DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il sistema capitalistico, gira e rigira, è sempre lo stesso. Le leggi che lo governavano ai suoi primi vagiti sono le stesse che ne scandiscono oggi la vita in qualsiasi angolo e paese della Terra. Intellettuali, economisti, giornalisti, politici, ai quali il capitale garantisce una vita agiata (leggi: una fetta del profitto estorto a noi proletari) a ricompensa dell’asservita fedeltà, continuano a sopravvalutare ed esaltare la continua mutazione e diversità degli usi e delle tecniche che sono in realtà il prodotto di quelle stesse leggi. Secondo loro, per il vecchio modello settecentesco del capitale non c'è che… la soffitta (in buona compagnia del marxismo) – si  lasci il posto a nuove forme organizzative di produzione come il toyotismo e il post-moderno di ormai vecchia memoria!

E, sebbene la dura legge del valore li smentisca continuamente circa la vera natura del capitale, loro non demordono e trovano sempre “nuove” teorie. In questo momento, va di moda la flessibilità con la precarietà, i contratti locali e l'eliminazione degli "obsoleti" contratti nazionali... Tutte cose che avrebbero cambiato il modo di produzione capitalistico, da "una cosa statica" ad una “entità dinamica”!

Brasile, India, Cina (i cosiddetti “Bric”) sono là a dimostrare come questo sistema partorisca nuove prospettive di vita per l'economia e per l'umanità. Silenzio assoluto o lamentoso brusio sul prezzo che i proletari devono pagare, sullo sfruttamento bestiale che devono affrontare giorno dopo giorno: solo in India, circa cento  sui quattrocento milioni di bambini lavorano per quindici ore dentro infernali laboratori di tappeti, in chioschi di the, ovunque, e ben altri due milioni di loro sono costretti a vendere il proprio corpo per sopravvivere…

In Cina, poi, la situazione non cambia: anzi, si amplifica.

La penetrazione del capitale in tutti i pori della società cinese, la pazza corsa dell'industrializzazione, non hanno ancora cacciato in soffitta le vecchie contraddizioni novecentesche. Non c'è giorno che il governo non si scontri con problemi interni o litighi con le borghesie mondiali: è proprio di questi mesi l'insistenza dei paesi di più antico capitalismo perché la Cina rivaluti la propria moneta, perché questo, secondo gli analisti, porterebbe ad una ripresa dell'economia mondiale, rendendo i prodotti degli altri paesi più competitivi.

Ma i cinesi sanno bene che questa rivalutazione, con una crescita annua del 9,5%, alimenterebbe spinte inflazionistiche e incrementerebbe il pericolo dell'esplosione di una bolla speculativa, soprattutto nel settore immobiliare; per di più, i nuovi mandarini non vogliono abbandonare una politica valutaria che "ha dato da lavorare" a centinaia di milioni di persone. A questi ragionamenti economici si aggiunge il ritorno delle lotte operaie: nelle fabbriche del sud, ci sono stati ripetuti scioperi con rivendicazioni salariali. L'Honda, nelle sue tre fabbriche cinesi, si è trovata di fronte uno sciopero a singhiozzo di due settimane, con rivendicazioni molto semplici e dirette: aumenti salariali e fine dei turni di lavoro massacranti [1].

Gli operai oggi in rivolta sono giovanissimi intorno ai vent'anni, figli dei primi operai migrati dall'interno e dalle campagne. Tra le lotte più clamorose prendiamo ad esempio lo sciopero della Kok dove si producono componenti di caucciù per auto, nella cittadina di Kunshan, poco distante da Shanghai. Duemila operai in giugno hanno incrociato le braccia per chiedere aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro, si sono scontrati con la polizia, hanno avuto feriti e arresti.

A questo malumore della classe operaia si aggiunge quello della classe media che si ritrova sempre più proletarizzata.

Il premier Wen Jiabao già due anni fa temeva i danni che l'inflazione potrebbe provocare alla crescita economica, al tenore di vita e alla stabilità sociale. Ma alla stabilità sociale ci pensa Meng Jianzhu, il Ministro per la sicurezza pubblica, che raccomanda alla polizia di gestire con cautela, moderazione e flessibilità gli "incidenti di massa", evitando spargimenti di sangue... Poi, all'improvviso, il governo cinese liberalizza l'accesso al porno on-line dopo anni di censura: non è che l'autorità voglia usare il porno come diversivo? come un invito a pensare ad altro e non alle angustie economiche e sociali?

Ma, con buona pace degli scopritori del “nuovo” a ogni pie’ sospinto, basterà un po’ di tette e genitali a fermare la “vecchia” lotta di classe?



[1] A proposito di condizioni di lavoro: nel solo 2009, i morti nelle miniere cinesi ammontavano a 2600. A metà ottobre, è poi giunta la notizia della morte di altri 21 minatori (e 16 rimasti intrappolati) in una miniera di Yuzhou, nella provincia centrale di Henan (cfr. per entrambe le notizie il Corriere della Sera, 17/10/2010). Questo stato di cose non riguarda solo le miniere cinesi in Cina: apprendiamo dal Manifesto del 17/10 che undici minatori dell’importante miniera di carbone Collium Mine, di proprietà cinese, a 300 km da Lusaka, capitale dello Zambia, sono stati feriti a colpi di fucile dagli addetti alla sicurezza, durante uno sciopero per aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2010)

 

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