DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Non ci interessa affatto il guazzabuglio intitolato Partigia che tal Sergio Luzzatto è riuscito a sistemare sul mercato editoriale, usando l’esca di un ventenne Primo Levi che, in vacanza nelle montagne valdostane, finiva per trovarsi, suo malgrado, invischiato in un gruppo partigiano.

Ci piace invece constatare l’assoluta ignoranza – che, nel caso in questione, supponiamo disinteressata – sui problemi storici più scottanti del XX secolo da parte di questo storico “ossessionato dalla Resistenza” (così dice di se stesso): il significato di termini usati senza capirne il senso, come quelli di comunismo, democrazia, fascismo ecc.

Se tutto si esaurisse nella consueta operazione commerciale, la cosa finirebbe lì: non sarebbe la prima, e non sarà purtroppo l’ultima. Ma il cattedratico ha voluto andare a pescare in acque sconosciute, tra l’altro del tutto estranee al filo del suo discorso: ha voluto ficcare il naso tra gli “internazionalisti partigiani” di cui già si è malamente occupato un suo padre spirituale, quel Pansa di cui ci siamo altre volte occupati.

Nessun dubbio, per lo storico insigne, che dei giovanotti vittime della “carismatica influenza” del nostro compagno Mario Acquaviva corressero ad arruolarsi in qualche banda partigiana; nessun dubbio sull’equazione “comunismo=antifascismo”; nessun dubbio nel mettere tutti nello stesso mucchio: trotskisti, internazionalisti, partigiani... Sembra occhiutamente scivolare anche un’interpretazione nuova, secondo cui Acquaviva era bensì un “resistente antifascista”, però non secondo “la logica di Jalta”: insomma un partigiano libero da impegni, cane sciolto di incerta ideologia, alla fine freddato dai... “comunisti ortodossi”! Immaginiamo che molti arnesi staliniani, un Terracini, un Secchia, un Longo, un Platone astigiano, si rivoltino nella tomba a sentirsi apostrofati nientemeno che di… “ortodossia comunista”. Oppure un Togliatti, in quel tempo impegnato ad escogitare il modo per tirare fuor di galera i suoi “fratelli in camicia nera”. Ma che cosa ne può sapere il nostro povero storico (che ha... l’“ossessione della Resistenza”) di comunismo, di ortodossia, di lotta di classe, di rivoluzione e di controrivoluzione? Perbacco! Lui è uno storico professionista: non ha bisogno di documentarsi su cose che la scuola non gli ha mai insegnato…

Ma concediamoglielo: Acquaviva – per dare il nome ad un movimento storico – , d’accordo, era un comunista “eterodosso”. Era infatti un comunista che vedeva come unica via d’uscita dalla preistoria di una umanità divisa in classi la Rivoluzione comunista. Che lottava per la riorganizzazione internazionale di un Partito autenticamente marxista nel bel mezzo della bufera controrivoluzionaria iniziata vent’anni prima. Che combatteva contro l’interclassismo antifascista borghese e piccolo-borghese. Che spiegava ai suoi compagni di classe il significato dell’abbandono, in Russia, dell’internazionalismo a vantaggio di un inesistente “socialismo in un paese solo”, suprema bestemmia in termini marxisti. Che predicava il disfattismo rivoluzionario contro ogni tipo di guerra imperialista, contro la difesa di ogni tipo di Stato borghese, fascista, liberale, totalitario, democratico, monarchico, repubblicano che fosse, perché in ogni caso questo non poteva essere altro che l’espressione dei supremi interessi della classe degli sfruttatori e dei loro manutengoli. Tutto questo, e molto altro ancora, erano Mario Acquaviva e i pochi che erano riusciti a salvare la pelle dai colpi del fascismo in Italia, del nazismo in Germania, dello stalinismo ovunque.

Per tutto ciò, lo storico molto sprovveduto non ha nessun diritto di parlare di Acquaviva, di farlo passare per “antifascista di lungo corso”, di personaggio dedito “alla religione dell’internazionalismo trockijsta”. Non ha il diritto di inventarsi la panzana di “vendette trasversali” di cui Acquaviva sarebbe rimasto vittima, o di eleggerlo a docente di “corsi accelerati di comunismo internazionalista”. Non ne ha il diritto: ma, anima smarrita nelle tempeste della sua “ossessione”, non potrà mai capirne le ragioni.

 

Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°05 - 2013)

 

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