DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Le elezioni del novembre scorso (con il passaggio da un governo di centro-sinistra a uno di centro-destra) sono servite solo a consolidare quella frazione della borghesia che non ha esitazioni ad applicare in forma aperta e decisa le stesse misure cui aveva già posto mano la socialdemocrazia a partire dal maggio 2010 – socialdemocrazia che, anche dopo la batosta elettorale (più che una vera vittoria del Partido Popular), affonda con un enorme discredito e nell’indifferenza generale. Da questo punto di vista, la “destra” può così continuare con molto margine d’azione l’opera di attacco alle condizioni di vita e lavoro di milioni di proletari, che in maniera cinica e vergognosa avevano iniziato i governi social-liberali da quasi due anni. E’ uno schema che storicamente si ripete: l’apertura da parte della socialdemocrazia di strade apertamente repressive, di cui poi approfitta la destra borghese.

Per meglio comprendere l’assenza di risposte, l’apparente rassegnazione con cui sono accolte le decisioni prese periodicamente dai governi borghesi contro la classe operaia, bisogna tener conto di un fattore essenziale, costituito dalle organizzazioni sindacali (le Comisiones Obreras, o CCOO, di matrice stalinista, e l’Unión General de Trabajadores, o UGT, legata al partito socialista, PSOE). Queste – fedeli agli interessi che rappresentano – non pongono limite al proprio lavoro disfattista, collaborando in un modo o nell’altro ad accordi che vanno a colpire sempre più le condizioni salariali e di vita non solo dei proletari ancora attivi o disoccupati, ma anche dei pensionati o di altri strati sociali non proletari.

Ci sarebbe molto da dire su tutto ciò: basti qui ricordare che gli interessi rappresentati dai sindacati CCOO e UGT sono quelli di una specifica aristocrazia operaia spagnola, settori privilegiati di lavoratori industriali e di funzionari che sono parte integrante del regime imperialista di serie B o C. Strati e settori di lavoratori (non molto numerosi, ma dotati di potere contrattuale) che hanno beneficiato delle briciole del banchetto cui la Spagna ha preso parte attraverso le sue imprese multinazionali durante i quindici anni precedenti la crisi, soprattutto in America Latina. Sono la base sociale del riformismo, e si potrebbe dire che ormai da molti anni hanno assicurato un appoggio molto deciso al regime dittatoriale della borghesia spagnola, identificandosi con gli interessi nazionali. Lo si vide già nel 2003, in occasione della mobilitazione contro la guerra in Irak, quando i sindacati mostrarono apertamente di non essere disposti a consentire che l’apparato produttivo venisse danneggiato dalla rivolta nelle strade contro l’allora governo del Partido Popular.

Questa politica sindacale ha continuato a sviare le masse per decenni: ma solo ora se ne colgono appieno le conseguenze, con l’apatia, il senso di sconfitta e d’impotenza nei settori operai organizzati e l’indifferenza fra le grandi masse, che ora cominciano a rendersi conto molto vagamente che le cose stanno prendendo una brutta piega e che tutto il ciarlare sull’“uscita dalla crisi” sono solo chiacchiere.

E’ chiaro che la guerra sociale è già stata dichiarata apertamente. Ma solo una parte vi si è preparata ed è disposta e pronta a combatterla, mentre dall’altra parte (mezze classi, piccola borghesia, proletariato) una fetta importante (anche se in rapida diminuzione) continua a prestar orecchio alle versioni della classe dominante.

In ogni caso, noi proletari – 14-15 milioni d’individui – siamo disarmati, disorientati e divisi. E’ già molto che una piccola minoranza abbia compreso nei suoi giusti termini le dimensioni di questa crisi, il suo carattere sistemico. A questo ritardo nel comprendere la profondità e le caratteristiche della crisi hanno contribuito, seminando confusione, ciarlatani di ogni genere, riformisti di vario pelo, i reazionari di ogni tipo. Eppure, nonostante tutto, a poco a poco e in settori certo minoritari, penetra una consapevolezza esatta, “marxista”, degli sviluppi del capitalismo, dei suoi problemi e delle sue contraddizioni… ma non ancora del come affrontarli.

Dal punto di vista delle prospettive economiche, credo che la situazione sia peggiore di quella che la stampa borghese sta dipingendo. Le caratteristiche della struttura produttiva spagnola sono tali per cui la cifra dei disoccupati può facilmente salire fino ai sei milioni nel corso di questo anno 2012: ma credo che nei mesi prossimi si possa anche superare questa cifra, con gli squilibri politici e sociali che si possono immaginare e su cui tornerò prossimamente. E’ questo un tema centrale, che tocca la struttura sociale e i rapporti di forza fra le classi (e in buona parte la piccola borghesia). La concorrenza dentro al proletariato, la fragilità della solidarietà di classe, ecc., saranno egualmente toccati e scompaginati dall’avanzata della crisi.

Quanto al movimento dei cosiddetti “indignati”, non c’è molto da aggiungere a quanto avete già scritto. Vale forse la pena di sottolineare soltanto la sua incapacità di collegarsi a rivendicazioni operaie, a causa della cosciente volontà di non introdurre, nelle discussioni o nelle assemblee, la questione del lavoro salariato e del conflitto – il che equivale a rimuovere preventivamente e per principio ogni accenno alla lotta di classe. D’altra parte, non potrebbe essere altrimenti, vista la composizione sociale del movimento. Nonostante le mobilitazioni massicce (l’ultima, il 15 ottobre), le sue caratteristiche lo rendono debole, fragile e poco incisivo.

[…]

La lotta di classe in Spagna non ha mai seguito un percorso regolare, ha sempre funzionato in maniera ingannevole, a esplosioni, perché le è sempre mancata un’avanguardia organizzata, un’organizzazione. E, sebbene non mancheranno sorprese improvvise, credo che la nostra attività militante debba continuare, facendo il nostro lavoro nel migli

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2012)

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