DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

L’estate – si sa – è stagione favorevole alla chiacchiera in libertà. Gli esempi non mancano, e fra i tanti abbiamo scelto due chicche, apparse entrambe sulle pagine del Corriere della Sera, rispettivamente del 27/7 e del 4/8.

Nel primo caso, Paolo Mieli si cimenta in un nuovo capitoletto della saga infinita “Lenin maestro di Stalin”: nel caso specifico, nella “pratica del terrore”... Nel suo livore anticomunista (deve pur farsi perdonare qualche intemperanza giovanile!), Mieli raschia il fondo del barile e celebra la prima edizione italiana di un libro del 1923, Il terrore rosso in Russia. 1918-1923, di tale Mel’gunov (che – c’informa Mieli stesso – fu socialista e responsabile degli Archivi dopo la rivoluzione di febbraio 1917, prima di emigrare nel 1922 a Praga, Berlino e Parigi, da “convinto e attivo anticomunista”). Il libro non c’interessa, anche perché non aggiunge nulla alla melma che da sempre gazzettieri d’ogni risma e colore cercano di rovesciare sulla Rivoluzione d’Ottobre. Né c’interessa l’ennesima, stupida variante dell’equazione “Lenin=Stalin”, che fa di Mieli, come di tanti altri come lui, un appartenente alla schiera meschinella e ignorante degli... “ultimi stalinisti”, sempre convinti che fra i due non ci sia stata soluzione di continuità: anzi... Poveretti, per loro la storia è proprio un libro chiuso, ermeticamente. Quello che è più interessante è il “metodo” (si fa per dire) utilizzato. Per prima cosa, si rimuove bellamente il fatto incontestabile che qualunque trapasso fra un modo di produzione e l’altro sia violento e traumatico: le classi dominanti non abbandonano graziosamente il proprio potere. Secondo, si finge di non ricordare il tremendo bagno di sangue che ha accompagnato la vittoria della borghesia e in seguito (oggi compreso) il mantenimento del suo potere – bagno di sangue nei confronti del quale le misure necessarie adottate dai bolscevichi per difendere l’Ottobre dall’accerchiamento nemico non furono nulla (furono, anzi, forse fin troppo tenui, alla luce della storia successiva). Bagno di sangue che ha nome, tanto per fare un agghiacciante elenco incompleto: violenta espropriazione dei contadini inglesi e irlandesi fra ‘700 e ‘800, violenza incessante del regime di fabbrica, genocidio degli indiani d’America, distruzione di intere popolazioni africane e asiatiche sotto il giogo coloniale, repressione feroce dei moti operai in Europa e America culminante in quella dei comunardi parigini nel 1871, delizie diffuse della penetrazione imperialista in tutto il mondo, genocidio armeno, due guerre mondiali con milioni di morti, genocidio degli ebrei e poi dei palestinesi, due dopoguerra (nel secondo dei quali abbiamo la delizia di sopravvivere) all’insegna di sanguinose guerre continue... E anche (perché noi abbiamo dimostrato che ciò fa parte della storia infame della borghesia) i massacri e le deportazioni e la cancellazione della Vecchia Guardia bolscevica, nella Russia degli anni ’30. Tutto ciò scompare, nel lattemiele nostalgico di Mieli (e di Mel’gunov): quant’era bello lo zarismo, com’erano colti i proprietari terrieri, com’erano buoni i padroni delle Officine Putilov... e quanto sono stati cattivi e assetati di sangue i bolscevichi!  La rivoluzione del 1905 e la sua spietata repressione? Ops, un vuoto di memoria... La guerra civile post-Ottobre 1917, con gli eserciti delle borghesie euro-americane alleati nel tentativo di strangolare il neonato potere comunista? Ops, un altro vuoto di memoria... L’accerchiamento che durò tre anni e volle dire fame e distruzione? Ops, di nuovo la memoria fa cilecca... E la violenza spietata esercitata contro il movimento operaio e comunista occidentale per impedirgli di congiungersi con il potere comunista russo? Be’, si sa, d’estate le cellule grigie sono in vacanza... E via di seguito: povero Mieli, che disastro!

Ma passiamo all’altra chicca, questa volta a firma di Franco Venturini. Il quale, prendendo lo spunto dagli incendi che in quest’estate hanno messo in ginocchio l’agricoltura russa, si prova a raccontare... un secolo di grano fra Lenin e Stalin (idem come sopra!), arrivando fino ai giorni nostri: tutto fa brodo, naturalmente, pur di fare dell’anticomunismo spicciolo e banale. Noi ci guardiamo bene dallo sprecare una riga per contrapporgli un’altra “storia dell’agricoltura russa” (anche perché l’abbiamo già fatto, con ben altra profondità e serietà, in molti nostri testi di partito: uno fra tutti, la Struttura economica e sociale della Russia d’oggi). Limitiamoci invece a due piccole dimostrazioni della miscela di ignoranza e malafede che guida questi gazzettieri. Il Venturini dunque ci erudisce il pupo, come si usava dire una volta: cioè, ci spiega in pillole. Ora, chi spiega in pillole presuppone  un pubblico che se ne stia lì, a bocca aperta, a metà strada fra il pesce nell’acquario e il credente in attesa dell’ostia – un  pubblico, insomma, di boccaloni. Infatti, ci dice per esempio che “Lenin, impegnato a combattere i ‘bianchi’ e ad affermare il suo ‘comunismo di guerra’, decise la confisca sistematica delle produzioni di grano”... Avete udito bene: Lenin, che – si sa – oltre a esser feroce era anche egocentrico, afferma il “suo” “comunismo di guerra” – come dire, una sua fissa, una delirante ossessione notturna... Di nuovo, l’accerchiamento degli eserciti borghesi, il conseguente affamamento della popolazione, la carestia prodotta da anni di guerra prima e di guerra civile poi, tutto ciò scompare; resta solo il “suo” “comunismo di guerra” (che Lenin ebbe più volte a dire non era altro che una serie di misure eccezionali che qualunque Stato in quelle condizioni avrebbe preso). Ma andiamo avanti di poche righe (le sciocchezze s’attirano magneticamente, per fortuna!), ed ecco l’altra perla: “nel 1921 la rivolta di Kronstadt, promossa da marinai in gran parte ex contadini, convinse il capo bolscevico che bisognava cambiare rotta. Nacque così la Nep... ecc. ecc.”. Dunque, la storia in pillola ci dice che la Nep fu la risposta empirica a Kronstadt! Non un passaggio obbligato (e previsto in anticipo) per un’Unione Sovietica uscita dalla guerra civile e dall’accerchiamento, che non poteva certo fare il salto verso il socialismo in assenza di una rivoluzione proletaria nell’Europa occidentale (snodo anch’esso previsto in anticipo) e doveva dunque sviluppare al proprio interno rapporti economici squisitamente capitalistici e possibilmente di capitalismo di stato, per porre le basi (le fondamenta) del socialismo, quando infine la rivoluzione proletaria in Occidente (che in quegli anni – e purtroppo solo in quelli – l’Internazionale Comunista stava attivamente promuovendo) l’avesse permesso! Tutto ciò al povero Venturini sfugge, e di conseguenza sfugge anche ai suoi ignari lettori. Così si erudisce il pupo!

L’estate viene e se ne va, la chiacchiera in libertà resta: ma ci sono pur sempre i cassonetti dell’immondizia, per l’ideologia di bassa lega che questi signorini buttano in giro.

                                                                             Il programma comunista, n°5, 2010

 

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