DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Nei giorni 7-8 dicembre, nell’anniversario dell’uccisione da parte della polizia del giovane Alexandros Grigoropoulos, sono ripresi gli scontri nelle strade di Atene e di altre città greche. Contemporaneamente, nelle sedi istituzionali europee, si scatenava un putiferio di dichiarazioni per la gravissima situazione economico-finanziaria greca. Nei diversi episodi di guerriglia urbana, i giovani, in buona parte disoccupati e precari, lavoratori della scuola e dei servizi, isolati o al seguito di aggregazioni di sinistra e anarchiche, hanno affrontato diecimila poliziotti schierati in tenuta di sommossa. La legittimità, conquistata dal Movimento socialista panellenico (Pasok) nelle elezioni di ottobre (anticipate di due anni rispetto alla scadenza naturale della legislatura per il crollo del partito di destra Nuova democrazia), aveva bisogno di una dimostrazione di forza, e così è stato: il Ministero dell’ordine pubblico, ribattezzato “Ministero della sicurezza dei cittadini”, ha aggredito i giovani, respingendo sassaiole e molotov, in perfetta intesa con le dure raccomandazioni della BCE (Banca centrale europea). Il recupero sociale risulta evidente dal plauso dei media, inneggianti al fatto che si erano evitate contemporaneamente la degenerazione dei moti e la solidarietà della popolazione avutasi un anno fa. La parola d’ordine “tolleranza zero”, con un numero di arresti (120) e fermi (540) registrati in tutta la Grecia, sembra avere dato i suoi frutti: lo dimostrano l’uso di telecamere termiche anche dagli elicotteri militari che hanno sorvolato Atene e la presa delle impronte digitali di tutti i manifestanti fermati, per creare un archivio da confrontare con quelle “senza nome” dei responsabili degli attacchi degli ultimi mesi ai commissariati di polizia e ad altre istituzioni. Per l’appunto, “democrazia blindata”, sempre più blindata...

Calmate le acque riemerge in piena luce il problema reale: lo spettro della crisi economica e la realtà dei salari da fame, insieme all’illusione che il governo socialista possa riuscire là dove quello di destra ha fallito. I proletari greci dovranno dunque tornare alla lotta di classe, dopo la breve, inefficace e inconcludente rivolta giovanile: l’ultimatum della BCE e del Pasok è, infatti, rivolto a loro, perché pieghino la testa mentre gli s’infila il cappio al collo. Subito, il vecchio leader Papandreou ha dichiarato che “la crisi finanziaria minaccia la nostra sovranità nazionale”; occorrono dunque drastiche misure economiche “nella legge e nell’ordine”. Pertanto, anche il proletariato ellenico dovrà tornare alla memoria di classe (l’esperienza di lotta e la tradizione del proletariato mondiale, incarnata nel partito rivoluzionario), per fondare su di essa la propria forza e usarla infine contro la legge e l’ordine borghese.

La situazione economica e sociale

L'economia greca, la più debole della Zona Euro, affronta dunque la nuova recessione dopo quella del 1993, mentre il suo debito nazionale prende il volo. Al legittimo governo democratico di Papandreou si chiede di affrontare politicamente ciò che dal punto di vista economico non può fare. E la prima azione in campo, come si è visto, è stata l’ostentata prova di forza repressiva, stigmatizzata dalla sinistra radicale come... “fatto inusitato”. Scriviamo qui della Grecia: ma le stesse contraddizioni economiche agitano i sonni di paesi come l’Irlanda, la Spagna, l’Ungheria, il Portogallo, per non dire dei più piccoli paesi dell’est europeo come Lettonia ed Estonia, a rischio di bancarotta e bocciati dagli istituti di rating.

Alcuni dati significativi: il 14% dei lavoratori greci vive sotto la soglia di povertà, percependo un reddito inferiore al 60% della media nazionale (la media Ue si attesta intorno all’8%); tale povertà non sarebbe dovuta alla disoccupazione (e qui, come al solito, la contabilità è volutamente falsificata), ma all’insufficienza del reddito familiare, mentre lo scarto tra ricchezza e miseria è il più squilibrato in Europa. Il dato del terzo trimestre 2009 riguardante la disoccupazione, salita ai massimi da quattro anni, sarebbe comunque del 9,3%, con un aumento di 2,1 punti dal 7,2% del terzo trimestre 2008. Il “Financial Times” riportava che diversi gruppi farmaceutici hanno fatto ricorso a Bruxelles lamentando i mancati pagamenti da parte del sistema sanitario greco: un buco da 7 miliardi di euro, che si aggiunge al crescente indebitamento nazionale. L’altissimo livello del debito rende poi impossibile ogni efficace contromisura.

Tutto questo si somma alla crescente tensione sociale, tenuta sotto controllo soltanto grazie al regime della “legalità democratica” con il pieno contributo delle organizzazioni di sinistra (partito stalinista Kke in testa): mobilitazione giovanile per la riforma universitaria, “opposizione” dei sindacati, maxi-scioperi di lavoratori portuali e agricoli... Ce n’era abbastanza, qualche mese fa, per una crisi di governo, nonostante Karamanlis (leader del partito di centro-destra Nuova Democrazia, al governo fino a settembre) le avesse provate tutte per invertire la rotta: rimpasto di governo, nuovi reparti speciali di polizia per arginare la guerriglia urbana (in realtà, per delimitare gli spazi territoriali non di classe: università e quartieri bohémiens), nuove forme di controllo della spesa pubblica, vantata “tolleranza zero”contro la corruzione, ingenti investimenti per garantire liquidità e credito alle piccole e medie imprese... Non è bastato. Così, mentre la situazione sprofonda, monta invece una più ampia crisi sociale: cresce la disoccupazione e si dimostrano insufficienti gli ammortizzatori sociali; la sanatoria del debito pubblico ed estero appare una missione impossibile vista la struttura industriale scadente (i punti di forza attorno a cui è cresciuta la ricchezza sono il turismo e i servizi della marina mercantile, oltre ai fondi pubblici europei per le zone arretrate pari al 3,3% del Pil); il saldo della bilancia commerciale e quello della bilancia dei pagamenti entrambi negativi si situano attorno al 15% del PIL; e infine, da una posizione positiva (4,5% negli ultimi anni), il tasso di crescita, all’arrivo della crisi, è piombato a -1%.

I banchieri d’Europa

La situazione del debito in Grecia, nel mezzo della tempesta, è “molto grave”, afferma il ministro degli Esteri svedese, presidente di turno dell’Ue [1]. Replica il governatore della Banca nazionale austriaca: “gli alti livelli del deficit raggiunti da Paesi come Grecia, Irlanda e Spagna preoccupano la Bce che sta seguendo con molta attenzione l'andamento delle finanze pubbliche”, nel contesto del generale peggioramento per effetto della crisi finanziaria e della recessione. Ma “nessuno degli Stati a rischio deficit sarà salvato dalla Bce”. Il numero uno della Bundesbank, membro del  Consiglio direttivo dell’Eurotower, avverte che Atene ha un anno di tempo per riportare sotto controllo l’attuale deficit (12,7% del Pil e non 3,2%, come sosteneva il precedente governo) e il debito pubblico (tendente al 126% del Pil nel 2010 e al 138% nel 2012): in caso contrario, gli accordi temporanei con le banche greche “che oggi forniscono alla Bce i titoli di Stato greci, come garanzie per prendere in prestito liquidità, non potranno più farlo”. E, tanto per affermare il diktat centrale, il 19 dicembre le maggiori banche di credito sono state declassate. Spiega il vice-ministro delle finanze che il debito pubblico ha raggiunto l’ammontare complessivo di 300 miliardi di euro, il livello “più rilevante della storia della Grecia moderna”, a cui vanno aggiunti 220 miliardi di debito delle famiglie e delle imprese verso banche e istituzioni finanziarie. La commissione Ue indicherà entro i primi di febbraio la nuova scadenza entro la quale il paese dovrà risanare i propri conti, riportando il livello di deficit entro i parametri del Patto Ue di stabilità e di crescita (3% e 60% del Pil). Ma alcune indiscrezioni aggiungono nuova benzina all’ultimatum: Grecia e Irlanda potrebbero uscire dall’area euro entro la fine del 2010 a causa della loro “intollerabile” situazione economica. In sostanza, gli anelli deboli dell’Eurozona sarebbero spinti verso la svalutazione e a risolvere i problemi stampando banconote.

Tra un ultimatum e l’altro, nell’ipocrisia generale, la Merkel può ricordare il giuramento dei moschettieri: “Tutti per l’Euro e l’Euro per tutti”; ovvero, più prosaicamente: “Ciò che accade a uno Stato membro dell'Ue riguarda anche tutti gli altri, perché abbiamo una moneta unica, il che vuol dire una responsabilità comune”. Il comune sentire borghese europeo (non essendoci e non potendoci essere una borghesia sovranazionale) dunque è fondato per adesso sulla stabilità dell’euro: domani, ben altri fattori determinanti giocheranno alla “roulette russa”.  

Si prepara il cappio

Una sequenza di tonfi borsistici ha segnalato che le contraddizioni in cui si dibatte la Grecia sono di portata micidiale. Due in particolare: il recente declassamento del rating e i titoli di Stato greci (che per una quota del 90% servono a finanziarsi presso la Bce) inutilizzabili. La maxiofferta di 47 miliardi di euro di tali titoli (30 di fabbisogno e 17 di rinnovo in scadenza) è infatti non credibile e impossibile da gestire: tutto questo dimostra che la Grecia è a rischio bancarotta. Non resta da fare altro che attaccare il proletariato, fargli scucire la... miseria accumulata, attaccare le sue condizioni di vita e di lavoro. Ma un attacco aperto senza soluzioni alternative di consenso sociale significherebbe un suicidio politico: pertanto, non dubitiamo che l’Europa, volente o nolente, farà di tutto per non far sprofondare la borghesia greca. Tra pressione balcanica (da cui economicamente e politicamente dipende l’economia greca – e in particolare, l’area macedone di crisi) e pressione turca (potenza economica e strategica a cavallo di tre grandi aree di crisi), la debolezza economico-finanziaria greca rischia di concatenarsi alla precedente crisi balcanica. E’ dunque inevitabile un’azione energica contro il proletariato. In questa situazione di pericolo, i vari settori della borghesia si vanno preparando, sorvegliati a vista dalla grande borghesia imperialista del centro Europa che ne saggia la determinazione antioperaia. La riunione aperta per discutere i problemi che minacciano la stabilità del paese (il summit straordinario di unità nazionale con tutti i leader politici) ha trovato ampi consensi, “nonostante le divergenze ideologiche”(?!): la lotta alla corruzione, all’evasione fiscale e alla modalità in cui è gestita la sanità, ha messo d’accordo tutti, ma sull’entità dei tagli della spesa pubblica, sulla rapidità della manovra, tutti si sono defilati.

Ricomincia così la danza: solo alcuni sindacati hanno partecipato allo sciopero generale del 17 dicembre contro i provvedimenti economici – quelli di stretta obbedienza governativa si sono rifiutati di partecipare, e il Kke ha occupato “simbolicamente” il Ministero dell’Economia, mentre accettava l’invito di Papandreou. Al piano di risanamento, che riguarderà un’ondata di privatizzazioni, la riforma delle pensioni, il congelamento dei salari dei dipendenti pubblici e delle assunzioni pubbliche, si è dato da parte dell’Europa un parere negativo, in quanto insufficiente. “La crisi non guarderà in faccia nessuno”, ripetono i media per agevolare l’unità nazionale. Nello stesso tempo in cui la sinistra radicale Syriza attribuisce alla destra la responsabilità della situazione e accusa il Pasok di rimangiarsi le promesse fatte in campagna elettorale (“aumenti salariali e ridistribuzione della ricchezza”), la destra spinge a smantellare duramente i quartieri in mano agli anarchici e a stroncare il “diritto d’asilo” all’Università. La riforma del sistema fiscale agita anche le acque delle classi medie, che nelle situazioni di crisi economica sono anch’esse nell’occhio del ciclone. Una manovra di rientro dei capitali dall’estero con sconti straordinari all’italiana o l’aiuto del FMI in contrapposizione alla BCE non sono stati presi in considerazione: per adesso. La riduzione del deficit dal 12,7% all’8,7% è considerata solo un bluff a cui non crede nessuno.

E’ quindi prevedibile che, se la situazione dovesse volgere al peggio (con l’aumento consistente della disoccupazione il prossimo anno), la destra e il Pasok si risolvano a imporre il divieto delle manifestazioni operaie, cui si aggiungerebbe presto o tardi un “monito” severo all’“Europa dei banchieri” che vuol portare la Grecia alla rovina.

A quel punto, si potrebbe aprire uno scontro ben più ampio e duro di quello della semplice rivolta: la lotta di classe. Ma essa richiede preparazione strategica e tattica internazionalista, e non nazionale; richiede un’organizzazione politica militante e centralizzata e organismi di difesa economica che abbiano preso le distanze da tutto il fronte democratico e stalinista; richiede anche una definitiva chiusura allo spontaneismo e al suo compagno di strada, il minoritarismo armato. La via che porta alla ripresa della lotta di classe non prevede la difesa dei centri di cultura della borghesia (le università) e dei quartieri della gioventù bohèmienne, né il rilancio delle vecchie parole d’ordine riformiste “contro il padrone e contro il governo”: prevede invece la lotta contro tutto il fronte nemico, sotto la guida di un’organizzazione politica di classe, il Partito comunista internazionale. Senza tutto ciò, non può esserci che la sconfitta, in Grecia come altrove.

 

 



[1] Tutti i dati e le citazioni che seguono sono tratti da Il Manifesto dell’8 dicembre e dal Sole 24 ore del 10, 12, 16 dicembre u. s.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2010)

 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
ARTICOLI GUERRA UCRAINA
RECENT PUBLICATIONS
  • Il proletariato nella seconda guerra mondiale e nella
    Il proletariato nella seconda guerra mondiale e nella "Resistenza" antifascista
      PDF   Quaderno n°4 (nuova edizione 2021)
  • Storia della Sinistra Comunista V
    Storia della Sinistra Comunista V
  • Perchè la Russia non era comunista
    Perchè la Russia non era comunista
      PDF   Quaderno n°10
  • 1917-2017 Ieri Oggi Domani
    1917-2017 Ieri Oggi Domani
      PDF   Quaderno n°9
  • Per la difesa intransigente ...
    Per la difesa intransigente
NOSTRI TESTI SULLA "QUESTIONE ISRAELE-PALESTINA"
  • Israele: In Palestina, il conflitto arabo-ebreo ( Prometeo, n°96,1933)
  • Israele: Note internazionali: Uno sciopero in Palestina, il problema "nazionale" ebreo ( Prometeo, n°105, 1934)
  • I conflitti in Palestina ( Prometeo, n°131,1935)
  • Gli avvenimenti in Palestina (Prometeo, n°132,1935)
  • Israele: Fraternità pelosa ( Il programma comunista, n°21, 1960)
  • Israele: Il conflitto nel Medioriente alla riunione emiliano-romagnola (Il programma comunista, n°17, 1967)
  • Israele: Nel baraccone nazional-comunista: vie nazionali, blocco con la borghesia ( Il programma comunista, n°20, 1967)
  • Israele: Detto in poche righe ( Il programma comunista, n°18, 1968)
  • Israele: Spigolature ( Il programma comunista, n°20, 1968)
  • Israele: Un grosso affare ( Il programma comunista, n°18, 1969)
  • Incrinature nel blocco delle classi in Israele(Il Programma comunista, n°17, 1971)
  • Curdi palestinesi(Il Programma comunista, n°7, 1975 )
  • Dove va la resistenza palestinese? (I)(Il Programma comunista, n°17, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (II)(Il Programma comunista, n°18, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (III)(Il Programma comunista, n°19, 1977)
  • Il lungo calvario della trasformazione dei contadini palestinesi in proletari(Il Programma comunista, n°20-21-22, 1979).
  • In rivolta le indomabili masse sfruttate palestinesi ( E' nuovamente l'ora di Gaza e della Cisgiordania)(Il Programma comunista, n°8, 1982)
  • Cannibalismo dello Stato colonialmercenario di Israele(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Le masse oppresse palestinesi e libanesi sole di fronte ai cannibali dell'ordine borghese internazionale(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • La lotta delle masse oppresse palestinesi e libanesi è anche la nostra lotta- volantino(Il Programma comunista, n°13, 1982)
  • Per lo sbocco proletario e classista della lotta delle masse oppresse palestinesi e di tutto il Medioriente(Il Programma comunista, n°14, 1982)
  • La lotta nazionale dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Sull'oppressione e la discriminazione dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°19, 1982)
  • La lotta nazionale delle masse palerstinesi nel quadro del movimento sociale in Medioriente(Il Programma comunista, n°20, 1982)
  • Il ginepraio del Libano e la sorte delle masse palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1984)
  • La questione palestinese al bivio ( Il programma comunista, n°1, 1988)
  • Il nostro messaggio ai proletari palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1989)
  • Una diversa prospettiva per le masse proletarie (Il programma comunista, n°5, 1993)
  • La questione palestinese e il movimento operaio internazionale ( Il programma comunista, n°9, 2000)
  • Gaza, o delle patrie galere (Il programma comunista, n. 2, 2008)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • A Gaza, macelleria imperialista contro il proletariato ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • Il nemico dei proletari palestinesi è a Gaza City ( Il programma comunista, n°1, 2013)
  • Per uscire dall’insanguinato vicolo cieco mediorientale (Il programma comunista, n° 5, 2014)
  • Guerre e trafficanti d’armi in Medioriente (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • Gaza: un ennesimo macello insanguina il Medioriente-Volantino (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • L’alleanza delle borghesie israeliana e palestinese contro il proletariato (Il programma comunista, n°6, 2014)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario  ( Il programma comunista, n°3, 2021)
  • A fianco dei proletari e delle proletarie palestinesi! ( Il programma comunista, n°5-6, 2023)
  • Il proletariato palestinese nella tagliola infame dei nazionalismi ( Il programma comunista, n°2, 2024)
We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.