, sono frutto di libertà, si identificano, e nella società comunista diventano espressione artistica individuale e sociale, del tutto estranea al produttivismo oggi imperante.

 

Quando i limiti degli attuali rapporti di produzione saranno spezzati, non vi sarà affatto un aumento quantitativo assoluto della produzione. Il marxismo respinge tanto l'“etica del lavoro” quanto l'“etica della produzione”, entrambi idoli del capitalismo. Cosa, come e quanto produrre saranno determinati in base alle necessità sociali, ambientali, di specie, non a finalità di accumulazione, privata o statale che sia, e il lavoro socialmente necessario a garantire la continuità della specie in armonia col mondo naturale sarà commisurato a quelle necessità. In questo modo, al risparmio di lavoro umano corrisponderà un aumento dei “costi di produzione”, senz'altro criterio che la massima qualità del prodotto in rapporto alle esigenze di specie che deve soddisfare. Il risparmio di lavoro umano sarà poi moltiplicato dalla scomparsa di una miriade di produzioni inutili, dannose e inquinanti che oggi escono dalle fabbriche al solo scopo di generare profitti, e da tutta una serie di attività e "servizi" che fioriscono sul terreno del mercato e della società di classe – banche e galere in primis.

 

Il fatto che, complice la crisi, un numero crescente di chierici del capitalismo, senza per questo rinnegare la propria classe, manifesti preoccupazioni per gli aspetti più evidentemente degenerativi del presente – dall'ambiente alle disuguaglianze, dalla follia produttivistica alla disoccupazione, dal consumo delle risorse alle guerre – è uno dei tanti segnali del grado di decomposizione raggiunto dall'attuale sistema economico e sociale. Si va dai “teorici della decrescita” ai fautori di politiche governative ispirate a un criterio di misurazione del grado di progresso che non sia il Pil (tra questi “l'Indice di Felicità Interna Lorda” è il più strampalato), ai profeti di un “catastrofismo salvifico” che porterà il mondo, chissà come, a una nuova età dell'oro, o a un nuovo Medioevo fatto di comunità isolate e autosufficienti... Nelle sue manifestazioni più radicali, il catastrofismo regressivo che prefigura un disastro ambientale e sociale di proporzioni immani e il ritorno dell'umanità a condizioni pre-industriali o peggio, è in un certo senso il meno distante dal marxismo rivoluzionario, che prende in considerazione la possibilità, in assenza della rivoluzione comunista vittoriosa, della "rovina di tutte le classi in lotta" e del declino della specie.

 

Anche il marxismo è catastrofista, ma nella sua visione non c'è rassegnazione, bensì piena coscienza sia dei guasti del presente che delle sue potenzialità: il capitalismo si sviluppa attraverso ricorrenti crisi distruttive, si appropria di risorse naturali e umane in proporzioni crescenti; ma nello stesso tempo ha pienamente sviluppate tutte le condizioni per consentire fin d'ora il passaggio al comunismo, alla società di specie. La società capitalistica è gravida della società futura.

 

Quale che sia la soluzione o l'esito prospettato di fronte a un disastro percepito ormai come incombente, questa variegata platea di critici del capitalismo è affratellata dal rifiuto del comunismo, identificato immancabilmente con l'esperienza dello stalinismo e completamente ignorato nei suoi presupposti teorici e nella sua storia, salvo esibire qua e là citazioni di Marx, se non altro per dar prova di averlo preso in considerazione come... “filosofo”.

 

Nell'articolo considerato, l'autore deforma completamente il pensiero di Marx e nello stesso tempo si appropria di alcuni aspetti della sua analisi della società capitalistica. Ma anche se si fosse richiamato correttamente alla critica di Marx sarebbe rimasto fuori dal marxismo e dal comunismo. Ciò che distingue tutte le soluzioni non marxiste alla crisi epocale del mondo borghese non è la critica in sé che, anche se radicale, rimane esercizio da intellettuale: è il rifiuto di riconoscere la necessità storica del passaggio rivoluzionario alla società futura, che implica la lotta di classe, l'organizzazione della classe in partito e la sua dittatura nella fase di transizione.

 

Qual è invece la "soluzione" proposta dal giornalista? Il suo articolo si conclude così: "Diamoci una calmata, l'ozio è rivoluzionario". Il nostro amico la fa semplice, e sarebbe altrettanto semplice ironizzare confrontando l'immane mole di lavoro che il movimento comunista ha prodotto sulla questione del passaggio alla società futura. Tuttavia, la frase riassume in estrema sintesi l'unica vera soluzione che la politica borghese è stata ed è in grado di mettere in atto: il controllo delle forze produttive attraverso l'azione dispotica dello Stato. In una parola, si tratta dell'esercizio aperto della dittatura di classe che passa storicamente sotto il nome di fascismo. Solo la forza dello Stato può tentare di mettere un freno alla crescente anarchia del sistema capitalistico, anche se oggi il compito è reso assai più arduo che in passato dall'enorme sviluppo delle forze produttive e dalla complessità delle dinamiche economiche e sociali su scala planetaria. L'invito a "darsi una calmata" esprime nulla più che un pio desiderio che le cose si rimettano un po' in ordine, affinché chi ozia possa continuare tranquillamente a oziare e chi fatica per un salario possa ancora tollerare la propria pena quotidiana.

 

Per quanto l'immagine di una società futura totalmente libera da sfruttamento e oppressione possa apparire utopica con gli occhi del pidocchioso presente, la visione di Marx è fondata materialisticamente sull'analisi scientifica della società capitalistica, della sua dinamica storica, delle sue contraddizioni, e, mentre ne svela la transitorietà, indica la strada per il suo superamento dialettico in una società più evoluta. Il marxismo non è pura teoria: è un'arma rivoluzionaria. Esso è l'unico sistema di pensiero che fornisce strumenti per la comprensione scientifica del presente e per l'azione trasformatrice, in continuità con quella che si è esplicata lungo tutto il corso delle società di classe e, come movimento comunista, dal 1848. Mentre rimane sempre vitale il nostro richiamo di allora all'unità dei proletari di tutto il mondo, risuona in varianti più o meno fantasiose, ma con sempre meno convinzione, quello del nostro eterno nemico di classe: "Borghesi di tutto il mondo, diamoci una calmata"!

 

Partito Comunista Internazionale 

(il programma comunista n°06 - 2013)
INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
ARTICOLI GUERRA UCRAINA
RECENT PUBLICATIONS
  • Il proletariato nella seconda guerra mondiale e nella
    Il proletariato nella seconda guerra mondiale e nella "Resistenza" antifascista
      PDF   Quaderno n°4 (nuova edizione 2021)
  • Storia della Sinistra Comunista V
    Storia della Sinistra Comunista V
  • Perchè la Russia non era comunista
    Perchè la Russia non era comunista
      PDF   Quaderno n°10
  • 1917-2017 Ieri Oggi Domani
    1917-2017 Ieri Oggi Domani
      PDF   Quaderno n°9
  • Per la difesa intransigente ...
    Per la difesa intransigente
NOSTRI TESTI SULLA "QUESTIONE ISRAELE-PALESTINA"
  • Israele: In Palestina, il conflitto arabo-ebreo ( Prometeo, n°96,1933)
  • Israele: Note internazionali: Uno sciopero in Palestina, il problema "nazionale" ebreo ( Prometeo, n°105, 1934)
  • I conflitti in Palestina ( Prometeo, n°131,1935)
  • Gli avvenimenti in Palestina (Prometeo, n°132,1935)
  • Israele: Fraternità pelosa ( Il programma comunista, n°21, 1960)
  • Israele: Il conflitto nel Medioriente alla riunione emiliano-romagnola (Il programma comunista, n°17, 1967)
  • Israele: Nel baraccone nazional-comunista: vie nazionali, blocco con la borghesia ( Il programma comunista, n°20, 1967)
  • Israele: Detto in poche righe ( Il programma comunista, n°18, 1968)
  • Israele: Spigolature ( Il programma comunista, n°20, 1968)
  • Israele: Un grosso affare ( Il programma comunista, n°18, 1969)
  • Incrinature nel blocco delle classi in Israele(Il Programma comunista, n°17, 1971)
  • Curdi palestinesi(Il Programma comunista, n°7, 1975 )
  • Dove va la resistenza palestinese? (I)(Il Programma comunista, n°17, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (II)(Il Programma comunista, n°18, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (III)(Il Programma comunista, n°19, 1977)
  • Il lungo calvario della trasformazione dei contadini palestinesi in proletari(Il Programma comunista, n°20-21-22, 1979).
  • In rivolta le indomabili masse sfruttate palestinesi ( E' nuovamente l'ora di Gaza e della Cisgiordania)(Il Programma comunista, n°8, 1982)
  • Cannibalismo dello Stato colonialmercenario di Israele(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Le masse oppresse palestinesi e libanesi sole di fronte ai cannibali dell'ordine borghese internazionale(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • La lotta delle masse oppresse palestinesi e libanesi è anche la nostra lotta- volantino(Il Programma comunista, n°13, 1982)
  • Per lo sbocco proletario e classista della lotta delle masse oppresse palestinesi e di tutto il Medioriente(Il Programma comunista, n°14, 1982)
  • La lotta nazionale dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Sull'oppressione e la discriminazione dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°19, 1982)
  • La lotta nazionale delle masse palerstinesi nel quadro del movimento sociale in Medioriente(Il Programma comunista, n°20, 1982)
  • Il ginepraio del Libano e la sorte delle masse palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1984)
  • La questione palestinese al bivio ( Il programma comunista, n°1, 1988)
  • Il nostro messaggio ai proletari palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1989)
  • Una diversa prospettiva per le masse proletarie (Il programma comunista, n°5, 1993)
  • La questione palestinese e il movimento operaio internazionale ( Il programma comunista, n°9, 2000)
  • Gaza, o delle patrie galere (Il programma comunista, n. 2, 2008)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • A Gaza, macelleria imperialista contro il proletariato ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • Il nemico dei proletari palestinesi è a Gaza City ( Il programma comunista, n°1, 2013)
  • Per uscire dall’insanguinato vicolo cieco mediorientale (Il programma comunista, n° 5, 2014)
  • Guerre e trafficanti d’armi in Medioriente (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • Gaza: un ennesimo macello insanguina il Medioriente-Volantino (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • L’alleanza delle borghesie israeliana e palestinese contro il proletariato (Il programma comunista, n°6, 2014)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario  ( Il programma comunista, n°3, 2021)
  • A fianco dei proletari e delle proletarie palestinesi! ( Il programma comunista, n°5-6, 2023)
  • Il proletariato palestinese nella tagliola infame dei nazionalismi ( Il programma comunista, n°2, 2024)
We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.