DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

La solitudine politica e sindacale, l’isolamento in cui si trova il proletariato, lo rendono vulnerabile, esposto – settore per settore, situazione per situazione – all’attacco che la classe dominante gli rovescia addosso, di fronte al progredire della crisi. E’ un attacco che si dispiega con modalità e su piani diversi e che colpisce in maniera differenziata: le drastiche misure economiche, i licenziamenti a raffica, la precarietà diffusa, l’oppressivo regime di fabbrica, l’intensificarsi dei ritmi di lavoro, la militarizzazione della vita sociale, la strafottenza pilotata di picchiatori e aggressori reclutati nella feccia ideologica… E poi l’uso dispiegato della magistratura, che s’accanisce su proletari colpevoli di voler far sentire la propria voce.

Nel numero scorso di questo giornale, ricordavamo l’arresto a ottobre 2011 di dodici proletari e le informazioni di garanzia ad altri undici, tutti appartenenti al “Comitato Disoccupati” attivo a Brindisi e dintorni, per aver occupato, mesi fa, un’azienda che si occupa di raccolta di rifiuti: le accuse andavano dalla “violenza privata aggravata” all’“invasione e occupazione di aziende”, dal “sabotaggio” all’“interruzione di servizio pubblico”.

A dicembre, s’è verificato un caso analogo: il processo (poi rinviato a marzo 2012) a otto membri del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, attivi sia a Tezze sul Brenta e a Bassano che a Sesto San Giovanni (Milano). I fatti: a fine maggio, s’è tenuto a Bassano il processo ad alcuni dirigenti della Tricom/Galvanica PM di Tezze, ditta che dal 1974 si occupa della cromatura d’elementi d’arredo – che utilizza cioè, oltre a varie sostanze chimiche, il cromo esavalente, altamente tossico per l’ambiente. Le imputazioni ai dirigenti riguardavano la morte di 14 operai e le ipotesi di reato erano: omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravi, omissioni di difese e cautele contro disastri e infortuni sul lavoro, violazione delle norme di sicurezza ed igiene negli ambienti di lavoro.

Ma per capire meglio la dinamica dei fatti, dobbiamo fare alcuni passi indietro, in una storia che è identica a moltissime altre. Fra il 1977 e il 1979, si susseguono alcune comunicazioni giudiziarie nei confronti della Tricom per avvelenamento di acqua e scarico di rifiuti industriali in acque pubbliche senza autorizzazioni e danneggiamento aggravato, fino alla revoca dell’autorizzazione a scaricare i liquami industriali – revoca annullata da autorizzazioni provvisorie emanate dal sindaco di Tezze (che, guarda caso, lavora all’interno della ditta). Seguono altri provvedimenti per aver continuato a scaricare i liquami e per aver omesso di far sottoporre i propri dipendenti alle visite mediche trimestrali contro i rischi di malattie professionali. Gli esami medici effettuati in seguito su venti lavoratori sono allarmanti: solo tre hanno valori normali, negli altri si rilevano “processi infiammatori” in atto e “displasie”. La vicenda si trascina per alcuni anni: richieste di rinvio a giudizio, analisi delle USSL, denuncia di mancanza di adeguati filtri e impianti di ventilazione, rilevamenti di superamento di limiti consentiti, passaggi di proprietà (la Tricom SpA diventa Galvanica PM). Nel 2001, s’invita la popolazione a non utilizzare l’acqua prelevata dai pozzi: è evidente che un grave inquinamento delle falde acquifere è in corso. E in fabbrica? Mentre cominciano a verificarsi numerosi problemi fra la popolazione che abita nei pressi della fabbrica (pruriti diffusi, mal di testa, perdita di capelli), partono le prime denunce di familiari di lavoratori morti per cancro ai polmoni. A fine 2003, la Galvanica PM dichiara fallimento, proprio mentre è in corso un procedimento penale. Poi, nel 2006 il legale rappresentante della Galvanica PM è condannato a due anni e sei mesi e a un risarcimento di euro 2.250.000, per avvelenamento colposo plurimo: il Ministero per l’Ambiente quantifica in 158 milioni di euro i danni ambientali e in 15 chilometri quadrati l’area di falda inquinata in modo irreversibile. L’indulto cancella la pena di reclusione.

Intanto, si comincia a indagare sulla morte dei 14 operai della Tricom/Galvanica. Le ipotesi di reato sono quelle indicate sopra. Nello stesso anno 2006, nasce il Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio di Tezze sul Brenta e Bassano del Grappa”, che si collega all’omonimo comitato di Sesto San Giovanni e porta avanti iniziative di denuncia e mobilitazione su casi di inquinamento e avvelenamento (primo fra tutti, quello da amianto).

Fra rimpalli di responsabilità, rinvii dei processi, riesumazione delle salme dei lavoratori morti, nuove perizie, passaggi di mano di GUP e PM, si arriva così al maggio 2011, quando, al tribunale di Bassano, dopo dieci minuti di camera di consiglio, il giudice assolve i dirigenti (fra cui l’ex sindaco di Tezze) “perché il fatto non sussiste” – i lavoratori sono morti, perché… fumavano! La rabbia di parenti, amici e membri del Comitato è inevitabile: ci sono urla e slogan, c’è un lancio di uova, ci sono affollati cortei a Bassano, il tribunale viene imbrattato di rosso in memoria degli operai uccisi… Polizia e magistratura sono attivissime e sollecite: sei membri del Comitato di Bassano e due del Comitato di Sesto San Giovanni vengono individuati e rinviati a giudizio per “minacce e imbrattamento”! La prima udienza si tiene il 12 dicembre, davanti al tribunale di Trento: il processo viene rinviato al 12 marzo 2012.

Che dire di più? Isolati e abbandonati a se stessi, i proletari subiscono oggi l’attacco che viene loro portato. I vari comitati che si formano a livello di base su questioni specifiche svolgono un gran lavoro controcorrente, di denuncia, mobilitazione e creazione di solidarietà su temi fondamentali. Ma è chiaro che ciò non è sufficiente. E’ necessario che i proletari stessi tornino a organizzarsi sul territorio intorno a tutti i temi della loro condizione di vita e di lavoro, intorno alla difesa sul terreno economico e sociale contro tutti gli attacchi portati da tutte le parti. “Un attacco a uno è un attacco a tutti” deve diventare qualcosa di più di uno slogan: dev’essere la risposta immediata a ogni sopruso, a ogni insulto, a ogni licenziamento, a ogni condanna per aver alzato la propria voce, a ogni morte in fabbrica. E’ tempo!

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2012)

 

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