DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

All’interno del quadro più generale della crisi economica mondiale, la crisi italiana non sta mancando di produrre certi effetti anche sulla situazione politica. Sulla scena, a partire dalla cosiddetta “Seconda repubblica” dei primi anni ‘90, s’erano finora avvicendati i resti dei partiti della “Prima repubblica”: quelli di destra confluiti in gran parte nel PDL, quelli di sinistra soprattutto nel PD. La recente e grave crisi economica, il peggioramento crescente delle condizioni delle medie e piccole imprese, dell’aristocrazia operaia e delle condizioni di vita e lavoro dei proletari, hanno però rimesso in discussione quella nuova “stabilità” della politica italiana. La nascita del governo Monti, incaricato dai suddetti partiti (e non solo dal “Presidente”) di formare un governo “più stabile”, fu anche l’ammissione di una certa loro “incapacità”, dinanzi al perdurare della crisi economica, a rappresentare ancora i loro veri strati sociali di riferimento: grande e media borghesia imprenditoriale, gruppi finanziari, banche, associazioni professionali varie, ecc. L’ulteriore aggravamento della crisi fece poi saltare anche quella “rappresentatività unitaria nazionale” di carattere “tecnico” e con forte accentuazione “europeista” (nel senso, sopratutto, dei tagli operati anche per conto delle banche europee nei confronti dei proletari e degli strati sociali meno abbienti).

A quel punto, i partiti di destra e di “sinistra”, constatando che il governo “tecnico” continuava a non risolvere alcunché (e in effetti non poteva farlo), hanno pensato bene, dopo averne inizialmente tessuto le lodi, di addossargli più o meno tutte le “colpe”, per potere attirare ancora una volta su di sé i “consensi” dei rispettivi elettorati. Il M5S, che aveva saputo e potuto catturare il consenso di una buona fetta di quell’elettorato, nel frattempo era divenuto, dopo le elezioni di febbraio, una forza paragonabile alle altre due. Gli obiettivi di tale movimento sono tutti interni al regime borghese: il suo programma, che si rivolge soprattutto agli strati più delusi dello stesso elettorato di destra e di “sinistra” ed è condito da richieste più che altro demagogiche, consiste soprattutto in una “moralizzazione della vita politica” e non certo nell’“abbattimento” del potere della borghesia (come qualcuno forse aveva inizialmente creduto!), bensì della cosiddetta “casta politica corrotta” – un programma che senza dubbio a molti (dati i tempi che corrono e gli ormai novant’anni di controrivoluzione borghese e situazione sfavorevole) è sembrato e sembrerà anche “rivoluzionario”, di fronte alla recrudescenza della vecchia corruzione della classe dirigente italiana, corruzione non solo “politica”, ma economica, finanziaria, ecc.. Un programma di stampo “moralizzatore”, dunque, che in realtà, anche quando si potesse realizzare (e su questo nutriamo i più forti dubbi!), non solo non cambierebbe nulla di sostanziale, specie nel perdurare della crisi economica, ma riproporrebbe soltanto il ruolo reazionario dei suoi predecessori. Un governo costituito anche dal M5S mostrerebbe infatti, contro gli strati proletari in lotta (che, di fronte a licenziamenti e peggioramento delle condizioni di lavoro, non potranno accontentarsi di una semplice “moralizzazione”), solo una facciata almeno inizialmente “più pulita e onesta”, e più “legittimata” (Costituzione repubblicana in mano!) a condurre l’eventuale repressione antioperaia.

Nel frattempo, in occasione dell’elezione presidenziale, il PD è quasi esploso, agitato com’è da tendenze contrastanti, espressione di un interclassismo navigante tra il riformismo e statalismo del vecchio PCI e il crescente liberalismo privatistico più tipico della destra politica, e dunque incapace di prendere una decisione univoca. Alla fine, con la rielezione di Napolitano a Presidente e la formazione di un nuovo governo (questa volta “politico”, ma sempre col forte “imprimatur” presidenziale), con l’incarico a un suo esponente di rimetterlo in piedi, il PD ha avallato quella che è sempre stata la tendenza dominante della borghesia e piccola borghesia italiana: la riproposizione dell’“inciucio nazionale” tra i due maggiori partiti (o gruppi di partiti). Si tratta in realtà di una nuova forma ed edizione della passata “solidarietà nazionale” tra i partiti della cosiddetta “Prima repubblica” di fronte alla grave situazione economica e sociale di metà anni ’70 del secolo scorso, in totale continuità con quella più “vecchia” dell’immediato dopoguerra, dinanzi alle difficoltà della ricostruzione nazionale e delle ricorrenti agitazioni e rivolte operaie – anche se tale rinnovata solidarietà non lo salverà, logorandolo ulteriormente, da quei suoi contrasti interni, venuti clamorosamente allo scoperto. Forse, a questo punto, di fronte ai nuovi prevedibili fallimenti e a ulteriori delusioni nei riguardi di questo “Governo del Presidente” (o “politico” che sia), il M5S, divenuto l’unica alternativa politica borghese e piccolo-borghese, riuscirà a raccogliere altri consensi – se non esploderà anch’esso prima.

Lo scenario politico borghese italiano pare dunque muoversi ancora, come alla fine della Prima repubblica, tra il rinnovo di una “solidarietà nazionale” all’interno della solita casta politica fortemente corrotta (ma nata già tale a partire dall’“Unità nazionale”: non è certo questa una “novità” scoperta oggi dai grillini!), che conserva comunque bene il controllo della situazione soprattutto sul piano sociale (come lo ha sempre conservato, nonostante le numerose “crisi politiche”) e i nuovi candidati a “moralizzatori” della stessa (all’epoca, i “moralizzatori” furono quelli della Lega che gridavano contro “Roma ladrona”: oggi, lacerati anch’essi, soprattutto dal proprio interno ladrocinio), tenuti per ora di riserva, ma che potrebbero benissimo tornare utili domani, in determinate particolari situazioni. La differenza tra allora e oggi sembra stare nel fatto che il ceto politico attuale, a differenza di quello dei tempi di “Tangentopoli”, è molto meno disposto a… “sloggiare”. Questo nuovo governo, nato con le sembianze delle “facce nuove, femminili e giovanili”, non ha avuto infatti alcuna remora a riproporre tendenze e correnti, anche fortemente “cattoliche”, tipiche della Prima repubblica. Quella che invece sembra non cessare, a differenza di allora, è la crisi economica, con i suoi effetti sempre più gravi soprattutto sui proletari. E’ stata ancora una volta proprio la paura della crisi economica e dei suoi effetti sociali a rinnovare questo nuovo “embrassons-nous” tra partiti e raggruppamenti che si erano avvicendati al governo in questi ultimi vent'anni e che durante le ultime elezioni, per i soliti interessi di potere, se le erano persino dette di tutti i colori.

Ovviamente, i contrasti d’interessi, gli scontri tra gruppi di potere, ecc., non hanno mai rispecchiato interessi di classe contrapposti, ma solo una divisione sul piano economico, finanziario, ecc., tra gli stessi gruppi e bande di potere, all’interno della stessa classe borghese dominante. E’ stato il disgregamento dell’URSS nei primi anni ’90 a togliere persino la finzione, l’apparenza, di una contrapposizione fra i due maggiori partiti politici di allora, DC e PCI, come espressione di una divisione degli interessi di classe tra la borghesia e il proletariato. Nell’evoluzione successiva del PCI, dal PDS fino all’attuale PD, quella finzione, vale a dire la “confessione” (che gli autentici marxisti attendevano, insieme a quella relativa al falso socialismo russo, di marca staliniana) di essere nient’altro che un partito fortemente borghese travestito con sembianze proletarie e comuniste, ha proceduto poi speditamente e con effetti a dir poco nauseanti. Nell’ottica politica del PD di oggi, il nuovo governo di “solidarietà nazionale”, con tutti i suoi forti contrasti fra bande di potere, messo sotto l’ala protettrice e “ammonitrice” del rieletto Presidente (che, venendo dal vecchio PCI, di “solidarietà nazionale borghese” ne capisce qualcosa!), resta certamente da preferire rispetto a quell’“incognita” che avrebbe potuto invece rappresentare un appoggio ai “nuovi moralizzatori” del M5S. Questi ultimi, intanto, insieme alle più o meno ipocrite grida scandalizzate per il “golpino presidenziale anticostituzionale”, non mancano di scoprire sempre più e meglio le loro carte, facendo sapere di che pasta sono fatti. I “guru” alla Casaleggio, man mano che sentono più forte l’odore del Parlamento e del Governo (in alcuni governi amministrativi sono ormai ben presenti e apprezzati dalla stampa, oltre che dai partiti rivali), vanno sempre meglio a precisare che i loro “programmi” non si differenziano poi molto (anzi, quasi niente!) da quelli degli altri partiti borghesi, rassicurando così non tanto la borghesia (che non ha mai avuto dubbi in proposito), ma la stessa piccola borghesia impaurita e frastornata; e che tutta la loro iniziale, proclamata “opposizione rivoluzionaria” altro non era e non è che un modo per evitare od ostacolare il formarsi di un possibile “radicalismo”, di destra o sinistra, come peraltro hanno sempre detto apertamente: la storia è piena di gruppi o individui “rivoluzionari”, che hanno poi finito per servire apertamente la classe dominante. La borghesia, insomma, dovrebbe già ringraziarli per questa loro opera meritoria.

***

Il punto è che la crisi economica attuale è ben più grave e devastante di quella ai tempi di Tangentopoli, e forse la borghesia, a parte la “resistenza” dovuta ai forti e radicati interessi di casta, non si fida molto, come invece si fidò allora, di questi “nuovi moralizzatori”. Soprattutto, non si fida della loro capacità di portare avanti con continuità e decisione i loro stessi programmi di governo, in una situazione difficilissima che richiede e sempre più richiederà uno sforzo di centralizzazione della stessa attività politica borghese. Sotto l’incalzare e perdurare grave della crisi economica, la borghesia italiana sarà sempre più agitata e dibattuta tra gli interessi particolari delle sue frazioni e gruppi economici finanziari e la necessità di dover prevenire e fronteggiare in maniera unitaria l’ondata di lotte e di proteste che si avvicina sempre più – tra l’affarismo tendente a divenire con la crisi economica ancora più sfrenato e spregiudicato e la necessità di fare in qualche modo “fronte comune” per placare o allontanare le richieste e le proteste sempre più dure che si levano dallo stesso “popolo” indistinto, le cui condizioni vanno sempre più peggiorando – tra l’interesse particolare, dunque, sempre più sfrenato e la cosiddetta “unità e solidarietà nazionale”, tanto più invocata dal “Presidente” quanto più essa viene ad ogni occasione calpestata.

L’attuale governo a presidenza Letta, governo di “emergenza” messo in piedi dai due maggiori partiti che rappresentano interessi di frazioni borghesi contrapposte, è dunque espressione e “concentrato” di tutte queste contraddizioni e contrasti. Costretti a stare insieme loro malgrado per l’impossibile “governabilità” degli uni senza gli altri (e coi grillini che sperano di raccogliere i frutti della stessa ingovernabilità), essi portano avanti gli interessi, in contrasto fra loro, dei gruppi economici finanziari che rappresentano, mascherando tale scontro con gli interessi dei rispettivi “elettorati”, delle rispettive “masse popolari” – con quello che chiamano pomposamente l’“interesse superiore” della Nazione. Intanto, si preparano le “manovre”, i “lavori in corso” per il prossimo futuro. Da una parte, il PDL, che per iniziativa del suo “uomo fatale”, vorrebbe riproporre la vecchia sigla di “Forza Italia” sperando forse di rifarsi così una nuova popolarità e rinnovare i fasti di vent’anni addietro, soprattutto dopo la recente condanna giudiziaria che ne mette in pericolo la stessa “eleggibilità”; dall’altra, il PD, costretto a far “quadrare il cerchio”, a ricomporre in qualche modo le proprie diverse anime e tendenze (stataliste, liberiste, cattoliche, popolari, ecc.), in cerca dell'“uomo giusto del momento” che ne possa esprimere in qualche modo la “sintesi” in questa particolare situazione.

Vedremo, comunque, in che modo la crisi economica, la sua continuazione e un suo aggravamento, e soprattutto i suoi effetti sociali, si rifletteranno prossimamente sul piano della politica borghese, quali cambiamenti e scenari produrranno. Vedremo a quali forze e a quali soggetti la borghesia italiana dovrà fare ancora ricorso, per mantenere in piedi il suo infame dominio politico ed economico di classe, che le contraddizioni capitalistiche renderanno certamente ancora più gravoso. Finora, nella sua lunga e spregiudicata esperienza, essa ha trovato in suo soccorso non solo “moralizzatori a mano armata” di destra, che si presentavano inizialmente “di sinistra” (il fascismo), ma anche forze, come il PCI dell’ultimo dopoguerra, che si presentavano ambiguamente come riformatrici in senso “democratico e progressista” e, nello stesso tempo, come “ comuniste e rivoluzionarie”. Allora, quelle forze politiche avevano da tempo abbandonato ogni vero programma rivoluzionario di classe e comunista, ponendosi sotto l’ala politica nazionalista e borghese dello stalinismo, e andarono in soccorso (dimostrando così, nei governi cui parteciparono, il reale significato del loro “progressismo democratico”), non dei bisogni immediati e delle aspirazioni finali e storiche del proletariato, ma delle necessità della ricostruzione economica del capitalismo italiano del dopoguerra.

Nella situazione attuale, poi, contro gli stessi “nuovi moralizzatori” del M5S, non pochi gruppetti e partitini a sinistra del PD parlano ancora di “democrazia progressiva”, di “riforme”, di “programmi e governi transitori”, di “fronti unici politici”, di “governi operai”, nonché di lotta di classe e rivoluzione e della “ricostruzione”, su tali basi!, del partito della rivoluzione proletaria, sfoggiando in tutto ciò il solito immancabile concretismo, realismo, pragmatismo – in una parola, cretinismo politico. In verità, senza avere saputo trarre pienamente le lezioni tattiche dalle dure battaglie di classe combattute soprattutto negli anni ’20 del secolo scorso e dalla durissima controrivoluzione che poi la seguì, si preparano anch’essi, coscienti o meno, a prendere, in un modo o nell’altro, il posto di quei falsi comunisti e rivoluzionari di allora.

Coloro che invece sentono oggi di dover poggiare il proprio programma per il comunismo confidando solamente nella lotta di classe, nella sua estensione e organizzazione sempre più vaste, nel rifiuto di alleanze politiche che non potrebbero che ostacolare la preparazione verso gli obiettivi finali, nei confronti degli avvenimenti sociali e politici attuali non si limitino a una spiegazione e valutazione superficiale: imparino anche dall’esperienza storica, dalle lezioni e dalle stesse sconfitte delle lotte proletarie del passato, da coloro che tra le mille difficoltà di una situazione altamente sfavorevole hanno comunque saputo mantenere il filo rosso. Solo attraverso una dura lotta di classe, e sulla base degli insegnamenti teorici e tattici tratti dalla Sinistra comunista, sarà possibile riprendere il cammino e la lotta contro la crescente devastazione e il progressivo abbrutimento del modo di produzione capitalistico mondiale.

 

Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°05 - 2013)
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