DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

I nostri nemici di classe hanno parlato chiaro. Si chiamino Tremonti, Marchionne o Marcegaglia, piuttosto che Sarkozy, Merkel od Obama, il precipitare della crisi economica gli ha strappato i peli dalla lingua: il capitale ha bisogno di una manodopera serva, ubbidiente, passiva, flessibile, che sgobbi più di prima in silenzio e non pretenda nulla in cambio, se non la pura (disgraziata e precaria) sopravvivenza.

E’ il loro grido di guerra. Noi comunisti non ci stupiamo, non frigniamo sulle “promesse non mantenute”, sui “diritti calpestati”. Sappiamo, da un secolo e mezzo, che il proletariato, sotto il tallone di ferro del capitale, nei suoi lager quotidiani, non ha e non potrà mai avere diritti. Potrà solo strappare piccoli e momentanei miglioramenti, qualche briciola, qualche illusoria attenuazione dell’infame regime in cui vive: ma lo potrà solo fare con la forza, senza mai illudersi che ciò possa trasformarsi in un “diritto” cui la “società” dovrebbe inchinarsi. Questa è la fuffa e la paccottiglia con cui l’ideologia borghese, frusta e vecchia di più di due secoli, ha sempre giustificato il tremendo, continuo bagno di sangue del proprio dominio. Non c’è nulla di nuovo nei miserabili balbettii di padroni, governanti e sindacati (questi ultimi sempre pronti a offrire su un piatto d’argento la pelle dei proletari perché il capitale la conci al meglio): c’è solo il vecchio grugnito della classe dominante, c’è la vecchia ferrea legge del capitale che cerca di reagire alla propria crisi storica, alla propria condanna mortale racchiusa nella caduta tendenziale del saggio medio di profitto. Per continuare a produrre per il profitto e dunque per autovalorizzarsi, il capitale deve necessariamente aumentare il capitale costante (macchine, materie prime, innovazione tecnologica) e comprimere il capitale variabile (salari, lavoro vivo): deve cioè accrescere senza sosta la produttività, diminuendo la manodopera e allungando la parte della giornata lavorativa in cui il proletario lavora non per sé ma esclusivamente per il capitale. Così facendo, però, sul lungo periodo, il saggio medio di profitto cala – come è calato per l’appunto da un secolo a questa parte, tendenzialmente e incessantemente, dimostrando nei fatti (oltre che nella sofferenza di tre quarti dell’umanità) la caducità del modo di produzione capitalistico, il suo essere a termine: avendo compiuto ormai da un secolo e mezzo il proprio ciclo vitale, esso – come i modi di produzione precedenti, storicamente necessari, ma oltre un certo limite, distruttivi e autodistruttivi – va buttato nella spazzatura della preistoria dell’umanità.

Noi comunisti non ci stupiamo né ci lamentiamo del gioco sporco: i capitalisti, lo Stato che li rappresenta e li difende, fanno il loro lavoro – ballano il ballo del capitale. E’ ora che il proletariato mondiale gli rovini la festa: che irrompa nella sala da ballo e butti all’aria tavoli e orchestra. Lo potrà fare solo se saprà tenersi lontano dalle fregature dei discorsi sui “diritti”, sugli “interessi comuni di capitale e lavoro”, della “compatibilità” e della “concertazione”, solo se saprà riconoscere e affermare con forza che no!, gli interessi del capitale e del lavoro non coincidono, come non coincidono quelli dei proletari e dell’economia nazionale. Lo potrà fare solo se tornerà a lottare (lottare: non farsi del male, non digiunare o issarsi su tetti e ciminiere, non belare davanti a sindaci o capi di stato, non andare a chiamare... avvocati e forze dell’ordine, non scrivere lettere a media o autorità) fregandosene altamente degli interessi del capitale e della nazione, ma difendendo le proprie condizioni di vita e di lavoro, organizzandosi in maniera estesa ed autonoma da Stato, istituzioni, sindacati e sindacatini corporativo-fascisti, rifiutando divisioni al proprio interno (fra uomini e donne, giovani e vecchi, indigeni e immigrati, al lavoro e precari, disoccupati e pensionati, ecc.), e soprattutto colpendo duro il capitale dove più gli fa male – nella produzione, nella distribuzione, nei servizi. Lotta dura e difficile, dopo tanti decenni di prostrazione e di sconfitta: ma necessaria e non sostituibile con scorciatoie di nessun tipo.

Soprattutto, una lotta che nel corso delle fasi successive, delle quotidiane battaglie, dovrà comprendere l’altra irrinunciabile necessità: non è sufficiente difendersi – bisogna attaccare; non è sufficiente strappare con la forza qualche miglioramento (o rispondere con la forza agli attacchi brutali che ci vengono portati) – bisogna andare oltre, verso la consapevolezza (teorica e pratica) che questo modo di produzione va abbattuto. E dunque bisogna attrezzarsi per questo abbattimento: organizzando e centralizzando le proprie lotte, e soprattutto maturando la coscienza politica necessaria a compiere quel salto. Ciò vuol dire andare oltre lotte puramente rivendicative e imboccare la strada della lotta politica rivoluzionaria – che si può fare solo (decenni e decenni di solitudine politica l’hanno dimostrato a sufficienza) sotto la guida del partito comunista internazionale. Le cocenti sconfitte subite nel corso di più di ottant’anni dal proletariato mondiale hanno provato che, per quanto generose, per quanto violente e acute, le battaglie di volta in volta intraprese in assenza di quest’organo direttivo sono vane, destinate alla sconfitta e – peggio – alla successiva demoralizzazione. Solo con l’aiuto di un partito che si appoggi su tutto il proprio passato storico, che preveda teoricamente le vie dello sviluppo e tutte le sue tappe, e ne concluda quale forma di azione nel momento dato sia giusta e necessaria, solo con l’aiuto di un simile partito il proletariato si libera dalla necessità di ripercorrere sempre da capo la propria storia, con le sue esitazioni, le sue incertezze, i suoi errori.

Torni a divampare il conflitto di classe! Torni a farsi sentire l’esigenza del partito rivoluzionario!

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2010)

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