Mentre scriviamo, giunge la notizia di una possibile ennesima tregua alla tragica guerra (che dura dal 1948!) di sterminio e pulizia etnica dello Stato d'Israele nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania, nel Libano e nel Golan “siriano”. Ovviamente, torneremo sui contenuti di questa eventuale tregua e soprattutto sui suoi sviluppi successivi, senza lanciarci nella prevedibile girandola di analisi e ipotesi geo-politiche. Alcune cose però debbono continuare a essere chiare.
Qualunque sia l'esito immediato di questa vicenda sanguinosa, altro frutto avvelenato delle dinamiche imperialiste, è evidente che non ci sarà sbocco né politico-militare né umanitario. Lo Stato d'Israele continuerà a svolgere il ruolo di gendarme armato dell'area medio-orientale che gli è stato affidato dall'imperialismo USA, con il tacito e ipocrita consenso degli imperialismi “alleati” e con quello “conflittuale” delle potenze emergenti, nel silenzio colpevole e complice delle borghesie arabe, di cui tutte le fazioni palestinesi fanno parte a pieno titolo. La tragedia del proletariato di Gaza, della Cisgiordania e della diaspora, non avrà termine, finché esso rimarrà drammaticamente ingabbiato entro la prospettiva nazionale e nazionalista (il “popolo”, la “patria”), di cui si fanno portavoce fazioni borghesi più o meno militanti, militariste e bigotte come Hamas (e tutti quelli che continuano ad accodarglisi nel grottesco “Fronte della resistenza”) o la corrotta Autorità Nazionale Palestinese. Quando anche, in futuro e attraverso altri, inevitabili massacri, dovesse concretizzarsi la “soluzione dei due Stati”, non solo non cesserà la guerra all'interno della polveriera medio-orientale, sempre più simile a quella balcanica da cui si sprigionò la Prima Guerra Mondiale (essa pure, come la Seconda, espressione di dinamiche inter-imperialiste), ma il proletariato palestinese, fiaccato da decenni di interclassismo controrivoluzionario, sarà vittima non di uno, ma di due nemici: la borghesia israeliana e il suo Stato e quella palestinese e il suo Stato. Avrà la forza di affrontarli e combatterli? Da qui, nel cuore dell’imperialismo mondiale (europeo, americano, asiatico), deve tornare ad affermarsi, nella teoria e soprattutto nella pratica, l'internazionalismo proletario: guerra contro tutte le borghesie nazionali e i loro Stati e in primo luogo contro la “propria” borghesia, troncando una volta per sempre la colpevole, suicida e omicida, complicità nazionale e nazionalista, fin troppo alimentata, in tutti questi anni e in tutti i paesi, da sedicenti forze “di sinistra”. Classe contro classe e non popolo contro popolo; internazionalismo antinazionale e non “inter-nazionalismo” camuffato da “federazione di popoli”; lotta aperta contro tutte le borghesie, soprattutto contro la “propria”; disfattismo rivoluzionario e fraternizzazione tra proletari contro il nuovo massacro inter-imperialista mondiale che si prepara. Altra via non c’è.
16 gennaio 2025