DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Noi comunisti ci distinguiamo da tutti gli altri raggruppamenti aspiranti a un radicale cambiamento della società non tanto (e non solo) per la consapevolezza della necessità di militare in una struttura politica permanente, caratterizzata da un lavoro politico che mette in pratica teoria, programma, principi, tattica, organizzazione – un concetto, questo, che, a chi non è ancora stato spinto dalla pressione della moderna lotta di classe verso la necessità della rivoluzione proletaria, appare astratto, una sorta di idealismo utopistico, una merce (magari un po' vintage) tra le tante nel mercato delle ideologie dove vige il principio del confronto e del libero dibattito (mercato che comunque noi, consapevolmente antidemocratici, ci rifiutiamo di frequentare).

Quel che ci divide è lo studio critico del mondo del Capitale e soprattutto la consapevolezza che solo la comprensione scientifica di che cosa è, come vive, come agisce e come lotta la nostra classe è alla base dell'azione rivoluzionaria. E tutto questo nella pratica del movimento di classe.

Dunque, è di fronte a quel che succede nella vita della classe che si verifica chi agisce nella prospettiva della preparazione rivoluzionaria e chi si abbandona invece al sogno ideale. E uno degli ultimi episodi che ci permettono questa verifica è stato indubbiamente quello delle "rivolte" inglesi dell'estate appena trascorsa.

In questa breve nota, criticheremo dunque con ampie citazioni la presa di posizione del gruppo Communist Workers Organization, che rappresenta in Gran Bretagna la Tendenza Comunista Internazionalista, pubblicata sul n°9 (settembre 2011) di Battaglia Comunista:.

Dopo aver fatto una puntuale cronaca degli eventi, ben contestualizzata nella dinamica della crisi che colpisce la Gran Bretagna come tutto il resto del mondo, ed avere giustamente evidenziato l'idiozia politica di partiti conservatori come il Labour o riformisti come il Socialist Workers Party, l’articolo passa a indicare "Una prospettiva comunista".

E qui cominciano i guai.

Si parte con un’ovvia, considerazione: "Non è compito dei comunisti condannare i tumulti. Essi sono un segno della crisi e della decadenza del capitalismo. Ma allo stesso tempo non possiamo idealizzare la rivolta come una forma efficace di lotta contro lo sfruttamento capitalista". Poi si prosegue: "Nel caso specifico, oggetto della rabbia della folla sembrano essere le filiali delle catene nazionali di negozi nelle quali gli insorti semplicemente irrompono e portano via tutto quello che possono". Lasciamo perdere l'ambiguità di un’espressione come “decadenza del capitalismo” (che speriamo si riferisca al contesto della critica della fase imperialista del Capitale in cui tuttora viviamo e non alle fumisterie di una fantomatica “curva discendente del capitalismo”), e andiamo al sodo. La descrizione degli eventi comincia a confondersi con uno strano lapsus: i rivoltosi vengono chiamati “insorti”, termine che presuppone ciò che la rivolta rabbiosa invece esclude, cioè una volontà politica, un obiettivo sociale, sia pure parziali, indistinti. E questo è assolutamente mancato alla fiammata dei rivoltosi.

Quindi, comincia a far capolino una strana dimensione esistenziale: "Lungi dall'essere una forma liberatoria di azione collettiva, questa sorta di 'esproprio' è semplicemente un riflesso dell'ideologia capitalista che vede i più forti accaparrarsi e conservare qualunque merce abbiano conquistato." Accidenti! la complessità della dittatura del Capitale, e quindi dell'ideologia borghese, i mille fili che rendono ciascuno di noi, preso individualmente come venditore di forza lavoro e, ancor peggio, come semiproletario o borghese piccolo piccolo, succube del dominio fisico prima e psicologico poi della classe dominante, questa complessità è ridotta ad una specie di degenerata “legge del più forte” applicata al "mercato". Viene il sospetto che questi “amici inglesi” abbiano dimenticato che quello che ci spinge alla lotta di classe, come lavoratori prima ancora che come comunisti, non è il piagnisteo moralistico sullo sfruttamento o l'indignazione morale per l'ingiusta cattiveria della borghesia, ma è, per l’appunto, una pressione materiale, economica: l'esproprio della ricchezza sociale che produciamo e che si concentra nel monopolio borghese delle merci e dei servizi. E' evidente che la rivolta scatena quindi un comportamento al tempo stesso materiale e simbolico di istintiva riappropriazione delle merci. Soprattutto, paradossalmente, quelle di lusso.

Ma continuiamo a leggere: "Finché il capitalismo continuerà nella sua spirale discendente di crisi, con i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più esclusi, ci saranno sempre più spesso esplosioni come queste." Urca! La crisi non sembrerebbe mettere in evidenza la contraddizione sociale, oltre che economica, del Capitale, cioè il monopolio della ricchezza sociale da parte della borghesia ed il processo di miseria crescente che diventa addirittura pauperizzazione e coinvolge la nostra classe ridotta sul lastrico perché fatica a trovare chi compra la sua forza lavoro anche ad un prezzo bassissimo. No, essa metterebbe in evidenza “l'esclusione dei poveri”. Esclusione da che cosa? Dal consumo delle merci e dai servizi? Ma allora basterebbero un'organizzazione, magari autogestita, di una distribuzione caritatevole delle merci e il rimpolpamento, sempre autogestito, dei famosi servizi e centri sociali per smorzare le contraddizioni del Capitale? Ma allora perché non trasferirsi in massa tra le file dell'Socialist Workers Party o dell'Esercito della Salvezza?

L'articolo prosegue: "E' aperta la sfida per la rinascita di un movimento che davvero liberi la classe lavoratrice e che presenti un'alternativa alla barbarie capitalista. Si tratta di un movimento collettivo, nel quale i lavoratori comprendono il motivo per cui stanno combattendo contro le forze della repressione: nientemeno che il rovesciamento del vecchio ordine mondiale in favore di un mondo completamente nuovo, nel quale la distribuzione non sia basata sui profitti per pochi, ma sulla produzione diretta per soddisfare le esigenze di tutti".

Un paio di frasi ad effetto, molto sentimentali. Ma dietro la poesia vediamo un po' la prosa. Diamo per buona la necessità di un movimento che davvero liberi la classe lavoratrice, ma articoliamolo meglio ed epuriamolo dalle ambiguità. Come si sa, una delle definizioni di comunismo è quella famosa che lo identifica come movimento reale che cambia lo stato di cose presente. Si esclude così ogni progetto utopistico: con la propria azione (e non un blando procedere), il movimento rompe le forme della civiltà borghese (altro che barbarie!), sgretola le istituzioni attraverso le quali il Capitale esercita la sua dittatura e libera le forze produttive, che vengono quindi utilizzate dalla nostra classe organizzata in classe dominante.

 E' questo il passaggio organizzativo materiale che sfugge ai nostri “amici inglesi”.

Come si legge nel nostro Tracciato d’impostazione (1946), “La corretta formulazione marxista non è: un giorno il proletariato prenderà il potere politico, distruggerà il sistema sociale capitalistico e costruirà l’economia comunista; ma è invece: soltanto mediante la sua organizzazione in classe, ossia in partito politico, e l’instaurazione armata della sua dittatura, il proletariato potrà distruggere il potere e l’economia capitalistici e rendere possibile una economia non capitalistica e non mercantile”

Anche la questione dello Stato borghese e dell’articolazione della sua dittatura sfugge e si presenta confusa alla Communist Workers Organization, che la presenta solo come una costruzione ideologica formale: “Al posto di un parlamento capitalistico che agisce come una cortina fumogena per nascondere il reale potere del denaro e del profitto, un movimento operaio rivoluzionario formerà consigli di delegati revocabili e responsabili verso chi li ha eletti, il cui unico scopo sarà quello di introdurre una modalità di produzione comunista per garantire che siano considerati gli interessi di tutti i lavoratori”. Ed ecco che, nella seconda parte della frase, l’utopia libertaria si sostituisce al rigore comunista che abbiamo appena ricordato!

Insomma, sembrerebbe che, mentre si rinuncia al meccanismo democratico borghese, si possa fare a meno della critica alla radice di questa stessa ideologia: la pretesa uguaglianza degli individui, supposta tale in virtù (secondo la “politica” borghese) della comune cittadinanza nazionale – uguaglianza che, per chi non propugna fino in fondo la critica comunista, sopravviverebbe come un dato di fatto puramente economico e sociologico: siccome siamo tutti lavoratori, possediamo tutti la medesima frazione di “coscienza di classe”… si tratta quindi di scoprirla e applicarla… !!!

E’ per questo che la Tendenza Comunista Internazionalista, da quel che si capisce da questo articolo della CWO, non riesce a (non può) capire che la “coscienza di classe” non è un dato che automaticamente ci viene dato per la collocazione socioeconomica in cui viviamo o nasciamo, ma una conquista politica, l’espressione della forza organizzata che ci da la possibilità di passare, da insieme di individui che vendono forza lavoro per campare (classe in sé), a soggetto politico (classe per sé).

 Questo scivolone idealistico si manifesta poi nella conclusione dell’articolo: “In breve, a meno che la classe operaia non inizi a comprendere che esiste un’alternativa al capitalismo e a lottare su un piano politico, ci saranno sempre più esplosioni di rabbia da parte di chi non ha nulla da perdere in questa società, che non ha prospettive di lavoro serio, che non è ammaliato da East Enders (popolare soap opera inglese, NdT) e che non ha alcuna religione a tenerlo incatenato a questo mondo”.

Qui s’inverte completamente il processo attraverso il quale la nostra classe sarà costretta a fare la rivoluzione. Ci si dimentica infatti il necessario passaggio politico che solo potrà utilizzare le “esplosioni di rabbia”, criticandole e inquadrandole nella più generale preparazione rivoluzionaria: l’organizzazione politica, il Partito Comunista.

Sempre il nostro Tracciato d’impostazione ricorda:

Il contrasto tra le forze produttive e le forme sociali si manifesta come lotta tra le classi aventi opposti interessi economici; questa lotta nelle fasi culminanti diviene contesa armata per la conquista del potere politico. Classe nel senso marxista non è fredda constatazione statistica, ma forza organica operante, ed appare quando la semplice concomitanza di condizioni economici e di interessi sfocia in una azione e in una lotta comune. In queste situazioni, il movimento è condotto da aggruppamenti e organismi di avanguardia, di cui la forma sviluppata e moderna è il partito politico di classe. La collettività la cui azione culmina in quella di un partito si muove nella storia con una efficienza ed una dinamica reale irraggiungibili nel cerchio ristretto dell’azione individuale. E’ il partito che perviene ad avere una coscienza teoretica dello sviluppo degli eventi ed una conseguente influenza sul divenire di essi nel senso disposto dalla determinante delle forze produttive e dei rapporti tra esse”.

E tanto basti, per ora.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2011)

 

 

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