DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

I comunisti lottano per raggiungere gli scopi e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l’avvenire del movimento stesso.

Marx-Engels, Manifesto del partito comunista (1848)

I nostri volantini di agitazione e i nostri interventi nelle assemblee operaie sottolineano sempre la necessità di battersi per alcune rivendicazioni specifiche: forti aumenti salariali per tutti, maggiori per le categorie peggio pagate; salario pieno ai licenziati, disoccupati, immigrati, precari; drastica riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; aumento generalizzato delle pensioni... Si tratta di rivendicazioni che vanno incontro a quelle che sono le necessità elementari di difesa della nostra classe, occupati e non occupati. Esse sono “immediate” perché riguardano i tratti essenziali delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato nella società capitalista in ogni luogo e in ogni contingenza e la necessità di uscirne. Le rivendicazioni sono caratterizzate da una indiscutibile apertura verso la lotta di classe: hanno respiro politico-sociale, in quanto prospettano una possibile crescita, un’aggregazione numerica e un’organizzazione di lotta. In questo senso, Marx parla di scopi e interessi “immediati”, in stretto legame dialettico con l’avvenire del movimento stesso. La risposta proletaria sottostante a queste rivendicazioni scaturisce invece per lo più da bisogni più elementari, spontanei (senza alcuna direzione privilegiata), spesso volti a interessi e scopi non puramente proletari. Ne consegue che le rivendicazioni di cui parliamo sono “mediate” dalla consapevolezza e dall’esperienza da parte dei comunisti del cammino che la classe ha compiuto e dovrà compiere.

Questo sviluppo e questa articolazione delle rivendicazioni possono rappresentare il primo gradino nella faticosa ripresa della lotta di classe e sono orientati a rispondere a bisogni vitali: l’attacco antiproletario che da decenni viene condotto dal capitale (e che s’è andato intensificando negli ultimi tempi, di pari passo con l’approfondirsi della crisi) indebolisce, stordisce, violenta i nostri fratelli di classe prima di tutto nella loro realtà quotidiana (gli affitti, le bollette, il cibo, le tariffe dei mezzi di trasporto, ecc. – in una parola, la vera e propria sopravvivenza), mettendoli gli uni contro gli altri, scaricandoli in mezzo a una strada, facendoli cadere nelle grinfie di speculatori e profittatori di ogni tipo (legale e illegale), facendoli sentire del tutto impotenti e alimentando una disperazione che ha le più diverse facce, nutrendoli nel presente di soluzioni illusorie che hanno l’effetto di paralizzare le loro forze, tenendoli soggiogati.

Per questo noi rivendichiamo “forti aumenti salariali per tutti, maggiori per le categorie peggio pagate”: perché si tratta di una necessità evidente di sopravvivenza per strati enormi di lavoratori ancora dentro il processo produttivo. Rivendichiamo poi il “salario pieno ai licenziati, disoccupati, immigrati, precari”, perché l’inesorabile aumento della disoccupazione non solo getta sul lastrico lavoratori e intere famiglie, ma li separa ancor più dai propri compagni di lavoro e di lotta. Per questo rivendichiamo anche la “drastica riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario”: perché la pena del lavoro (delle ore di sfruttamento, degli straordinari per far fronte alle mille necessità, dei turni massacranti che sconvolgono la vita) grava come un macigno sui lavoratori, strappando loro ogni briciola di tempo da dedicare a qualcosa di diverso rispetto all’incessante “estrazione di pluslavoro”, fiaccandoli e abbrutendoli nella resistenza fisica e mentale, impedendo qualunque normalità e armonia di vita, esasperando le tensioni interpersonali e familiari, distogliendoli dalla lotta. E rivendichiamo un “aumento generalizzato delle pensioni”, perché i lavoratori “usurati”, espulsi dal processo produttivo, vittime di incidenti sul lavoro, anziani, non diventino altrettanti ferrivecchi da gettare nella discarica, spesso dopo aver inevitabilmente pesato su famiglie già ridotte al lumicino.

Queste rivendicazioni, apparentemente così semplici, sono le sole che possono, materialmente, rimettere in moto una difesa economica efficace e quindi classista. Sono le sole capaci di insegnarci che anche solo per difenderci dobbiamo darci dei contenuti e delle strutture stabili e indipendenti dai nostri nemici. Non rivendicare queste minime necessità, non reintrodurre nella classe proletaria il senso di dover tornare a lottare per esse, significherebbe non comprendere materialmente il percorso della ripresa della lotta di classe.

Eppure, nelle condizioni attuali di solitudine della classe operaia la loro anche minima attuazione nel corso della lotta indicherebbe un’inversione di tendenza nella direzione di marcia. Ovviamente, nel propagandarle ci rendiamo conto che si tratta oggi di vere e proprie rotture nella prassi di difesa delle condizioni di vita e di lavoro, avendo chiaro peraltro che le lotte tradunioniste nel presente (imposte dalle direzioni sindacali, veri organi di controllo al servizio della borghesia) non vanno verso la direzione di classe: il che non ci deve portare comunque alla loro sottovalutazione, ma al contrario alla necessità di un loro indirizzamento, partendo dalla loro stessa base inefficace, impropria e aclassista.

Giunti a un livello di guardia oltre il quale sarebbe impossibile sopravvivere,  pressati dalle esigenze del capitale, i proletari, deviati verso obiettivi localisti, legalitari, nazionalisti, saranno costretti a battersi per difendersi: decenni di controrivoluzione hanno distrutto in essi anche solo il ricordo dei propri obiettivi immediati e la prassi e le modalità della lotta per essi – obiettivi, prassi e modalità che solo il partito rivoluzionario può difendere e reintrodurre nel proletariato.

Chiariamo. Rivendichiamo aumenti di salario, maggiori per le categorie peggio pagate, non perché ci illudiamo (come fanno in molti, ottenebrati da una campagna martellante di sociologi ed economisti “riformatori”) che “maggior salario” voglia dire “maggior consumo”, e “maggior consumo” voglia dire a sua volta “uscita dalla crisi” (la crisi è di sovrapproduzione, e non di sottoconsumo!); e non per un’illusoria re-distribuzione (altra imbecille baggianata di “riformatori” nati vecchi!), ma per far fronte a pure esigenze drammatiche di sopravvivenza, e al contempo colpire il capitale nei suoi profitti. E rivendichiamo salario pieno ai licenziati, disoccupati, precari, immigrati, non per ottenere il cosiddetto “reddito di cittadinanza” (richiesta tipica delle mezze classi sempre pronte a piagnucolare davanti allo Stato), ma ber abbattere, anche su questo terreno, ogni steccato e ogni divisione fra occupati e non, fra categorie, fra strati diversi del proletariato. E lo stesso vale per i forti aumenti delle pensioni.

Chiariamo ancora. Quando rivendichiamo la drastica riduzione dell’orario, non lo facciamo perché ci illudiamo che così si possa riassorbire la disoccupazione: il cosiddetto esercito industriale di riserva – ci ha bene insegnato Marx – è una caratteristica costante, strutturale, del modo di produzione capitalistico. Al tempo stesso, come è nella tradizione del movimento comunista, la rivendicazione della drastica riduzione d’orario a parità di salario è vitale per i proletari proprio per rallentare, attenuare, contrastare lo sfruttamento selvaggio, ricostruire anche in minima parte le proprie energie psico-fisiche, poterle dedicare anche ad altro che non sia il lavoro per il capitale (e dunque anche, certo, alla preparazione rivoluzionaria).

Ma questo è solo parte del discorso. Se ci limitassimo a questo, faremmo in fondo solo dell’economicismo. Se intese e lanciate correttamente, le nostre rivendicazioni di classe (e i metodi di lotta da mettere in campo per conquistarle, fra cui scioperi estesi e decisi, indifferenti a tutta la legislazione in merito, nella consapevolezza che non di “diritto” o di “legge” si tratta, ma di rapporti di forza, e che il rapporto di forza vincente per il proletariato significa necessariamente uno scontro con la società borghese) le nostre rivendicazioni si proiettano ben oltre i limiti di questo modo di produzione. Noi non illudiamo i proletari che eventuali vittorie su questo terreno (pur sempre immediato e necessario) si traducano necessariamente in conquiste durature, perché ciò è impossibile. Al contrario: noi diciamo apertamente ai proletari in lotta che ogni vittoria non è solo parziale e precaria, ma anche effimera, destinata presto a essere riassorbita, smantellata, cancellata. Al tempo stesso, tornare a battersi per difendere la propria esistenza è la pre-condizione per una lotta che si apra ad altri orizzonti necessari. Nella lotta, i proletari comprenderanno che questo modo di produzione è loro nemico, e loro nemico è lo Stato che lo rappresenta e lo difende; e le loro avanguardie più combattive e generose comprenderanno anche (grazie all’intervento direttivo e organizzativo del partito rivoluzionario) che è necessario farla finita una volta per tutte con l’uno e con l’altro, combattendo infine per un modo di produzione ben superiore all’infamia generalizzata che è il capitalismo.

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2010)

 

Lotta per le rivendicazioni immediate-intervento direttivo e organizzativo del partito-preparazione rivoluzionaria per la presa del potere e l’instaurazione della dittatura proletaria: non si tratta di fasi o di gradini successivi, ma di un necessario intreccio dialettico di prospettive che si sviluppa nelle lotte stesse. Non comprendere ciò e limitarsi alla sola propaganda dell’una o dell’altra delle due polarità presa isolatamente significa solo condannare i proletari alla sconfitta, sia a quella immediata sia a quella storica.

 

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