DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

 

Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno, come l’araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti.

Karl Marx

 

Il 18 marzo 1871 il proletariato parigino diede l’assalto al cielo, e per due mesi strinse in mano la città, e con essa il futuro. Poi, la furia bestiale della borghesia internazionale gli si avventò addosso con i propri eserciti ieri nemici e ora alleati, con le bande di mercenari e di teppisti, con le falangi assetate di vendetta di benpensanti e timorati di Dio, e fra il 21 e il 28 maggio (la “settimana di sangue”) ne fece strage – una strage orrenda, orchestrata dal “nano mostruoso” (come lo definì Marx), il ministro Adolphe Thiers, e messa in pratica dai generali-macellai di nome MacMahon e Galliffet. Una strage che i proletari non dovranno mai dimenticare: più di trentacinquemila uomini, donne, ragazzi trucidati nelle strade di Parigi, fucilati nei parchi e nelle piazze, nei cortili delle case e contro il muro del cimitero Père-Lachaise, torturati e ammazzati nelle segrete della polizia, negli ospedali, nelle chiatte-galera, mentre altri, a migliaia e migliaia, venivano imprigionati, condannati a lunghe pene detentive, deportati nelle isole lontane dei possedimenti coloniali francesi. Nostri compagni di lotta.

 

Tutto era cominciato alcuni mesi prima, nell’estate del 1870 [1], quando la Francia di Napoleone III aveva dichiarato guerra alla Prussia di Bismarck, ricevendo nella battaglia di Sedan (31 agosto-1 settembre) una sonora lezione. Napoleone fu deposto, il Secondo Impero ebbe fine, e i soldati francesi catturati dai prussiani vennero rinchiusi in campi di concentramento. Parigi, dove il 4 settembre era stato proclamato un nuovo governo provvisorio repubblicano e la popolazione aveva costituito una Guardia Nazionale, resistette accerchiata e bombardata fino al 28 gennaio: firmato l’armistizio, i prussiani entrarono nella città. Il 16 febbraio 1871, dalla sua sede al numero 14 di rue de la Corderie, l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (la Prima Internazionale) lanciò la parola d’ordine dell’insurrezione. Thiers intimò alla Guardia Nazionale di consegnare i cannoni disposti sulle colline di Montmartre e Belleville: ma la Guardia Nazionale rifiutò, e i due comandanti mandati a requisirli (che avevano già sparato sulla folla inerme) furono arrestati e fucilati dai loro stessi soldati. Il 28 marzo, nell’Hotel de Ville occupato, fu proclamata la Comune e issata la bandiera rossa al posto del tricolore: il vecchio potere (Thiers e consorti: aristocratici, reazionari, grandi borghesi e grandi proprietari terrieri, piccola borghesia impaurita con le sue rappresentanze politiche) abbandona la città e si rifugia a Versailles, da dove continuerà a tramare contro la Comune, soffocando moti analoghi scoppiati in altre città del paese, istigando la campagna contro la città, stabilendo stretti contatti con il “nemico” prussiano, che mantenne l’assedio in funzione non più “antifrancese”, ma chiaramente antiproletaria.

Nelle settimane successive, fra mille difficoltà diverse, la Comune procedette a gestire e riorganizzare la città con misure che andavano progressivamente ben oltre la risposta iniziale alla guerra, alla sconfitta, all’assedio e all’occupazione straniera: la rivoluzione cresceva e superava se stessa, orientandosi verso una prospettiva socialista, nonostante le gravi incertezze nella direzione politica e la forte preponderanza, nel governo della città, di anarchici proudhoniani e di blanquisti – i primi, restii ad accettare un potere proletario dittatoriale e chiusi in una logica localista, federalista e autogestionaria; i secondi, privi di una prospettiva politica di più ampio respiro che andasse al di là del colpo di mano audace di una minoranza (la stessa Internazionale era, in quegli anni, dilaniata dal contrasto fra comunisti e anarchici: l’anno successivo, il Consiglio Generale verrà trasferito a New York, proprio per sottrarlo alle lotte intestine, e di lì a poco la Prima Internazionale avrebbe cessato di vivere).

***

Seguiamo il procedere di queste misure [2], via via adottate dal Consiglio generale della Comune, organo non parlamentare (e cioè di chiacchiere inutili) ma legislativo ed esecutivo insieme:

19 marzo – Viene insediato il Comitato Centrale, che annuncia le elezioni per il Consiglio della Comune: i delegati saranno revocabili in qualunque momento e riceveranno uno stipendio pari al salario di un operaio comune [3].

21 marzo – Decreto di sospensione della vendita degli oggetti impegnati al Monte di Pietà. Seguiranno il decreto di moratoria sulle cambiali e, fino a tutto aprile, su tutte le pigioni per case d’affitto, il decreto di proibizione ai proprietari di sfrattare i locatari e l’abolizione dell’interesse sul debito. Gli stranieri eletti a far parte della Comune sono confermati nella loro carica, perché “la bandiera della Comune è la bandiera della repubblica mondiale”.

2 aprile – Decreto di separazione fra Chiesa e Stato e di abrogazione di tutti i versamenti dello Stato a scopi religiosi

4 aprile – A seguito dell’inizio delle manovre militari di Versailles, che circonda Parigi e ne inizia un incessante bombardamento, decreto di armamento popolare (tutti i cittadini non sposati fra i 17 e i 31 anni sono integrati nella Guardia nazionale – in seguito, la mobilitazione in armi viene estesa e si creano Battaglioni Femminili)

6 aprile – Decreto sulla presa di ostaggi in risposta ai primi attacchi e alle prime rappresaglie da parte dei versagliesi

8 aprile – Vengono banditi da tutte le scuole i simboli religiosi, immagini, dogmi e preghiere, “tutto ciò che appartiene al campo della coscienza individuale”

11 aprile – Creazione dell’Unione delle Donne per la Difesa di Parigi e per l’aiuto ai feriti. Altre misure riguarderanno la pensione alle vedove (sposate o meno) dei caduti, la presa in carico della Comune degli orfani, l’abolizione di multe e trattenute sui salari

13 aprile – Decreto di demolizione della Colonna Vendôme, odiato simbolo dell’antico regime. Viene anche bruciata pubblicamente la ghigliottina

16 aprile – Decreto sulla rimessa in funzione da parte di società operaie delle officine abbandonate

20 aprile – Decreto di abolizione del lavoro notturno dei fornai e della registrazione degli operai ad opera di soggetti nominati dalla polizia

25 aprile – Decreto di requisizione degli appartamenti vuoti

28 aprile – Creazione di una Commissione incaricata di organizzare l’insegnamento primario e l’insegnamento professionale, entrambi laici. Una Commissione culturale viene affidata alla direzione del pittore Gustave Courbet, deciso sostenitore della Comune

30 aprile – Abolizione delle case di pegno

1 maggio – Creazione di un Comitato di Salute Pubblica, nel tentativo di meglio centralizzare le decisioni e l’organizzazione generale

4 maggio – Decreto applicativo del divieto di lavoro notturno dei fornai

5 maggio – Decreto sul controllo dei contratti e appalti con l’intendenza militare. Divieto di stampa per sette giornali borghesi

11 maggio – Distruzione della casa di Thiers, altro simbolo odiato

16 maggio – Abbattimento della Colonna Vendôme. Al suo posto, sventola la bandiera rossa

19 maggio – Laicizzazione completa dell’insegnamento

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Nel frattempo, la città è cinta d’assedio. Non passa giorno che non venga bombardata e cannoneggiata. I tentativi insurrezionali a Lione, Marsiglia, Tolosa, Bordeaux, in altre città e cittadine, vengono spenti o soffocati con la forza. Infine, il 21 maggio, l’esercito di Versailles entra a Parigi dalla porta di Saint Cloud. Il 22, il Comitato di Salute Pubblica lancia un appello alle armi: Parigi si solleva e inizia un’accanita quanto disperata resistenza, strada per strada, barricata per barricata. Nonostante la bravura e l’efficienza di comandanti come Dombrowski, Wroblewski, La Cecilia e altri, accorsi da ogni angolo d’Europa in aiuto della Comune, salta ogni coordinamento, ogni direzione militare. Si proclama: “Adesso è la volta della guerra delle barricate. Ognuno nel suo quartiere!”. Si mobilitano con atti di straordinario eroismo i ragazzi di di tredici-quindici anni e le donne della Comune, già protagoniste di ogni atto dei due mesi di vita della Comune, dimostrazione vivente di come la “questione femminile” sia una questione “di classe”. Si combatte da nord a sud, da una collina all’altra. Poi, con l’appoggio dei Prussiani e dopo un bombardamento a tappeto, i versagliesi danno inizio alla mattanza della “Settimana di sangue”: l’ultima barricata cede in rue Ramponeau, nel quartiere di Belleville. I macellai di Thiers e compagnia e i bravi borghesi rientrati in possesso della città si scatenano nei linciaggi di strada, nelle fucilazioni a piacere, nelle vendette sanguinarie. Un bagno di sangue impressionante. Che il proletariato non dimentichi mai di che cosa è capace il suo nemico storico, quando il suo potere è minacciato.

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L’eroismo e la grandezza degli oscuri compagni della Comune furono enormi e non si può non sostare oggi davanti al Muro dei Confederati, al cimitero parigino del Père-Lachaise, senza provare una commozione enorme, senza sentirsi crescere dentro l’odio di classe, la determinazione a riprenderne e continuarne la lotta, a portarla fino in fondo.

Il loro eroismo e la loro grandezza si scontrarono con le evidenti carenze della loro direzione politica e militare, con la mancanza di un vero partito rivoluzionario in grado di dirigerli [4]. Nonostante le ripetute esortazioni di Marx da Londra, la Comune non prese la Banca di Francia e non mosse militarmente contro Versailles: due obiettivi che avrebbero significato un colpo durissimo al “contropotere” borghese. Insieme a una direzione troppo spesso vaga e contraddittoria, furono questi i grandi limiti di quel possente movimento: e, al contempo, i grandi “insegnamenti della Comune di Parigi” per il futuro del proletariato mondiale – non dare tregua al nemico, imporre la propria dittatura di classe.

Nella sua grandezza e nei suoi limiti, la Comune di Parigi del 1871 segnò uno spartiacque nell’Europa dei decenni successivi. Da quel momento, come scrisse Marx e come Lenin ebbe poi a rimarcare, tutti gli eserciti borghesi, non importa quanto nemici potessero essere sul campo dei contrasti inter-capitalistici, sarebbero stati ferocemente uniti contro il proletariato. L’epoca delle rivoluzioni duplici (o doppia rivoluzione o rivoluzione in permanenza, nei termini di Marx e Lenin), in cui proletariato e borghesia condividono in piena autonomia politica e organizzativa alcuni obiettivi anti-feudali e democratici, si chiudeva nell’Europa Occidentale: all’ordine del giorno, qui ci poteva solo essere la rivoluzione pura, proletaria e comunista, mentre la prospettiva della doppia rivoluzione restava aperta per paesi arretrati come la Russia o le colonie. Anche questo sarebbe stato uno dei grandi insegnamenti della Comune.

Come scrisse Marx nella seconda metà di maggio 1871, in quello splendido esempio di lucida analisi materialista e insieme di appassionato grido di battaglia che è La guerra civile in Francia (o “Indirizzo del Consiglio generale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori sulla Guerra Civile in Francia”):

“Il fatto che dopo la guerra più terribile dei tempi moderni [quella tra Francia e Prussia - NdT] l’esercito vincitore e l’esercito vinto fraternizzino per massacrare in comune il proletariato, questo fatto senza precedenti non indica, come pensa Bismarck, lo schiacciamento finale di una nuova società al suo sorgere, ma la decomposizione completa della società borghese. Il più alto slancio di eroismo di cui la vecchia società è ancora capace è la guerra nazionale; e oggi è dimostrato che questa è una semplice mistificazione governativa, la quale tende a ritardare la lotta delle classi e viene messa in disparte non appena la lotta di classe divampa in guerra civile. Il dominio di classe non è più capace di travestirsi con una uniforme nazionale; contro il proletariato i governi nazionali sono uniti[5].

Jean Baptiste Clément, comunardo e cantore della Comune, scriverà nella canzone che risuonava nelle strade di Parigi in quelle settimane entusiasmanti, “Il tempo delle ciliegie”: “Amerò per sempre il tempo delle ciliegie/ e il ricordo che ne racchiudo in cuore”. E, con “La Comune è passata di qui!”, gli farà eco Eugène Pottier, anch’egli comunardo e autore dell’“Internazionale” (scritta poco dopo la “settimana di sangue”): “La Comune è un colpo di fulmine/ E Parigi può esserne fiera”.

I proletari di tutto il mondo racchiudono quel ricordo nel cuore e ne sono, ne saranno sempre, fieri.

 

 

 

(Pubblichiamo di seguito due scritti di Lenin: il primo del 1908 e il secondo del 1911)

 

 

 

Gli insegnamenti della Comune

 

Dopo il colpo di Stato che aveva troncato la rivoluzione del 1948, la Francia era caduta per diciotto anni sotto il giogo del regime napoleonico. Questo regime aveva condotto il paese non solo alla rovina economica, ma anche all’umiliazione nazionale. Il proletariato, insorto contro il vecchio regime, si addossò due compiti, l’uno nazionale e l’altro di classe: la liberazione della Francia dall’invasione della Germania e l’emancipazione socialista degli operai dal capitalismo. L’unione dei due compiti è il tratto più originale della Comune.

 

 

La borghesia aveva costituito allora “un governo di difesa nazionale”, e il proletariato doveva lottare per l’indipendenza nazionale sotto la sua direzione. In realtà quello era un governo del “tradimento nazionale”, che vedeva la propria missione nella lotta contro il proletariato parigino. Ma il proletariato, accecato dalle illusioni patriottiche, non se ne accorgeva. L’idea patriottica risale alla Grande rivoluzione del XVIII secolo; essa dominò le menti dei socialisti della Comune, e Blanqui, per esempio, che fu indubbiamente un rivoluzionario e un ardente fautore del socialismo, non trovò per il suo giornale un titolo più appropriato del grido borghese: La patria è in pericolo!

 

Nell’unione di compiti contraddittori – patriottismo e socialismo – consistette il fatale errore dei socialisti francesi. Già nel manifesto dell’Internazionale, nel settembre 1870, Marx aveva messo in guardia il proletariato francese dal lasciarsi sviare dalla falsa idea nazionale: profonde trasformazioni si sono compiute dopo la Grande rivoluzione, gli antagonismi di classe si sono inaspriti, e se allora la lotta contro la reazione di tutta l’Europa unì tutta la nazione rivoluzionaria, oggi il proletariato rivoluzionario non può più unire i propri interessi a quelli delle altre classi, ad esso ostili; ricada sulla borghesi ala responsabilità dell’umiliazione nazionale: compito del proletariato è di lottare per l’emancipazione socialista del lavoro dal giogo della borghesia.

Ed effettivamente il vero sostrato del “patriottismo” borghese non tardò a manifestarsi. Conclusa una pace vergognosa coi prussiani, il governo versagliese si accinse ad adempiere il suo compito immediato e intraprese un’incursione contro il temibile proletariato di Parigi in armi. Gli operai risposero con la proclamazione della Comune e con la guerra civile.

Benché il proletariato socialista fosse diviso in molte sètte, la Comune fu un brillante esempio dell’unanimità con cui il proletariato sa assolvere i compiti democratici che la borghesia ha saputo soltanto enunciare. Conquistato il potere, il proletariato, senza ricorrere a una legislazione speciale e completata, semplicemente, nei fatti democratizzò il regime sociale, soppresse la burocrazia, istituì l’elettività dei funzionari da parte del popolo.

Ma due errori compromisero i frutti della brillante vittoria. Il proletariato si fermò a metà strada: invece di procedere “all’espropriazione degli espropriatori”, si lasciò sedurre dai sogni dell’instaurazione di una giustizia superiore in un paese unito da un fine nazionale; non ci s’impadronì, per esempio, di istituzioni come la Banca; le teorie dei proudhoniani sul “giusto scambio” ecc. dominavano ancora tra i socialisti. Il secondo errore fu l’eccessiva magnanimità del proletariato avrebbe dovuto sterminare i suoi nemici, e si sforzò invece di agire moralmente su di essi, trascurò l’importanza delle azioni prettamente militari nella guerra civile e, invece di coronare la propria vittoria a Parigi con un’offensiva molto energica contro Versailles, temporeggiò e diede tempo al governo versagliese di raccogliere le forze reazionarie e di preparare la sanguinosa settimana di maggio.

Ma, con tutti i suoi errori, la Comune è il più grande esempio del più grandioso movimento proletario del XIX secolo. Marx apprezzò altamente l’importanza storica della Comune: se, durante la proditoria incursione della banda versagliese per impadronirsi delle armi del proletariato di Parigi, gli operai se le fossero lasciate prendere senza combattere, il significato negativo della demoralizzazione suscitata da una simile debolezza del movimento sarebbe stato di gran lunga più grave del danno dovuto alle perdite che la classe operaia subì nella battaglia per difendere le proprie armi. Per quanto grandi fossero stati i sacrifici della Comune, essi furono compensati dalla sua importanza per la lotta proletaria in generale: la Comune risvegliò il movimento socialista in tutta l’Europa, mostrò la forza della guerra civile, dissipò le illusioni patriottiche e distrusse la fede ingenua nelle aspirazioni nazionali della borghesia. La Comune insegnò al proletariato europeo a stabilire concretamente gli obiettivi della rivoluzione socialista.

L’insegnamento che il proletariato ne ricevette non sarà dimenticato. La classe operaia se ne avvarrà, come già se ne avvalse in Russia nell’insurrezione di dicembre [1905 - NdR].

Il periodo che ha preceduto e preparato la rivoluzione russa presenta una certa rassomiglianza col periodo del giogo napoleonico in Francia. Anche in Russia la cricca autocratica aveva condotto il paese agli orrori della rovina economica e dell’umiliazione nazionale. Ma per lungo tempo la rivoluzione non ha avuto modo di esplodere, perché lo sviluppo sociale non aveva creato le condizioni per un movimento di massa, e, nonostante il loro eroismo, gli attacchi isolati contro il governo nel periodo prerivoluzionario si sono infranti contro l’indifferenza delle masse popolari. Solo la socialdemocrazia, con un lavoro tenace e metodico, ha educato le masse alle forme di lotta superiori: le azioni di massa e la guerra civile armata.

Essa ha saputo liquidare in un proletariato ancora giovane le illusioni “nazionali” e “patriottiche”, e dopo che, con il suo intervento diretto, si è riusciti a strappare allo zar il manifesto del 17 ottobre 1905 [con cui lo zar s’impegnava a concedere “libertà civili” e Costituzione – NdR], il proletariato si è accinto a preparare con energia l’inevitabile tappa successiva della rivoluzione: l’insurrezione armata. Libero dalle illusioni “nazionali”, il proletariato ha raccolto le sue forze di classe nelle organizzazioni di massa: soviet dei deputati degli operai e dei soldati, ecc. E, nonostante che gli scopi e i compiti posti dalla rivoluzione russa fossero completamente differenti da quelli posti dalla rivoluzione francese del 1871, il proletariato russo ha dovuto ricorrere allo stesso metodo di lotta a cui aveva dato vita la Comune di Parigi: la guerra civile. Ricordando i suoi insegnamenti, esso sapeva di non dover trascurare i mezzi di lotta pacifici, che giovano ai suoi interessi quotidiani, correnti, e sono necessari nei periodi di preparazione delle rivoluzioni, ma sapeva anche di non dover mai dimenticare che, in determinate condizioni, la lotta di classe sfocia in forme di lotta armata e di guerra civile; vi sono momenti in cui gli interessi del proletariato esigono la spietata distruzione del nemico in combattimenti aperti. Questo ha dimostrato per la prima volta il proletariato francese nella Comune e lo ha brillantemente confermato il proletariato russo nell’insurrezione di dicembre.

Queste due grandiose insurrezioni della classe operaia sono state represse: ebbene, ci sarà una nuova insurrezione, davanti alla quale le forze dei nemici del proletariato si riveleranno impotenti e nella quale il proletariato socialista riporterà una completa vittoria.

 

 

 

(In Zagraničnaja gazeta del 23 marzo 1908. Ora in Lenin, Opere complete, Vol. 13, pp. 448-451).

 

 

 

In memoria della Comune

 

Quarant’anni sono passati dalla proclamazione della Comune di Parigi. Con comizi e manifestazioni il proletariato francese ha commemorato, come d'uso, gli artefici della rivoluzione del 18 marzo 1871. Negli ultimi giorni di maggio, esso andrà nuovamente a deporre corone sulle tombe dei comunardi fucilati, vittime dell'orribile “settimana di maggio” e a giurare ancora una volta di combattere senza tregua fino al trionfo completo delle loro idee, fino alla completa realizzazione dell'opera che ci hanno affidata. 

Perché il proletariato, e non solo il proletariato francese, ma di tutto il mondo, onora negli artefici della Comune di Parigi i suoi precursori? Qual è l'eredità della Comune? 

La Comune nacque spontaneamente. Nessuno l'aveva preparata coscientemente e metodicamente. Una guerra disgraziata con la Germania, le sofferenze dell'assedio, la disoccupazione del proletariato, la rovina della piccola borghesia, l'indignazione delle masse contro le classi superiori e contro le autorità, che avevano dato prova di assoluta inettitudine, un fermento confuso nella classe operaia che, malcontenta della propria situazione, aspirava a un nuovo regime sociale, la composizione reazionaria dell'Assemblea nazionale, che suscitava timori per la sorte della Repubblica: tutti questi fattori e molti altri concorsero a spingere il popolo di Parigi alla rivoluzione del 18 marzo. Questa rivoluzione fece passare improvvisamente il potere nelle mani della guardia nazionale, della classe operaia e della piccola borghesia che si era unita agli operai. 

Fu un avvenimento senza precedenti nella storia. Fino allora, il potere era stato sempre generalmente nelle mani dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti, cioè dei loro uomini di fiducia formanti il cosiddetto governo. Dopo la rivoluzione del 18 marzo, dopo la fuga da Parigi del governo del signor Thiers, delle sue truppe, della sua polizia e dei suoi funzionari, il popolo rimase padrone della situazione e il potere passò al proletariato. Ma, nella società attuale, il proletariato è economicamente asservito al capitale, non può dominare politicamente senza spezzare le catene che lo avvincono al capitale. Ecco perché il movimento della Comune doveva inevitabilmente assumere un colore socialista, tendere cioè all'abbattimento del dominio della borghesia, del dominio del capitale, e alla demolizione delle basi stesse del regime sociale dell'epoca. 

All'inizio, il movimento, fu estremamente eterogeneo e confuso. Vi aderirono anche i patrioti con la speranza che la Comune avrebbe ripreso la guerra contro i tedeschi e l'avrebbe condotta a buon fine. Il movimento era anche sostenuto dai piccoli commercianti minacciati da rovina se il pagamento delle cambiali e degli affitti non fosse stato prorogato (ciò che il governo aveva rifiutato di fare e che invece la Comune accordò). Infine, nei primi tempi, il movimento ebbe, in parte, la simpatia dei repubblicani borghesi i quali temevano che l'Assemblea nazionale reazionaria (i "rurali", i rozzi e brutali grandi proprietari fondiari) restaurasse la monarchia. Ma la funzione principale fu evidentemente assolta dagli operai (soprattutto dagli artigiani di Parigi), fra i quali, durante gli ultimi anni del secondo Impero, era stata svolta un'attiva propaganda socialista, e molti appartenevano anche all'Internazionale. 

Gli operai furono i soli a restare fino alla fine fedeli alla Comune. I repubblicani borghesi e i piccoli borghesi se ne staccarono presto; gli uni furono spaventati dal carattere proletario, rivoluzionario e socialista del movimento, gli altri si ritirarono quando videro il movimento destinato a una sicura disfatta. Soltanto i proletari francesi sostennero senza paura e senza stanchezza il loro governo. Combatterono e morirono per la sua difesa, cioè per la causa dell'emancipazione della classe operaia, per un avvenire migliore di tutti i lavoratori. 

Abbandonata dai suoi alleati e priva di qualsiasi appoggio, la Comune era destinata alla disfatta. Tutta la borghesia francese, tutti i grandi proprietari fondiari, tutti gli uomini della Borsa, tutti i fabbricanti, tutti i ladri grandi e piccoli, tutti gli sfruttatori, si unirono contro di essa. Questa coalizione borghese, sostenuta da Bismarck (che liberò 100.000 prigionieri di guerra francesi per sottomettere Parigi rivoluzionaria), riuscì a sollevare i contadini ignoranti e la piccola borghesia provinciale contro il proletariato di Parigi e a chiuderne la metà in un cerchio di ferro (l'altra metà era bloccata dall'armata tedesca). In qualche grande città della Francia (Marsiglia, Lione, Saint-Etienne, Digione, ecc.) gli operai tentarono anch'essi di prendere il potere, di proclamare la Comune e di correre in aiuto di Parigi, ma i loro tentativi fallirono rapidamente. E Parigi che, prima, aveva levato lo stendardo dell'insurrezione proletaria, ridotta alle sole sue forze, si trovò votata alla catastrofe inevitabile. 

Due condizioni, almeno, sono necessarie perché una rivoluzione sociale possa trionfare: il livello elevato delle forze produttive e la preparazione del proletariato. Nel 1871, queste due condizioni mancavano. Il capitalismo francese era ancora poco sviluppato, e la Francia era ancora un paese prevalentemente piccolo-borghese (di artigiani, contadini, piccoli commercianti, ecc.). D'altra parte, non esisteva un partito operaio, la classe operaia non era né preparata né lungamente addestrata e, nella sua massa, non aveva un'idea chiara dei suoi compiti e dei mezzi per assolverli. Non esistevano né una buona organizzazione politica del proletariato, né grandi sindacati, né associazioni cooperative...

Ma, soprattutto, la Comune non ebbe il tempo, la libertà di orientarsi, e di dar principio alla realizzazione del suo programma. Non aveva ancora potuto mettersi all'opera, e già il governo che sedeva a Versailles, appoggiato da tutta la borghesia, apriva le ostilità contro Parigi. La Comune dovette, prima di tutto, pensare a difendersi. E fino ai suoi ultimi giorni, che vanno dal 21 al 28 maggio, essa non ebbe il tempo di pensare seriamente ad altro. 

Del resto, nonostante le condizioni cosi sfavorevoli, nonostante la brevità della sua esistenza, la Comune riuscì a adottare qualche misura che caratterizza sufficientemente il suo vero significato e i suoi scopi. Essa sostituì l'esercito permanente, strumento cieco delle classi dominanti, con l'armamento generale del popolo, proclamò la separazione della Chiesa dallo Stato, soppresse il bilancio dei culti (cioè lo stipendio statale ai preti), diede all'istruzione, pubblica un carattere puramente laico, arrecando un grave, colpo ai gendarmi in sottana nera. 

Nel campo puramente sociale, essa poté far poco; ma questo poco dimostra con sufficiente chiarezza il suo carattere di governo del popolo, di governo degli operai. Il lavoro notturno nelle panetterie fu proibito; il sistema delle multe, questo furto legalizzato a danno degli operai, fu abolito; infine, la Comune promulgò il famoso decreto in virtù del quale tutte le officine, fabbriche e opifici abbandonati o lasciati inattivi dai loro proprietari venivano rimessi a cooperative operaie per la ripresa della produzione. Per accentuare il suo carattere realmente democratico e proletario, la Comune decretò che lo stipendio di tutti i suoi funzionari e dei membri del governo non potesse sorpassare il salario normale degli operai e in nessun caso superare i 6000 franchi all'anno (meno di 200 rubli al mese). 

Tutte queste misure dimostrano abbastanza chiaramente che la Comune costituiva un pericolo mortale per il vecchio mondo fondato sull'asservimento e sullo sfruttamento. Perciò, finché la bandiera rossa del proletariato sventolava sul Palazzo comunale di Parigi, la borghesia non poteva dormire sonni tranquilli. E quando, infine, le forze governative organizzate riuscirono ad avere il sopravvento sulle forze male organizzate della rivoluzione, i generali bonapartisti, sconfitti dai tedeschi, ma valorosi contro i compatrioti vinti, questi Rennenkampf e Möller-Zakomelski [generali zaristi, che avevano soffocato moti rivoluzionari in Polonia prima e in Russia poi – NdR] francesi compirono una carneficina quale Parigi non aveva mai visto. Circa 30.000 parigini furono massacrati dalla soldataglia scatenata, circa 45.000 furono arrestati; di questi ultimi molti furono uccisi in seguito; a migliaia furono gettati in carcere e deportati. In complesso, Parigi perde circa 100.000 dei suoi figli, e fra essi i migliori operai di tutti i mestieri. 

La borghesia era soddisfatta. "Ora il socialismo è finito per molto tempo", diceva il suo capo, il mostriciattolo sanguinario Thiers, dopo il bagno di sangue che egli e i suoi generali avevano fatto subire al proletariato parigino. Ma i corvi borghesi gracchiavano a torto. Sei anni circa dopo lo schiacciamento della Comune, quando molti dei suoi combattenti gemevano ancora nella galera e nell'esilio, il movimento operaio rinasceva in Francia. La nuova generazione socialista, arricchita dall'esperienza dei suoi predecessori, e per nulla scoraggiata per la loro sconfitta, impugnava la bandiera caduta dalle mani dei combattenti della Comune e la portava avanti con mano ferma e coraggiosa al grido di "Evviva la rivoluzione sociale! Evviva la Comune!". Due - quattro anni più tardi il nuovo partito operaio e l'agitazione che esso scatenava nel paese obbligavano le classi dominanti a restituire la libertà ai comunardi rimasti nelle mani del governo. 

Il ricordo dei combattenti della Comune è venerato non solo dagli operai francesi, ma dal proletariato di tutti i paesi. Perché la Comune non combatté per una causa puramente locale o strettamente nazionale, ma per l'emancipazione di tutta l'umanità lavoratrice, di tutti i diseredati e di tutti gli offesi. Combattente avanzata della rivoluzione sociale, la Comune si è guadagnata le simpatie dovunque il proletariato soffre e combatte. Il quadro della sua vita e della sua morte, la visione del governo operaio che prese e conservò per oltre due mesi la capitale del mondo, lo spettacolo della lotta eroica del proletariato e delle sue sofferenze dopo la sconfitta, tutto questo ha rinvigorito il morale di milioni di operai, ha risvegliato le loro speranze, ha conquistato le loro simpatie al socialismo. Il rombo dei cannoni di Parigi ha svegliato dal sonno profondo gli strati sociali più arretrati del proletariato e ha dato ovunque nuovo impulso allo sviluppo della propaganda rivoluzionaria socialista. Ecco perché l'opera della Comune non è morta; essa rivive in ciascuno di noi. 

La causa della Comune è la causa della rivoluzione socialista, la causa dell'integrale emancipazione politica ed economica dei lavoratori, è la causa del proletariato mondiale. In questo senso essa è immortale.

 

(In Rabočaia gazeta, 1911, n. 4-5. Ora in Lenin, Opere complete, Vol.17, pp. 123-127)

 

 

 


[1] Si potrebbe anche dire che tutto era cominciato parecchi decenni prima: nel 1830, quando i proletari parigini si sollevarono una prima volta, e nel 1848, quando di nuovo furono protagonisti di giornate d’insurrezione e barricate. Dal 1830 al 1848 al 1871, si può così seguire l’emergere del proletariato come forza rivoluzionaria all’interno del paese, ma in una dimensione sempre più internazionale.

[2] Il testo di riferimento obbligato è quello di P. O. Lissagaray, giornalista e testimone oculare, Storia della Comune, Editori Riuniti 1962.

[3] Vale la pena di ricordare le parole del Manifesto che indice le elezioni: “Non perdete di vista che gli uomini che meglio vi serviranno sono quelli che sceglierete fra voi, che vivono la vostra stessa vita, soffrono i vostri medesimi mali. Diffidate degli ambiziosi come dei parvenus… Diffidate anche dei gran parlatori… Evitate coloro che sono stati favoriti dalla fortuna perché è troppo raro il caso che colui che possiede la fortuna sia disposto a guardare al lavoratore come a un fratello… Date la preferenza a coloro che non solleciteranno il vostro voto. Il vero merito è modesto e spetta ai lavoratori riconoscere i loro uomini e non a questi di presentarsi… ” (cfr. P. O. Lissagaray, pp.155-156).

[4] “Il partito dei lavoratori – quelle vero – non è una macchina da manovre parlamentari: è l’esperienza accumulata e organizzata della classe operaia. Solo con l’aiuto di un partito che si appoggi su tutto il proprio passato storico, che preveda teoricamente le vie dello sviluppo e tutte le sue tappe, e ne concluda quale forma di azione nel momento dato sia giusta e necessaria, solo con l’aiuto di un simile partito il proletariato si libera dalla necessità di ricominciare sempre daccapo la propria storia, le proprie esitazioni, la propria incertezza, i propri errori” (L. Trotsky, “Gli insegnamenti della Comune di Parigi”, in Bucharin-Trotzky, Ottobre 1917: Dalla dittatura dell’imperialismo alla dittatura del proletariato, Iskra Edizioni, 1980, p.116).

[5] K. Marx, La guerra civile in Francia, Editori Riuniti 1990, p.70.

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