DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Le tragicomiche piazzate che animano il parlamento americano (tra urla isteriche e accuse incrociate, tipiche del cretinismo parlamentare di ogni latitudine), le scene di esultanza da finale di baseball, i discorsi-fiume generosamente elargiti nei templi della vuota parola, fanno da contorno al prosaico balletto di interessi che si snoda attorno al tentativo di riforma della sanità americana – riforma già esaltata, e ben prima della sua approvazione, con i più altisonanti termini (“epocale”!) dalle sirene della propaganda borghese che prepara il terreno per rivendersi il presunto “miracolo Obama”. Tutto ciò non può scomporci: sappiamo bene che si tratta semplicemente di un tentativo di ridurre le misere briciole che vengono elargite al proletariato allo scopo di perpetuarne la sottomissione nella miseria.

Il business della sanità negli Stati Uniti [1] è certamente più sviluppato che in qualsiasi altro paese. Esso assorbe il 17% del PIL – che si traduce nella spesa annua pro-capite più elevata al mondo, con oltre 7000 dollari – e dispone di circa 3300 lobbysti, in rappresentanza di circa 1500 tra aziende e organizzazioni, che “lavorano” sulla riforma, marcando stretto i 535 membri del Congresso e del Senato. L’offerta sanitaria varia dalle prestazioni di altissimo livello, appannaggio dei più abbienti, in centri specialistici rinomati sul piano internazionale e mete privilegiate del triste fenomeno del “turismo medico”, fino ai servizi di bassa qualità per la massa della popolazione. Che nessuno si illuda: è proprio quest’ultimo il segmento di mercato destinato a essere ampliato dai progetti di riforma, con il ricorso alle prestazioni di basso livello non solo per gli eventuali nuovi assistiti, ma sempre più anche per quelli vecchi.

Il servizio sanitario americano si basa, come è noto, su strutture e prestazioni a pagamento, con la mediazione di un sistema di polizze assicurative, offerte gratuitamente dal governo agli ultrasessantacinquenni e ad una parte dei proletari più poveri (programmi Medicare e Medicaid, più i diversi programmi dei singoli Stati, per una copertura complessiva di circa il 27% della popolazione), o altrimenti stipulate a carico totale o parziale delle aziende, come forma di retribuzione dei lavoratori (la maggior parte degli assicurati appartiene a questa categoria), oppure ancora acquistate a titolo individuale. Con questo sistema, l’assistenza sanitaria copre l’85% della popolazione, mentre la quota restante ne è esclusa. Un ulteriore 7% della popolazione è comunque “sottoassicurato”: cioè non è in grado di pagare la differenza tra il costo delle cure di cui necessiterebbe e ciò che viene effettivamente rimborsato in base alla polizza assicurativa stipulata. Secondo alcuni studi, il numero di non assicurati e sottoassicurati sarebbe largamente sottostimato. Circa i due terzi dei non assicurati sono lavoratori a basso reddito di aziende che non si fanno carico delle polizze, mentre i restanti sono per lo più disoccupati e nullatenenti.

Negli USA, i decessi dovuti alla copertura sanitaria assente o insufficiente sono, a seconda degli studi, tra i diciottomila e i centomila l’anno, mentre la perdita economica ascrivibile alla mancanza di una copertura universale oscillerebbe tra i 65 e i 130 miliardi di dollari di cosiddetti “costi sociali”. Questa valutazione dei costi è sicuramente eccessiva e fuorviante riguardo alla vera natura dei rapporti sociali nel capitalismo, perché, da un punto di vista economico, vista l’ampia disponibilità di forza-lavoro di riserva, un poveraccio che crepa senza assistenza medica difficilmente rappresenta un onere; si può al limite individuare una perdita per i padroni nel progressivo deterioramento dello stato di salute di parte dei lavoratori occupati. Gli unici “costi sociali” che possano essere presi in considerazione dai padroni e dal loro Stato sono quelli che vanno ad incidere direttamente sui profitti.

Il tentativo di riforma sanitaria è avversato soprattutto dalla lobby della cosiddetta ”industria della salute”, che comprende anche le industrie farmaceutiche, e dalle compagnie assicurative, che dovrebbero subire, specie a partire dal 2014, delle limitazioni che ne ridurranno gli enormi profitti. Ciò che le lobby coinvolte temono di più è il massiccio intervento del governo, che regolerebbe il mercato e sarebbe in grado di imporre i prezzi, in quanto acquirente dominante (dominant purchaser).

Negli ultimi decenni, la spesa sanitaria è lievitata in tutti i paesi a più vecchio capitalismo: tra i vari fattori che hanno determinato questo trend, spiccano l’aumento dell’età media della popolazione, l’esborso complessivo per i farmaci e i costi dovuti all’incremento della massa di macchinari diagnostici, terapeutici ed ausiliari, un aumento per certi versi analogo a quello della composizione organica del capitale nell’industria, ma che non può, data la natura del servizio offerto in ambito sanitario, portare ad innalzamenti della produttività del lavoro paragonabili a quelli che si riscontrano nella produzione industriale [2]. In più, soprattutto per quanto riguarda gli USA, bisogna tener conto del fatto che le compagnie di assicurazioni incamerano una buona fetta della spesa sanitaria, diminuendo ulteriormente l’efficienza del servizio (o, meglio, aumentandone l’inefficienza). In tutti i paesi sviluppati sarà quindi sempre più necessario, dato il contesto economico, contenere i costi del sistema sanitario a carico dello Stato, sia abbassando il livello qualitativo dell’assistenza, sia aumentando il ricorso al pagamento da parte degli utenti.

La riforma sanitaria ha proprio lo scopo di ridurre i costi del welfare in America: nel 2009, nonostante le ingenti uscite per il salvataggio del credito e gli “stimoli” all’economia, i soli programmi sanitari Medicare e Medicaid hanno assorbito circa il 20% del budget federale (676 miliardi di dollari), così come la cosiddetta social security (pensioni, sussidi di disoccupazione e quant’altro, per un totale di 678 miliardi), mentre la difesa, con ben due fronti aperti (Iraq e Afghanistan), ha assorbito “solo” il 23% della spesa (782 miliardi). Se alle uscite per i programmi Medicare e Medicaid si aggiungono la spesa sanitaria “nascosta” in altre voci del bilancio federale e quella a carico dei singoli Stati, l’esborso complessivo raggiunge l’8% del PIL, laddove il gettito fiscale federale si aggira attorno al 18% del PIL e quello complessivo, con le tasse statali e locali, supera di poco il 25%: la spesa per la sanità consuma cioè quasi un terzo delle entrate fiscali complessive. Con la terza spesa pubblica pro-capite più alta al mondo (oltre 3000 dollari, dietro soltanto a Norvegia e Lussemburgo), il quadro d’insieme della sanità americana è assai mediocre: decine di milioni di persone sono escluse dall’assistenza, l’aspettativa media di vita è di circa 78 anni (38° posto nel mondo) e la mortalità infantile è di 6,7 per mille nati vivi (contro, ad esempio, i 3,8 della Germania, i 2,6 del Giappone, i 2,5 della Svezia). L’OMS ha giudicato il sistema sanitario americano al 37° posto nel mondo come qualità complessiva e al 72° se si considera il livello generale di salute della popolazione. La sanità americana, insomma, è altamente inefficiente e, secondo i parametri del capitalismo, estremamente dispendiosa. Che sia veicolata o meno dalla faccia di Obama, la riforma rimane, nel lungo periodo, un’esigenza inderogabile dell’apparato economico degli Stati Uniti.

Se oggi la spesa per i programmi Medicare e Medicaid, più la social security, pesa sulle casse federali per l’8,7% del PIL, secondo le proiezioni la percentuale dovrebbe raggiungere l’11% nel 2020 e il 18,1% nel 2050. Si arriverebbe quindi, nel tempo, alla paradossale, e quanto mai irrealistica, situazione di utilizzare l’intero ammontare delle entrate federali solo per una parte del welfare, a meno di un drammatico aumento delle tasse, che sarebbe uno shock per l’apparato produttivo statunitense, e/o di una drastica riduzione dei costi del welfare stesso. Va da sé che oggi i rovesci economici, domani il progressivo, inevitabile scivolamento verso la militarizzazione dell’economia, impongono ed imporranno di ridurre l’incidenza della cosiddetta “spesa sociale” a vantaggio di ben altre voci di bilancio. È questo il principale motivo che spinge il governo USA a portare una serie di affondi che dovrebbero essere decisivi per le sorti della riforma e dovrebbero permettere, secondo le aspettative dello staff presidenziale, di imporre i prezzi ai fornitori, ottimizzare la spesa e controllare i costi complessivi.

Un sistema di assistenza centralizzato e a basso costo consente, tra l’altro, di ridurre i salari, i quali, essendo il prezzo non del lavoro, ma della forza-lavoro, dovrebbero altrimenti, almeno in linea generale e come accade proprio negli Stati Uniti, incorporare i costi di forme assistenziali più dispendiose.

In ogni caso, non sarà toccato l’impianto privato della sanità americana, che rispetto ai sistemi statalizzati permette ai capitali di circolare più liberamente sul mercato: in tal modo, questi si trovano ad un più elevato grado di socializzazione, in linea con la tendenza storica del capitale.

Se il progetto di riforma perorato da Obama dovesse essere approvato, vi saranno, secondo l’ipotesi più rosea, 32 milioni di assistiti in più entro il 2019, mentre per quella data 23 milioni di persone rimarranno comunque senza assistenza. Saranno infatti esclusi, oltre alla vera e propria carne da macello, cioè i numerosissimi immigrati clandestini, anche le famiglie che, nonostante i sussidi offerti, non potranno comunque permettersi di pagare la parte restante della polizza assicurativa e troveranno più conveniente sobbarcarsi la multa prevista per chi non si assicura.

La riforma servirà anche a tamponare taluni effetti di lungo periodo della crisi economica: senza modifiche all’attuale sistema, le persone prive di assistenza sarebbero destinate ad aumentare vertiginosamente, perché durante i periodi di recessione le aziende tendono a ridurre i salari, scaricando i costi delle assicurazioni sanitarie sui dipendenti, i quali, specie se a basso reddito, spesso non sono in grado di permettersele. Inoltre, da uno studio del 2001 citato da CBS News, il “debito medico” (medical debt) risultava corresponsabile nel 62% dei casi di bancarotta individuale, contro l’8% del 1981. Si tratta quindi di disinnescare una vera e propria bomba sociale ad orologeria i cui effetti a medio termine, oltre al crescente malcontento fra i lavoratori e la piccola borghesia in fase di proletarizzazione, sono legati alla drastica diminuzione, con l’avanzare della crisi, della percentuale di soggetti in grado di pagare le polizze sanitarie – tendenza che potrebbe mettere, in prospettiva, in seria difficoltà le compagnie assicurative.

Siamo quindi di fronte ad aspetti direttamente riconducibili all’interventismo statale finalizzato ad aiutare l’imprenditoria privata, del tutto in linea con la tendenza storica del capitalismo (mistificata dai deliri liberistici) a una crescente centralizzazione dell’economia. Le compagnie assicurative, se da una parte dovranno sottostare a delle limitazioni, dall’altra avranno la garanzia di ingenti commesse pubbliche.

C’è da osservare che l’amministrazione statunitense ha dato prova, ancora una volta, di una consumata abilità mistificatrice nel presentare un tentativo di ridurre la spesa sociale, una limitata estensione dell’assistenza sanitaria e un sostegno al sistema delle assicurazioni di fronte ai futuri rovesci economici, come una misura a favore degli strati sociali più disagiati. Per altro, il contenuto di classe del sistema di assistenza sanitaria è chiarissimo: esso fa parte a pieno titolo dell’apparato di controllo e oppressione del proletariato, insieme, ad esempio, agli ammortizzatori sociali della social security.

Con la riforma del sistema sanitario, la borghesia americana, nel tentare di ridurre le spese e di evitare il collasso del sistema di fronte alla crisi, investirebbe così nella propaganda finalizzata a ripulire l’osceno e impresentabile vessillo della democrazia imperialista, che gli USA da sempre sventolano e che immancabilmente sventoleranno nelle future guerre di rapina. Nel circo Barnum allestito intorno alla riforma della sanità americana, c’è il tentativo di rafforzare e blindare ulteriormente la democrazia USA, strumento di feroce dominio dei capitalisti sui proletari, cercando di puntellare i pochi spezzoni di welfare state che la borghesia può ancora permettersi, sottraendogli però, nel contempo e paradossalmente, risorse: è dietro queste assurdità che si celano la demenza del modo di produzione capitalistico e la sconfitta storica della classe borghese. Anzi, la presunta uguaglianza dei cittadini nell’accesso alle cure mediche è specchio dell’essenza dell’ideologia democratica, che si basa sulla falsa promessa dell’uguaglianza di tutti gli uomini.

La democrazia borghese, mentre afferma genericamente che tutti gli uomini sono uguali, proclama l’uguaglianza formale o giuridica del proprietario e del proletario, dello sfruttatore e dello sfruttato, e inganna così nel peggiore dei modi le classi oppresse. L’idea di uguaglianza, che è essa stessa un riflesso dei rapporti della produzione mercantile, viene trasformata dalla borghesia in un’arma di lotta contro l’abolizione delle classi, col pretesto di una presunta uguaglianza assoluta delle persone umane.” [3] Con l’ulteriore postilla che, con la riforma a pieno regime, ci saranno ancora almeno oltre 20 milioni di proletari che saranno meno uguali degli altri, anche all’interno dell’ipocrisia della falsa uguaglianza. Noi affermiamo, con Lenin, che “il reale significato della rivendicazione dell’uguaglianza consiste soltanto nell’istanza dell’abolizione delle classi.[4]




[1]  I dati utilizzati per quest’articolo sono tratti da vari organi di stampa americani, oltre che da materiali dell’Ufficio del censimento statunitense e di altri organismi.

[2] Analogamente a quanto avviene alla spesa per gli armamenti, incapace di sostenersi senza le esose commesse statali, l’acquisto di strumenti estremamente costosi ha finora imposto, in parte anche negli USA, l’intervento dello Stato, il quale, in questo modo, è andato incontro alla necessità di valorizzare i capitali investiti nella ricerca. Ma la spesa sanitaria può essere tagliata più facilmente di quella militare, essendo meno “strategica” per il capitale; quindi, in futuro, la borghesia tenterà di quadrare il cerchio risparmiando sui costi del servizio, e l’accumularsi del capitale investito nella strumentazione probabilmente rallenterà, almeno nel settore pubblico.

[3] Lenin, “Tesi per il Secondo Congresso dell’Internazionale Comunista”, Opere complete, Editori Riuniti 1967, vol. 31, p. 159-160.

[4] Lenin, cit.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2010)

 

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