DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Segnaliamo due esperienze di lotta operaia giunte ad una prima conclusione dopo diverse settimane di traversie: la prima, alla Verlicchi (telai per moto: Ducati e Bmw) di Zola Predosa, in provincia di Bologna, occupata per settimane dai 178 operai e operaie;  la seconda, alla Terim (elettrodomestici per la cottura) di Baggiovara, in provincia di Modena, in lotta contro 45 licenziamenti su 200 operaie/i. Le due lotte, caratterizzate da rivendicazioni del tutto diverse, si sono per così dire concluse e nell’incertezza generale dominante gli obiettivi sarebbero stati parzialmente raggiunti. Quello che abbiamo potuto constatare è l’estrema solitudine, l’abbandono totale in cui gli operai si sono trovati in queste lotte: solo la solidarietà esterna, indipendente dalle organizzazioni sindacali e costituita da singoli operai di altre aziende e da un gruppo di “lavoratori autorganizzati”, ha potuto, in parte, contrastare i tentativi di voler chiudere le vicende in “fretta”, senza lottare, ad opera del pompieraggio manifesto dei piccoli burocrati della Fiom (non parliamo poi delle altre sigle!). Nessun allargamento della lotta, nessuno sciopero tra gli operai delle fabbriche della zona: i lavoratori di ogni azienda vengono tenuti isolati dalle organizzazioni sindacali, in uno stato di “autentico sequestro”, nella totale indifferenza e apatia per quello che succede intorno (e non sono state poche le reazioni smarrite e incazzate da parte degli operai per tale situazione). Silenzio totale: a parte la stampa che, fornendo qualche straccio di notizia, ha dato modo alle autorità, in vicinanza delle prossime elezioni amministrative, di fare alcune capatine interessate, scroccando pelosa pubblicità alla faccia delle difficoltà e miserie operaie.

La prima agitazione in ordine di tempo ha toccato la Verlicchi, azienda allo stato fallimentare, che si è trovata improvvisamente nella stessa situazione dell’Innse di Milano, qualche anno fa. Durante la notte, il padrone aveva smontato e tentato di portare via parte delle macchine: scoperto casualmente il tentativo di furto, gli operai hanno tenuto il presidio dentro i cancelli della fabbrica per settimane, usando come unica merce di scambio i mezzi di produzione, per riuscire ad ottenere i salari arretrati e gli ammortizzatori sociali. Una delle cose che abbiamo potuto verificare con mano all’inizio è stata l’estrema “diffidenza” degli operai da una parte e dall'altra il vero e proprio cordone sanitario messo intorno alla fabbrica dalle organizzazioni sindacali e politiche contro il pericolo di ogni “infiltrazione” di solidarietà dall’esterno (cosa che, a loro dire, avrebbe peggiorato le cose!). L’intervento di un esponente locale della Fiom ha rischiato di trasformarsi in scontro aperto, quando questi ha tentato di cacciare alcuni lavoratori che venivano a portare la loro solidarietà agli operai in lotta, e ha minacciato di chiamare la polizia per… occupazione di proprietà privata: dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, quanta ambiguità e infamia alberghi in simili figuri.

L’estrema disponibilità, la solidarietà dimostrata dai lavoratori esterni a sostegno della lotta hanno permesso invece di vincere la diffidenza, al punto che sono stati i rappresentanti degli operai della Verlicchi ad accettare l’invito del gruppo di operai autorganizzati a discutere nella loro sede del merito della loro lotta (“Assemblea proletaria” è il nome di quest’organismo di base, non espressione di questo o quel sindacato, nato da pochi mesi a Bologna, che, proprio per la sua indipendenza, riesce più facilmente a dare sostegno alle lotte che si vanno via via presentando e così a offrire il massimo di appoggio attivo possibile). Il rafforzamento della fiducia ha portato a indire un’assemblea all’aperto davanti alla fabbrica, attorno alla proiezione del video sulla lotta dell’Innse, in presenza dei lavoratori protagonisti della famosa occupazione di via Rubattino a Milano. Ne è nato un interessantissimo dibattito, il cui tema era proprio il concetto di solidarietà operaia indipendente. La fraternizzazione tra operai che abbiamo potuto riscontrare è stata straordinaria: solo così si è potuta esprimere pienamente la disponibilità collettiva a prendere in mano le questioni operaie aperte, oltre che il necessario sostegno alle famiglie dei lavoratori. Il risultato della lotta non poteva ovviamente spingersi oltre gli obiettivi che gli operai si erano posti, presidiando la fabbrica. Tra la formalizzazione del fallimento e l'accordo, sono passate molte settimane di presidio. Il curatore fallimentare ha acconsentito, dopo il dibattimento e una manifestazione davanti al tribunale, a che dopo i primi dodici mesi non si apra automaticamente la procedura di mobilità, se c'è la possibilità di altri ammortizzatori sociali (quindi cig in deroga e poi quella ordinaria). Il curatore ha anche deciso di continuare la produzione, disponendo che i macchinari fossero rimontati e rimessi in funzione. Ad oggi però solo 6 operai sono al lavoro; per tutti gli altri c'è la cassa integrazione. Siamo certi che fra qualche mese avremo modo di nuovo di parlare della Verlicchi.

Invece, l'appoggio alla lotta dei 45 operai su 200 alla Terim di Baggiovara  (più altri 200 a Rubiera) in provincia di Modena, minacciati di licenziamento, è stato molto più difficile. Gli “autorganizzati” dell’Assemblea proletaria hanno partecipato alla lotta sostenendo, per quanto fosse possibile, il blocco delle entrate e quindi della produzione che gli operai hanno vigorosamente attuato. In diverse occasioni, gli altri operai della fabbrica, pienamente solidali con i compagni sotto lo scacco del licenziamento, hanno dovuto respingere i delegati del padrone e soprattutto il gruppo di impiegati, che tentavano di entrare superando ad ogni costo il picchetto. La possibilità che intervenisse la polizia era all’ordine del giorno, per cui il sostegno di altri lavoratori si mostrava necessario. La parte sostenuta dai sindacalisti della Fiom e di altri sindacati non è stata mai quella di allargare e generalizzare la lotta dichiarando nelle altre fabbriche scioperi di solidarietà: al contrario la Fiom ha continuato cercare di convincere gli operai in lotta (additati dal padrone per lettera come “facinorosi”) ad “ammorbidire” i picchetti per fare entrare gli altri lavoratori, ottenendo il risultato di dare forza al crumiraggio, creando contemporaneamente una rottura drammatica tra i lavoratori stessi. In realtà, la funzione sindacale non era quella di sostenere la lotta e di allargarla per darle il massimo di forza, ma quella di introdurre zizzania veicolando fra i lavoratori in lotta la voce del padrone e delle forze dell’ordine, queste ultime pronte a entrare in azione. Il crumiraggio si è trasformato successivamente in aperta delazione con la denuncia dei lavoratori ad opera degli impiegati nella loro “manifestazione” davanti alla prefettura di Modena. Il crumiraggio delle organizzazioni sindacali, mascherato da tentativo di pacificazione, portava quindi a una situazione senza via d’uscita. Questo era chiaro agli stessi operai che per 12 giorni hanno resistito a tutte le minacce nella solitudine più totale, a parte la solidarietà esterna avuta da altri lavoratori. A nulla è valso il tentativo, tramite volantino, di spingere i lavoratori di Rubiera (l’altra fabbrica del gruppo) a venire in soccorso ai compagni in lotta, ricordando le lotte passate sostenute insieme. La fabbrica, nell’isolamento più totale, finisce per diventare una prigione da difendere. Gli operai hanno dovuto accettare la conclusione che solo in parte viene incontro agli obiettivi, come essi stessi spiegano.

Il 19 aprile, i giornali di Modena scrivevano:Intesa all'unanimità. Sotto il sole cocente, davanti ai cancelli dell'azienda, stamattina i lavoratori riuniti in assemblea hanno approvato l'ipotesi di accordo raggiunta ieri sera tra proprietà, Confindustria, sindacati e delegati. Un voto non scontato, dopo mesi di divisioni profonde tra gli stessi dipendenti: tutti concordi nel respingere i 45 licenziamenti decisi a metà febbraio dalla proprietà, ma divisi nei metodi da seguire. E così tra picchetti e richieste di poter lavorare, si è arrivati all'intesa di stamattina. I 45 licenziamenti diventano 40 esuberi volontari, incentivati economicamente, con in più l'avvio dal 3 maggio della cassa integrazione in deroga per sei mesi, prorogabile per altri sei. Soddisfazione per l'intesa che per un giorno rimette tutti d'accordo, anche se il clima resta teso”.

Di seguito, riportiamo parte della lettera di un gruppo di lavoratori della Terim diffusa dopo l’accordo, che chiarisce la forza e l’impegno sostenuti nel deserto creato attorno ai lavoratori dai loro stessi “rappresentanti”. Insieme all’orgoglio per aver sostenuto una lotta durissima, c’è il dispiacere di non aver avuto il tempo e la possibilità di estendere la lotta. La lotta è finita, ma viva la lotta!

La lotta alla Terim è finita 

Gli operai della Terim ancora una volta sono stati protagonisti, nella pratica, di una lotta accanita contro i tentativi del padrone di espellere dietro false motivazioni di carattere economico, dopo tre anni di cassa integrazione a zero ore, 40 operai, (guarda caso) tra i più attivi a livello politico\sindacale e quelli con ridotte capacità lavorative, acquisite nel corso degli anni all’interno della galera industriale di patron Montorsi.

Nella serata di mercoledì 20 aprile le organizzazioni sindacali hanno firmato l’accordo che mette fine alla lotta degli operai Terim. Certamente un accordo pieno di compromessi, che indubbiamente risolvono solo per un dato periodo i problemi inerenti alla conservazione del posto di lavoro. […]

Alla Terim di Modena, sono stati imposti dalla forza degli operai. La serrata aziendale imposta dai picchetti ha colpito duramente il padrone, che pur resistendo con tutti i mezzi, alla fine ha dovuto cedere. E’ vero…, gli operai non conquistano tutto, ma la cosa importante è come lo hanno conquistato: con una lotta determinata e decisa, ad oltranza per 12 giorni!! Il blocco totale delle attività produttive, amministrative e di magazzino dello stabilimento principale di Modena, giorno e notte, ha determinato la chiusura con messa in libertà del personale, dell’altro stabilimento di Rubiera, per un totale di quasi 400 dipendenti inattivi, di cui una parte non certo maggioritaria numericamente, si è schierata in modo attivo dalla parte del padrone.

E’ bene ricordare che questa parte attiva, composta essenzialmente da quadri, impiegati e capetti, nei giorni scorsi dopo vani tentativi maldestri di sfondare i picchetti, è andata prima in questura per denunciare gli operai del picchetto, dopo in prefettura per richiedere lo sgombero di questo “sparuto gruppo di facinorosi che impediva alla stragrande maggioranza di lavorare”. […]

Ed infine neanche la squallida (dis)informazione dei media locali che inizialmente hanno tenuto all’oscuro la vicenda, dopo con il rilascio di informazioni annacquate e buoniste, hanno tentato di far apparire la maggioranza dei dipendenti, in ostaggio di un “gruppetto ostinato e ribelle che non vuole sentire ragioni”, ” sostenuto e alimentato dai “centri sociali”. Solo onore ai centri sociali, a tutti i compagni, a  tutte le realtà “antagoniste” politico\sindacali, locali e non, alla stragrande maggioranza di delegati aziendali, operai e lavoratori comuni, che si sono spesi con la loro presenza anche in termini economici, a sostegno di questa lotta!!!.

Ci sono voluti 12 giorni per fare abbassare la cresta al padrone. Alla fine lo stesso si è giocato l’unica carta possibile per mettere fine al danno economico e politico che stava subendo: la burocrazia Fiom. […]

Ma comunque nonostante il boicottaggio anche da soli un bel danno lo abbiamo fatto. Alla fine anche patron Montorsi ha capito che non poteva fare a meno della “recalcitrante” Fiom. La Fiom stessa che pochi giorni prima era stata lasciata al tavolo da sola, dopo l’abbandono della trattativa da parte dell’azienda, ora necessariamente diventa l’interlocutore essenziale e necessario perché essa e solo essa è in grado di manipolare la forza degli operai ormai diventata potente e incontenibile. Per arrivare a questo scontro sono serviti tre anni di dispersione tra colleghi, rinunce economiche, esclusione sociale, e in ultimo la procedura di mobilità coatta. […]

Naturalmente anche la burocrazia è cosciente del fatto che qui si gioca una fetta di credibilità comunque già minata da tempo, non può ignorare o peggio raggirare una lotta cosi radicale. Certo l’accordo raggiunto poteva essere più favorevole, ma sappiamo bene che chi oggi tratta per conto degli operai è più predisposto ad ascoltare i problemi del padrone, piuttosto che usare fino in fondo la forza messa in campo. Alla grande mobilitazione operaia non è corrisposta un organizzazione adeguata. Le stesse RSU (a parte un paio di componenti) sono state incapaci di esprimere le vere posizioni degli operai in lotta, sono schierate sempre su posizioni “morbide” e concertative, contrastano e condannano le posizioni dei più combattivi nelle assemblee, con il silenzio\assenso hanno avvallato in passato la repressione aziendale nei confronti degli stessi compagni di organizzazione. A parte questi pessimi elementi, c’è la sinistra Fiom che pur avendo strumenti di critica maggiori, pur essendo costantemente presente nella lotta, e fornendo un supporto logistico non indifferente, non è riuscita a contrastare gli arretramenti della propria organizzazione, pur essendone interni anche con incarichi di rilievo, ma in minoranza.

L’accordo raggiunto ci è costato tanti sacrifici economici e personali, e a parte tutte le “realtà” che hanno portato la loro solidarietà, abbiamo dovuto lottare come si può vedere anche contro tanti altri “nemici”, sindacalisti venduti e in malafede assoluta, istituzioni, giornali e televisioni. Tutti questi adesso salutano con orgoglio ed entusiasmo il raggiungimento dell’accordo. Ipocriti !! Avrebbero preferito in realtà vederci sconfitti e umiliati, magari per starnazzare ai quattro venti i soliti “luoghi comuni” della propaganda borghese, secondo cui la classe operaia non esiste più, non è stato così!! Gli operai solo per il fatto di ribellarsi hanno già vinto, almeno in coscienza e dignità, solo per il fatto di resistere dimostrano di esistere. In realtà avevano paura che il fuoco acceso alla Terim potesse allargarsi e sollevare una ribellione operaia di ben più vaste proporzioni. Ma non è detto che ciò non accada. Questo è il pericolo che abbiamo rappresentato, questo è ciò che abbiamo fatto! […]

Un gruppo di operai Terim

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2011)

 

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