DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

In una nota alla terza edizione del Libro Primo del Capitale, a proposito della tendenza dei capitalisti a comprimere il più possibile i salari, Marx riporta l’affermazione di un deputato inglese comparsa sul “Times” del 3/9/1873: “Se la Cina diventasse un grande paese industriale, non vedo come la popolazione operaia europea potrebbe sostenere la lotta senza precipitare al livello dei suoi concorrenti”. Commenta Marx: “Salari non più continentali, ma cinesi; ecco, oggi, la mèta alla quale il capitale inglese sogna di pervenire” [1].

Chi ha orecchie per intendere...

Intanto, i giornali ci fanno sapere, con grande rilievo e insistenza (Il Sole-24 ore, 29/5; La Repubblica, 1/6; Le Monde, 1/6), che la Honda in Cina ha dovuto sospendere la produzione per uno sciopero spontaneo in una delle sue fabbriche di componentistica, a Foshan, nel Guandong – 1.800 operai che rivendicano forti aumenti salariali (si badi bene: operai che, in quanto impiegati da multinazionali straniere, “godono” già di un regime salariale “privilegiato” rispetto a quello degli operai di fabbriche cinesi). Insomma, cresce il malcontento operaio in quell’area della Cina meridionale che “per trent’anni è stato il motore della formidabile crescita economica cinese” – un malcontento che rappresenta “la punta dell’iceberg di un malessere sociale di dimensioni assai più vaste”, se si pensa che le imprese locali, “soprattutto se di piccole e medie dimensioni, spesso sono dei sordidi opifici, dove la gente lavora per quattro soldi a ritmi estenuanti senza il rispetto delle minime norme di sicurezza”, e che “la manodopera a basso costo resta il principale, se non l’unico, fattore di competitività delle manifatture made in China” (Il Sole-24 ore, 29/5).

Di nuovo, chi ha orecchie per intendere...

 

PS: Giungono intanto notizie di scioperi anche in altre regioni della Cina (si parla di una quindicina nel solo mese di maggio). Per esempio a Pindingshan, nello Henan, dove i cinquemila lavoratori e lavoratrici di una industria tessile cotoniera sono scesi in sciopero intorno a metà maggio, chiedendo fra l’altro aumenti salariali, pensioni più alte per i lavoratori anziani e invalidi, ferie più lunghe dei 15 giorni annui, ritmi di lavoro meno intensi e un allentamento del regime “carcerario” di fabbrica. Qualcosa come tremila poliziotti hanno circondato la fabbrica, scontrandosi ripetutamente con gli scioperanti e arrestando venti lavoratrici. In seguito, il lavoro nella fabbrica è parzialmente ripreso, ma molti operai e operaie continuano lo sciopero.


 

(1) K. Marx, Il capitale, Libro Primo (Cap.XXII: “Trasformazione del plusvalore in capitale”), UTET, pp.767-768.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2010)

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