DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Una serie di fatti recenti appartenenti al mondo mistificato e mistificante della politica borghese, a prima vista diversi tra loro ma in realtà convergenti, ci aiutano a comprendere i modi in cui, anche a livello ideologico, la classe dominante cerchi di reagire a una crisi economica che progredisce giorno dopo giorno, accumulando nel profondo materiali sempre più esplosivi.

In quella che è la grande potenza imperialista in declino, gli Stati Uniti d’America, il presidente Obama ha rappresentato, fin dalla sua elezione, uno dei punti di riferimento obbligati per la grande massa di coloro che abbiamo chiamato “i gonzi” – specie diffusa in tutto il globo e tutt’altro che in via di estinzione. Nel Discorso Inaugurale post-rielezione, dopo aver teatralmente giurato sulle Bibbie di Abramo Lincoln e di Martin Luther King (due icone della patria), egli – o meglio, il suo “scrittore-ombra” – ha inanellato la tipica sequenza di luoghi comuni retorici che fanno la gioia di questa specie, rivolgendosi in particolare alle principali “categorie a rischio” della società statunitense (i neri, gli immigrati, le donne, i gay) e promettendo loro un futuro roseo, un giusto riconoscimento, una collocazione finalmente rispettata; e, come primo passo in questa direzione, mentre tratta con varie lobbies diverse sulla questione delle “armi” (o meglio, come abbiamo già visto, delle... “armi d’assalto”), ha promesso di impegnarsi per una nuova riforma dell’immigrazione (“nuova”, perché da un secolo e più se ne sono susseguite parecchie, e ciascuna d’esse ha un significato specifico) (1). Concetti poi ribaditi nel successivo Discorso sullo Stato dell’Unione incentrato su una serie di “progetti di riforme” veramente da “paese dei Puffi”.

Sulla sponda opposta dell’Oceano Atlantico, il presidente francese Hollande, pur non avendo lo stesso physique du rôle del suo omologo statunitense (ma, si sa, gli USA sono il paese dei “super eroi”), si è speso molto, negli ultimi mesi, in patria e all’estero, per rivendicare a una Nazione in crisi un ruolo di primo piano, attraverso una leadership aggressiva fatta di costanti richiami alla tradizionale grandeur: ha incrociato le lame con i “ricchi”, è volato in Algeria per dire quant’è dispiaciuta la Francia per le cattiverie del passato coloniale (sarà poi la volta dei paesi dell’Indocina?), ha promesso “diritti civili” a destra e a manca, e poi ha spedito alcune migliaia di soldati nel cuore dell’Africa per sbaragliare le schiere minacciose di islamisti (che si sono squagliati come neve al sole del deserto) e riaffermare la presenza francese in loco – come già aveva fatto, in Libia, il suo predecessore, il tanto odiato Sarkozy... Infine, tra gennaio e febbraio, ha mandato gli sbirri a manganellare i lavoratori dell’Arcelor-Mittal e della Goodyear giunti a Parigi per protestare contro i progettati licenziamenti.

Potremmo a questo punto parlare della Gran Bretagna del conservatore Cameron che, fra lo stupore generale del “gonzume”, gioca di rimessa, rubando la scena ai laburisti su alcune tematiche “progressiste”. O della sempre presente signora Merkel, che fa il muso duro a buona parte dell’Europa. O del “resistenziale” Napolitano, che, nel modo pretesco tipico della borghesia italiana, sa infiocchettare ogni cosa con la ben nota retorica “costituzione-democrazia” (e lasciamo perdere il resto del fetido panorama politico italiano!). Ma bastino quei due esempi.

Ciò che sta dietro questa bulimia di buoni sentimenti è una grossa preoccupazione, e Obama l’ha espressa in maniera esplicita con l’uso ripetuto, quasi ossessivo nel suo richiamo alla Costituzione americana, del sostantivo “people” (“popolo”; in realtà, qualcosa di ancor più slavato: “gente”) (2) e con il riferimento, proprio a metà del discorso (e bravo il suo “scrittore-ombra”!), alla “middle class”, altro termine che merita d’essere sottoposto ai raggi X. Ecco le sue parole: “Perché noi, il popolo, comprendiamo che il nostro paese non può aver successo, quando alcuni pochi, sempre meno numerosi, se la passano bene e una crescente moltitudine a mala pena ce la fa. Crediamo che la prosperità dell’America poggi sulle ampie spalle di una classe media (middle class) in crescita. Sappiamo che l’America prospera quando ogni singola persona riesce a trovar indipendenza e orgoglio nel proprio lavoro, quando la retribuzione di un onesto lavoro allontana le famiglie dall’orlo del baratro. Seguiamo il nostro credo quando una bambina nata nella più disperante povertà comprende d’avere la medesima opportunità di riuscire di chiunque altro, perché è americana, è libera, ed è eguale, non solo agli occhi di Dio, ma anche ai nostri occhi”.

Litri d’aceto per sciacquar via la melassa, e andiamo oltre.

A noi interessa proprio quel riferimento alla “middle class”: una “classe media” (o, più pudicamente, “ceto medio”: la parola “classe” sporca per terra nei salotti-bene) che in realtà non esiste come “classe a sé stante” a fianco delle due principali (borghesia e proletariato), ma solo come pastone indifferenziato in cui precipitano le frattaglie delle parti meno nobili del corpo sociale: da un lato, una piccola borghesia sempre più in caduta libera, che perde di status giorno dopo giorno ed è terrorizzata dalla progressiva proletarizzazione in corso e, dall’altro, un’aristocrazia operaia che riesce appena a tenere il mento fuori della melma, mentre si vede sempre più preclusa la via verso l’agognato e illusorio paradiso borghese. “Mezze classi”, nel nostro linguaggio scientifico e materialista che vede i fenomeni sociali nella loro dinamica e non nella loro staticità: dunque, sbrindelli di classi, privi di identità propria, terrorizzati da minacce oscure e sempre ricorrenti (e spesso abilmente costruite), sballottati di qua e di là dal mare in tempesta dell’economia e incapaci di comprendere il perché e il percome di ciò che accade (ora ci si mette pure il Papa!), aggrappati a pareti scivolose, destinati al crollo e al massacro, eternamente illusi di contar qualcosa, di aver raggiunto una stabilità, e ogni volta sbeffeggiati e schiaffeggiati dalla crisi.

È a costoro – serbatoio di voti e massa di manovra ideologica e materiale – che si rivolgono tutti gli Obama e gli Hollande del mondo borghese: le “mezze classi”, che la crisi economica sta martoriando e non cesserà di martoriare, vanno rassicurate e strette allo Stato. Con un’espressione che adoperiamo di proposito perché spiega bene questo processo ricollegandolo a quella che è la realtà del dominio borghese, le “mezze classi” vanno affasciate. Non a caso, in tutti questi discorsi come nella prassi di ogni governo (di destra, di centro, di “sinistra”, ecc.), ci si rivolge a esse in termini di vere e proprie “corporazioni”: per l’appunto, i neri, gli immigrati, le donne, i gay – oppure, i giovani, gli operatori della cultura, i creativi, i precari, i consumatori, i cittadini, e via di seguito, nella riproposizione infinita di categorie che corrispondono per l’appunto a quegli sbrindelli, tenendosi e tenendo ben lontani (per carità!) da ogni tentazione di vedere all’interno d’essi una qualche possibile frattura di classe.

Che invece esiste, e sempre più farà sentire il proprio peso. Tanto per fare un esempio statunitense, l’investimento retorico, di buoni sentimenti, sugli “undici milioni di immigrati che vanno regolarizzati con una nuova riforma” da un lato nasconde il progetto di rassicurare la famosa middle class nei confronti di una presenza minacciosa (il clandestino! l’illegale! l’invisibile! il nascosto! colui o colei che si muove nell’ombra!) e, dall’altro, mistifica il fatto che all’interno di quegli “undici milioni” comunque si agitano e scontrano interessi divergenti, nei confronti dei quali ogni riforma adotterà pesi e misure tra loro ben diversi: un conto è il bracciante che passa il confine di notte, dissanguato dal coyote (il “mediatore” che si fa pagare profumatamente) e incalzato dalla migra (la polizia di confine), e un conto l’immigrato, forse agli inizi non del tutto in regola, che però con il tempo ha fatto fortuna (piccola o grande), ha un buon lavoro, un suo status sociale, magari frequenta (o fa frequentare ai propri figli) l’università... ed è quindi un buon candidato a entrare a far parte della piccola borghesia (multi-etnica, ma sempre piccola borghesia), un po’ come era successo, a partire dagli anni ‘60 del ‘900, con la piccola borghesia nera.

La classe dominante – dicevamo – ha bisogno di queste “mezze classi” come massa di manovra ideologica e materiale: a ulteriore conferma, una volta di più, di quanto abbiamo sempre sostenuto a proposito dell’essenza fascista della democrazia uscita dalla seconda guerra mondiale. Noi comunisti, invece, non abbiamo alcun bisogno di queste “mezze classi”: sappiamo che sono infide, ondeggianti, inaffidabili, sempre pronte al tradimento e al voltafaccia, disposte a inseguire questo o quel miraggio (individuo, “filosofia”, oggetto), a farsi rimbambire dall’ultimo ritrovato tecnologico, dal più recente “maestro di pensiero”... Noi non abbiamo un programma per esse. Abbiamo il programma della rivoluzione proletaria e della via per giungervi e andar oltre: verso la dittatura del proletariato, la società senza classi, il comunismo. Questo è il nostro nord. Se alcuni di questi sbrindelli, nei momenti di decisa polarizzazione sociale, percepiranno la necessità di orientarsi a questo nord, di disciplinarsi a questo programma, bene, verranno con noi: saranno transfughi dalle “mezze classi” (se non addirittura dalla classe dominante). Ma per lo più quegli sbrindelli saranno nostri nemici, tanto più accaniti e incarogniti quanto più privati delle loro mefitiche illusioni: da essi, dai loro “pensatori”, dai loro miti e dalle loro illusioni, il proletariato dovrà guardarsi, perché è anche attraverso essi che la borghesia propaga i propri virus mortali – dell’individualismo e della competizione, del localismo e del nazionalismo.

 

 

1. Cfr. l’articolo in ultima pagina (p12).

2. Negli anni ’60, era celebre un ambiguo movimento canoro a sfondo semi-religioso e con ramificazioni internazionali, dal nome “Up with the People!” (in italiano, “Viva la gente!”), che si proponeva di diffondere un credo a base di “amore, onestà, purezza e altruismo”... Ogni commento è superfluo!

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2013)

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