DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

E’ inutile che l’insieme degli operatori ideologici borghesi sostengano, attivamente e passivamente, che la società del Capitale è non solo l’“unico mondo possibile”, ma anche il “migliore dei mondi possibili”. Sta sotto gli occhi di tutti il fatto che, nonostante decenni di crescita economica (ormai risalenti al terz’ultimo quarto del ‘900!) e decenni di meteorismo borsistico (il cui mefitico pernacchio ci ammorba ormai da un bel po’), il re è nudo: il capitalismo è in crisi profonda e non sa come uscirne.

L’impalcatura sociale scricchiola dappertutto e qua e là comincia a cedere. Insomma, qualcosa si muove: in particolare, il proletariato comincia a muoversi e sulla sua spinta (spesso e volentieri, sfruttando la sua spinta) si muovono i brandelli di quel magmatico e informe ceto medio, cresciuto a dismisura negli anni dell’espansione economica e dell’elefantiasi degli stati imperialisti. Si agitano, questi brandelli, perché ora, insieme alla viziata élite della classe lavoratrice (l’orrida aristocrazia operaia), vedono con terrore il destino nemmeno troppo lontano della proletarizzazione.

Tralasciamo qui quelle frazioni di piccola borghesia che assumono, o apirano ad assumere, il ruolo di ceto impiegatizio, d’indispensabili funzionari del Capitale, di aperti oppressori del proletariato: tralasciamo cioè gli esaltatori dello stato (più o meno democratico) visto come garante degli equilibri della società civile, i soldati e i poliziotti (o aspiranti tali) e gli altri difensori delle disastrate patrie.

Occupiamoci piuttosto di quelle frazioni piccolo-borghesi, che “si agitano” proclamandosi a vario titolo “indignati”, “ribelli”, “antimperialisti”, “antagonisti”, “antimondialisti”, anti-questo o anti-quello… Per comodità, li chiamiamo con l’epiteto con cui già i nostri maestri li avevano identificati quando erano anarchici, consiliaristi, operaisti, etc.: immediatisti.

Ce ne occupiamo, perché sono quelli che più occhieggiano al movimento operaio e che si entusiasmano per i suoi strappi e scossoni, sociali e sindacali. E vi interferiscono rappresentando una delle forze più significative che contribuiscono a rallentare e ostacolare la via della ripresa rivoluzionaria, a cui il Partito comunista lavora, con l’ostinazione che ci tramandiamo di generazione militante in generazione militante.

Rimettiamo dunque ancora una volta i puntini sulle i e ribattiamo qualche vecchio chiodo.

Solo la nostra classe, l’insieme dei venditori di forza-lavoro, il proletariato, per le sue stesse condizioni di esistenza nel regime capitalistico, può (quando si da e riconosce la giusta organizzazione e direzione, e questo è l’arcano mistero che ha nome Partito comunista mondiale) riuscire ad andare fino in fondo nella lotta contro la borghesia. Le sue inevitabili battute d’arresto, le sconfitte, le ingenuità e illusioni, la sua inesperienza, possono essere superate con una migliore organizzazione proprio delle sue stesse lotte, ed esso può organizzarsi e centralizzare i propri sforzi, innanzitutto sul piano della resistenza economica e, nel periodo storicamente giusto, su quello della preparazione dell’offensiva politica contro lo stato borghese. Il Partito comunista lavora apertamente in questo processo, per organizzare la classe proletaria diventandone così lo stato maggiore. Non nasconde di volere (e dovere) dirigere il proletariato nella sua lotta di classe di resistenza (attraverso gli organismi più adatti, che per sintesi e comodità chiamiamo “organizzazioni di difesa economica e sociale”) e nell’organizzazione della forza che ne scaturisce e da cui nasce la lotta politica, culminante nella violenta insurrezione contro le istituzioni dello stato borghese. Lo fa, proprio perché è l’organo, l’arma, che determina la classe. E lavora affinché la dittatura del proletariato sulla vinta classe borghese possa e debba essere esercitata sotto la propria direzione, negli organismi attraverso cui la nostra classe esprimerà quella dittatura, pena la sconfitta.

I nostri cari immediatisti si mostrano sempre (e da sempre) scandalizzati se si nominano Classe, Partito, Dittatura del proletariato. Contro quello che, con disincantata ironia, definiscono mitologie, essi prospettano un’ancor più convinta riaffermazione delle ideologie modernamente decrepite dei loro precursori.

Secondo costoro, la nostra classe non dovrebbe dunque organizzarsi e centralizzare forza e lotte per obiettivi politici così stabiliti e certi, perché, alla fine, di questi sforzi approfitterebbero sempre e solo i… capi dei partiti che, bramosi del potere (si sa: “comandare è meglio che fottere”!), si sostituirebbero alle “masse”, per esercitare il potere prima in loro nome e poi contro di loro.

Troppo infarciti dell’idealismo borghese e delle sue storiche rimasticazioni moralistiche sulla “corruttibile natura della persona umana”, essi non riescono (non vogliono) vedere e capire che questa stessa società che produce uomini egoisti e corruttibili (ma che al contempo è materialisticamente gravida di quella nuova) è poi il prodotto di uomini e donne, espressione del momento rivoluzionario della borghesia, che hanno saputo dare ben altri esempi morali e politici rispetto ai loro eredi.

Essi dimenticano che queste caratteristiche si sono prodotte e si riproducono continuamente, perché la società borghese non ha certo (non era suo compito!) eliminato la generale divisione di classe delle organizzazioni umane succedutesi dalla dissoluzione (anche quella necessariamente rivoluzionaria) dell’originario comunismo primitivo. Anzi, l’ha riproposta in maniera moderna, e con la raffinata costruzione dell’uguaglianza degli individui e della comunanza di interessi della nazione, a livelli, come vediamo tutti i giorni, ancor più devastanti e generalizzati.

Questi “liberi pensatori” non riescono a capire, perché proprio non vogliono capire, che la dittatura proletaria sarà uno stato necessariamente transitorio, perché il suo scopo, la sua funzione, sono di eliminare, con misure economiche, pratiche, concrete, le cause dell’esistenza delle classi (e quindi dei riflessi comportamentali individuali dei condizionamenti delle società divise in classi), e rendere così possibile il comunismo.

Proprio perché hanno paura del comunismo, che li renderà superflui come individui e come ceto, temono come la peste l’organizzazione del Partito Comunista e schifano la preparazione, l’organizzazione e la direzione della moderna lotta della nostra classe.

Schiacciati dalle angustie della situazione presente, sempre più marcia, riescono a vedere solo partiti corrotti che avrebbero, in eterno, forza e mezzi per deviare il corso materiale rivoluzionario della storia e degli eventi e addirittura di condizionarlo a loro piacimento.

La lotta del proletariato dovrebbe, dunque, per loro, rinunciare a darsi quella sua particolare direzione politica, il suo proprio stato maggiore, perché tutte le direzioni politiche, tutti gli stati maggiori, insomma tutti i partiti, proprio in quanto partiti, sarebbero indistintamente corruttibili o lo diventerebbero, soprattutto quando investiti dell’esercizio del potere.

Come “garanzia”, la lotta rivoluzionaria dovrebbe allora essere esercitata e gestita autonomamente dagli stessi lavoratori, che (forse perché sfruttati ?) avrebbero, per grazia del lavoro salariato (!), infusa la coscienza di classe, cioè la chiarezza degli obiettivi e dei compiti, oltre che le necessarie virtù di purezza morale.

Per noi comunisti, i nostri fratelli di classe cominciano a diventare compagni di classe, imparando il modo e i metodi con cui liberarsi del sistema capitalistico, quando, a partire dal recinto soffocante della fabbrica, riescono a spezzare i confini dell’azienda e a solidarizzare con gli altri lavoratori, nelle strade, nelle piazze, in strutture di lotta organizzate sull’intero territorio (e poi ben oltre!).

Per i nostri cari immediatisti, lo scopo della lotta di classe non sta nella conquista e disarticolazione del potere politico centrale, ma nell’esercizio del potere nelle sparse unità produttive o nelle istituzioni locali, nella pressione esercitata sui cosiddetti “governi amici”, nel sostenere “governi operai” che consentirebbero di “strappare” e “gestire”, di volta in volta, questa o quella azienda, questa o quella località, per di più nel corso di lotte squisitamente economiche o solo sociali.

Non si tratta dunque, per loro, di avviare la soppressione del sistema capitalistico e delle sue categorie (salario, mercato, concorrenza, contabilità aziendale, etc.), compito che richiede necessariamente una situazione in movimento oggettivamente rivoluzionaria e, quindi, misure centrali e valide senza eccezioni, prese da un forte e autorevole potere politico proletario. Per loro, si tratta di controllare e gestire le aziende capitalistiche sostituendo i “dirigenti” (o affiancandoli) con le “rappresentanze dei lavoratori”, mentre la macchina dello Stato borghese continua a sussistere.

Anziché prepararsi, partendo dalla concretezza dell’allenamento della lotta economica, a una lotta politica generale per l’abbattimento dell’ostacolo che impedisce all’umanità di organizzarsi in modo finalmente umano, si dovrebbero cioè limitare le energie proletarie, magari anche esaltandone esteticamente la rabbia e la violenza immediata, solo verso obbiettivi contenuti e locali: gli espropri, il controllo di fabbrica, le “autogestioni”, il riformismo armato per intimidire (come i mafiosi!) i servitorelli della borghesia, per non dire del delirio (di derivazione gramsciana) del far diventare i proletari… esperti produttori, con tanto di master in marketing e finanza.

Così non si disarticolerà mai la società del capitale: anzi, la si aiuterà a mantenersi viva, nella sua impersonalità. Le uniche a “disarticolarsi” saranno la capacità e la prospettiva di organizzazione sia economica sia sociale, e soprattutto politica, della nostra classe.

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2011)

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