DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Mentre scriviamo queste righe (fine agosto), possiamo affermare che una fase della lotta dei facchini di Anzola Emilia è terminata. Possiamo anche affermare che l'esito di questo primo stadio della lotta è più simile ad un fallimento che non ad uno stallo.

Mesi fa ci eravamo congedati su questo stesso giornale con la cronaca di una battaglia vittoriosa; dopo quegli eventi, la reazione del padrone non si è fatta attendere, ed i facchini di Anzola hanno dovuto arretrare fino allo scompaginamento delle loro forze, sfociato infine nell'accettazione tacita (e noi aggiungiamo drammatica) di ben 16 licenziamenti.

Dopo la tregua, nella vertenza della Granarolo, fissata sugli accordi sottoscritti da CGIL, CISL e UIL e la prefettura di Bologna, ed imposti ma anche accettati dal Si-Cobas, si è aperto un ampio dibattito sul significato da attribuire all'esperienza di un anno di lotte nel settore della logistica: specificatamente, nella provincia di Bologna. Dobbiamo in generale constatare che il confronto è del tutto sterile, oscillando fra coloro che, acriticamente, sostengono che la lotta è stata condotta al meglio (con disquisizioni intorno al... “riposizionamento tattico”) e coloro i quali sostengono l'esatto opposto. Assente ci sembra, se non in rari casi, la disamina degli avvenimenti nel loro materiale svolgersi. Vorremo contribuire proprio a colmare questa lacuna.

Chiariamo subito che il nostro intento non è, e non può essere, quello di mettere sul banco degli imputati il sindacato Si-Cobas (ma non nasconderemo per questo le sue responsabilità). Il Si-Cobas ha sicuramente i suoi meriti: fra i primi, l'utilizzo corretto dell'arma dello sciopero. Dopo moltissimi anni, questo sindacato è infatti l'unico che organizza e supporta scioperi in aperto contrasto con il padronato (con tutto il corollario di sane pratiche: prima fra tutte, i picchetti con blocco totale della movimentazione merci). Riconoscere questo non significa negare le tante altre lotte, anche violente, esplose in questi anni; significa invece rilevare che il Si-Cobas, unico fra tutte le organizzazioni sindacali, è apertamente disposto a praticare e promuovere, senza ripensamenti, lo sciopero come arma dei lavoratori e non diritto (o rito) dei borghesi.

Affrontare una disamina delle vicende bolognesi deve avere come obiettivo quello di sedimentare le esperienze di quest'anno di lotta, e prima di tutto le esperienze negative, al fine di rafforzare e rilanciare l'intero movimento di lotta e protesta a partire dai mesi a venire. Un sindacato, come forma organizzata che sopravvive nel tempo alle lotte stesse e collega queste nel tempo e nello spazio, ha come obbligo e necessità, non il flagellarsi in caso di errore (si flagelli pure in caso di ripetuto e ripetuto errore), ma il soffermarsi sulle proprie insufficienze, comprenderle e lavorare per risolverle. Questo è servire gli interessi della classe.

Due ultime annotazioni, prima di andare ai fatti. Abbiamo constatato che la tendenza è quella di confondere e sovrapporre le lotte della logistica e il Si-Cobas. La dinamica materialmente corretta non è “Si-Cobas e dunque lotta dei facchini” ma è: “lotte dei facchini e possibilità di intervento del Si-Cobas”. Ciò diventa incontrovertibile se paragoniamo le lotte della logistica alle lotte (inesistenti o inconcludenti) di molte altre categorie di operai, svoltesi anche in presenza di delegati Si-Cobas.

In questo articolo, noi ci soffermeremo per lo più sulle vicende dei facchini di Anzola Emilia, e facciamo ciò in funzione della conoscenza diretta dei fatti. Non possiamo affermare altrettanto per le vicende dei lavoratori della Granarolo e dunque ci limiteremo a sfiorarle soltanto, almeno nei fatti specifici. Crediamo invece di poter avanzare la “teoria” che ciò che è valido per Anzola lo è anche per la Granarolo: indubbi sono infatti i legami fra le due vertenze e fra le vertenze dell'intero comparto della logistica a Bologna.

 

La lotta dei facchini di Anzola Emilia

Per comodità di esposizione, possiamo suddividere l'intera mobilitazione dei facchini di Anzola in quattro diversi momenti: 1) novembre, con i primi quattro giorni di sciopero e blocco totale delle merci; 2) febbraio, con il reintegro dei primi tre licenziati dopo un giorno e mezzo di sciopero e altro blocco totale delle merci; 3) marzo, con la giornata di sciopero generale della logistica e gli avvenimenti ad Anzola; 4) maggio, con i 16 licenziati e la fallimentare lotta dei giorni 2 e 3.

A novembre, i facchini di Anzola Emilia prendono contatto con il Si-Cobas dopo aver ricevuto dalla dirigenza di Centrale Adriatica la notizia che a partire dal mese successivo le loro condizioni di lavoro avrebbero subito un notevole peggioramento, con l'espediente padronale del cambio d'appalto delle cooperative di facchinaggio, che per i lavoratori avrebbe significato: riduzione salariale, arretramento del livello contrattuale, periodo di prova prima dell'assunzione a tempo indeterminato (ma come soci della cooperativa, e non più come lavoratori) e infine cambio di inquadramento contrattuale con il passaggio dal CNNL del commercio a quello, peggiore, della logistica e trasporti.

I facchini si mostrano subito determinati ed iniziano lo sciopero con il blocco totale della movimentazione delle merci. Grazie alla combattività dei facchini e, in second'ordine, al sostegno di una serie di compagni facenti riferimento all'Assemblea Proletaria di Bologna (e non solo: c'eravamo infatti anche noi ed altri ancora), e a discapito di freddo e pioggia, lo sciopero durerà tre notti e quattro giorni, fino allo sgombero forzato messo in atto dalle forze dell'ordine chiamate dal Padrone.

È in questo frangente che emerge un primo passo falso dei Si-Cobas. Si può affermare senza possibilità di smentita che i Si-Cobas non furono in nessun modo presenti nella lotta, se non per via genericamente telefonica. Questo, che di per sé non sarebbe stato un gran problema, lo diventò in seguito per le modalità d'intervento del sindacato dopo la lotta di quei giorni.

Durante la lotta, i facchini avevano maturato e formalizzato la loro piattaforma rivendicativa: in sintesi, nessun cedimento alle richieste di Coop Adriatica. Tale piattaforma rivendicativa fu esposta alle massime cariche della Coop, nella figura del presidente di Coop Adriatica e del direttore dei magazzini di Centrale Adriatica, da una delegazione di lavoratori in una serrata trattativa durata alcune ore. La trattativa fu interrotta solo a seguito dell'intervento manu militari delle forze dell'ordine che ruppero la tregua davanti ai cancelli con la negoziazione in corso. La stessa sera, una gran parte di lavoratori si ritrovarono davanti all'azienda e presero la decisione di continuare la mobilitazione il giorno successivo: si decise di articolare la lotta con altre azioni, non necessariamente il blocco totale delle merci, in modo da tenere sotto pressione la controparte. A questo punto si materializzò (giustamente) il delegato Si-Cobas: il quale, però, giunto a cose fatte, dopo la lotta e la decisione di rilanciare la medesima e senza nessuna consapevolezza dei fatti accaduti se non per sommi capi... telefonici, invitò tutti i lavoratori a fermarsi e rimandò l'azione a un futuro non ben precisato e sulla base di non ben precisate pratiche che altrove avevano avuto esito positivo. A questo atto, che noi giudichiamo per lo meno frutto di un atteggiamento superficiale, si sommò l'incapacità dei lavoratori e degli altri compagni (noi compresi) di superare l'imposizione del delegato e continuare sulla base delle decisioni appena assunte. Il risultato fu che, a discapito di una conoscenza concreta delle reali forze e dinamiche fra i lavoratori da parte del Si-Cobas, quest'ultimo impose uno schema importato dall'esterno. Il che si rileverà, nel prosieguo della lotta, un handicap, rappresentato dalla sopravvalutazione della reale compattezza e tenuta dei lavoratori di Anzola.

Chi ebbe modo di parlare con i facchini nei giorni seguenti poté constatare come l'interruzione dell'agitazione dopo tanti giorni di sacrificio, all’addiaccio e sotto il manganello, senza aver ottenuto un bel nulla, aveva lasciato uno stato d'animo di frustrazione e di disfattismo che incrinò la convinzione dei lavoratori nei propri mezzi.

Questo è talmente vero che nulla più accadde dopo quei giorni, fino a febbraio. Non si riuscì, infatti, a ricompattare le forze per il rilancio dell'azione, malgrado gli effetti del cambio d'appalto fossero sotto gli occhi di tutti. Ci pensò il padrone a rilanciare la lotta: in febbraio, l'Aster Coop, la nuova cooperativa subentrata, licenzia provocatoriamente tre lavoratori. Questo attacco frontale riaccende nei facchini la fiamma della protesta: bloccati i cancelli e le merci ancora una volta, i lavoratori compatti rigettano in faccia alla Coop i licenziamenti e, nel caso questi non vengano ritirati, si dichiarano pronti a uno scontro frontale. I padroni, ben consci di quello che era successo a novembre, ci mettono un solo giorno a tornare sui propri passi e a ritirare i licenziamenti. L'intervento, immediato (questa volta), del Si-Cobas nella trattativa porta a casa l'accordo. Di contro, la vittoria-lampo fortifica la convinzione, in tutti, che i lavoratori siano compatti e solidali fra loro... Purtroppo, così non era. Infatti, l'immediata vittoria fu più il frutto dell'onda lunga di novembre che non il risultato di un processo reale di sedimentazione della consapevolezza delle proprie forze.

Quest'evento rappresenta l'apice della mobilitazione dei facchini di Anzola, sia come forza messa in campo (ci fu veramente l'astensione di tutti e la partecipazione al picchetto dei più), sia come risultati tangibili (retromarcia completa dell'Aster Coop). Purtroppo, proprio perché rappresentava l'apice (e questo lo possiamo dire solo ora), non poté anche che rappresentare l'inizio del declino.

A marzo, il Si-Cobas indice uno “sciopero generale nazionale della logistica”. A Bologna, la prima parte della giornata va bene: ampia e generalizzata la partecipazione dei lavoratori, grande visibilità cittadina e mediatica dello sciopero. Ma si stava per consumare il secondo passo falso.

 

Un breve inciso necessario

Poco sappiamo delle decisioni organizzative relativa aslla giornata a Bologna. Il Si-Cobas aveva da poco inaugurato un forte legame con una componente dell'Autonomia bolognese, conosciuta come il “Laboratorio Crash”, che naturalmente non era stato estraneo alle lotte, ma nemmeno era stato, e non poteva che essere così, una componente fondamentale o determinante. Fra i primi risultati di questa scelta, ci fu la pratica di riunioni separate: ovvero, una separazione netta fra l'aspetto decisionale, esclusiva del Si-Cobas e del Crash con la partecipazione dei lavoratori, e quello di mera comunicazione di generiche disposizioni riservato a tutti gli altri.

 

Riprendendo la cronaca

Sia quel che sia, si prende la decisione di arrivare allo scontro con le forze dell'ordine, davanti a Centrale Adriatica, in corrispondenza del cancello dei magazzini dei “congelati e del fresco”. La dinamica di quella “decisione” è complessa e poco ci interessa approfondirla in questo frangente (semmai, sono altri a doversi porre domande): ma il risultato della stessa va invece analizzato e stigmatizzato. L'errore di arrivare allo scontro con le forze dell'ordine senza alcun motivo né obiettivo reale è stato il prodotto di due atteggiamenti politicamente del tutto inopportuni ed infantili: 1) non tenere in alcun conto il rapporto tra la forza e l'eventuale violenza da impiegare e gli obiettivi da raggiungere; 2) sviluppare di conseguenza un “rito”, diciamo genericamente “movimentista”, che prevede comunque lo scontro con le forze dell'ordine (non sappiamo se per firmare la propria presenza o per inettitudine), scavalcando di un sol balzo la volontà dei lavoratori e imponendo quella dinamica come cosa inevitabile.

Ci si potrebbe domandare se questi scontri di marzo non siano paragonabili a quelli di novembre, facendo parte entrambi di un percorso complesso di lotta. Noi crediamo che i due eventi siano del tutto incomparabili. Gli scontri di novembre, avvenuti dopo quattro giorni, e non dopo dieci ore, sono stati il prodotto del maturare di una lotta reale, di una lotta specifica reale. I lavoratori sono stati la punta di diamante di quella lotta, la sua forza e la sua determinazione, rispondendo a una diretta provocazione e al tentativo di cancellare la loro lotta. La violenza lì utilizzata è stata una violenza sana, fortificatrice, che ha lasciato un segno positivo nella determinazione degli operai.

A marzo, non c'è stato nessun obiettivo immediato, nessuna necessità per i lavoratori di scontrarsi. L'obiettivo era incidere sulle decisioni intorno al rinnovo del contratto nazionale. Nessun obiettivo immediato per il quale sacrificare le proprie forze. Altre componenti hanno voluto ed ottenuto gli scontri senza alcun motivo. Si poteva e si doveva sciogliere il presidio e portare a casa una grande giornata di lotta che, ad esempio, come abbiamo già raccontato, aveva ottenuto l'estensione del blocco dei cancelli ad altre realtà dell'immenso sito di Centrale Adriatica. Perché le botte? Non sappiamo, ma il risultato è stato un senso di smarrimento fra i facchini di Anzola Emilia.

A questo punto, la frittata era fatta e solo un’ultima goccia avrebbe fatto traboccare il vaso... della repressione. E la goccia arrivò sotto forma di... una goccia di latte.

I lavoratori della LEGA COOP, sfruttati dentro i magazzini della Granarolo, sono sottoposti ad una vera truffa. Viene proposto e fatto firmare un accordo che prevede la decurtazione del 35% dei già miseri salari con la scusa della crisi. I lavoratori si accorgono presto dell'inganno ed entrano in agitazione. Altra lotta significativa, altro intervento dei Si-Cobas, che anche in questo caso appoggiano pienamente le modalità di lotta dei facchini. Quello che però si sta per consumare contro l'intero movimento di lotta da tempo cova sotto le ceneri dei posaceneri delle stanze del potere.

Dire Granarolo significa dire nuovamente Lega Coop: anzi, il vertice massimo di Lega Coop – il capo dell'una è anche il capo dell'altra. Ora, Lega Coop non è solo un impero industriale, un articolato sistema di produzione e distribuzione: è anche un potere politico, capace di influire fino ai massimi vertici dello Stato. La rabbiosa reazione alle lotte dei facchini di questo padrone trova a questo punto una Prefettura non più disposta al basso profilo oramai sotto stress e con qualche sassolino nella scarpa. Il risultato è un attacco inaudito e articolato. Licenziamento di circa 40 facchini dalla Granarolo, continuo e intensificato uso della forza poliziesca contro gli operai, evoluzione repressiva della norma che impone ai facchini gli stessi obblighi di infermieri e vigili del fuoco, definendo il loro lavoro di “interesse strategico nazionale” (quando mai la borghesia ha avuto il senso del ridicolo?).

Questo contrattacco trova il Si-Cobas, ma anche tutto il movimento in generale, in un momento di difficoltà. L'estendersi delle lotte e l'approfondirsi delle stesse, nonché il macigno dei 40 licenziamenti, mettono sotto stress l'insufficiente struttura sindacale e aggravano lo sfilacciamento del movimento. Già in questo momento, i Si-Cobas perdono il vivo contatto con i facchini di Anzola (intanto, all'interno dei magazzini, si consumano dinamiche di retromarcia che spaccano il fronte degli operai). Gli atteggiamenti para-squadristi messi in campo dalla componente del Crash davanti ai cancelli (dove i lavoratori lottavano per le loro condizioni di vita e di lavoro) hanno aggiunto scoramento a stress e sfilacciamento. Questa specie di artificiale cappa di piombo, risultato della pratica sottobanco fatta di parolacce spintoni ed altro, dei non sappiamo quanti autonomi del Crash ha di fatto strozzato, invece di allargarlo, il sostegno altrui. A loro spiegarne le ragioni; a noi l'amara costatazione che tale atteggiamento ha determinato una progressiva ghettizzazione della lotta dei facchini. Ora l'affanno è totale e diventa impossibile uscire indenni da questa pastoia.

E i facchini di Anzola? Fra di loro va, nel frattempo, consumandosi una frattura. Non ne conosciamo esattamente i motivi, e siamo a conoscenza di versioni diverse. La questione importante è però che i facchini si ritrovano divisi e litigiosi e questo darà la possibilità a LEGA COOP di menare un'altra sciabolata: alla fine di aprile, arrivano 16 lettere di licenziamento. In questo frangente, si palesa la nuova situazione di fragilità dei lavoratori: mentre a febbraio tre lettere sono sufficienti a scatenare la dura reazione degli operai, a maggio non ne bastano 16. Il tentativo del 2 e del 3 maggio di ripetere le gesta passate fallisce e ad oggi i licenziati sono passati alle vie legali, soli ed isolati dagli stessi colleghi di lavoro (parole loro, non nostre). Il sindacato non riesce, per ora, a fare altro che dare tutela legale ed anche il movimento ha ormai la sola forza di concentrarsi davanti alla Granarolo.

***

Come si è detto all'inizio non serve piangere sul latte versato. La partita non è certo finita e i compiti che si pongono a un sindacato come il Si-Cobas ed alle avanguardie di lotta sono enormi. Non bisogna neanche insistere più di tanto nel constatare i limiti oggettivi di un'organizzazione come quella di cui stiamo parlando: tali limiti non sono solo i limiti di un sindacato (quale che sia), ma sono i limiti prodotti dallo stato di retroguardia in cui si trova gran parte della classe operaia. In tutti questi mesi di lotta dei facchini nella provincia di Bologna non si è levata una sola voce dalle molte migliaia dei lavoratori COOP (tutelati), neanche di chi conosce, per contiguità produttiva, le condizioni e le umiliazioni che questi lavoratori quotidianamente sopportano. Neanche un volantino generico e magari anonimo: solo silenzio! E chiaro che in queste condizioni si arriva velocemente all'esaurimento di un movimento che non può sopravvivere a lungo isolato. Di contro, il sindacato deve necessariamente ragionare intorno alle proprie forze reali e agire di conseguenza, cercando di trovarsi allo scoperto il meno possibile.

Non bisogna neanche nascondere le insufficienze mostrate dai lavoratori di Anzola, che non hanno saputo fino ad ora ritrovare la strada della propria compattezza. E infine non bisogna nascondere le difficoltà dei molti compagni coinvolti, che spesso sprecano in inutili litigi le proprie energie.

La lotta dei facchini non è certo conclusa e dunque dobbiamo trovare la via comune per esaltarla ed estenderla nello spazio, nel tempo e fra le categorie diverse. Per ciò che ci concerne, in quanto comunisti, non potendo prevedere quando la classe operaia alzerà di nuovo il capo in maniera diffusa e compatta, non possiamo che lavorare all'allargamento delle lotte e alla loro continua, progressiva e sempre più salda centralizzazione. 

 

Partito Comunista Internazionale

 

(il programma comunista n°05 - 2013)
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