DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Ricordate quel Toni che, nei tardi anni ’70, quando si calava il passamontagna sul volto, poco ci mancava che avesse un orgasmo? Be’, non è cambiato nel corso degli anni, a parte il colore del passamontagna che è cangiante come quello del camaleonte (quanto agli orgasmi, be’, anche gli anni passano...). Le sue ossessioni sono il prodotto di ripetuti elettroshock sociali di cui il Toni non riesce a comprendere la portata. E così seguiremo per un tratto le sue allucinazioni (anch’esse prodotto della realtà borghese), ma poi lo abbandoneremo per strada, perché non abbiamo tempo da perdere.

In un’ennesima, recente sbrodolata dal titolo snob Good-bye, Mr. Socialism (ma quanto scrivono, questi controrivoluzionari! per forza, non fanno altro che riscaldar rancide minestre... ), il Toni dunque dice: “L’abbattimento del Muro e l’attraversamento della Porta di Brandeburgo sono stati qualcosa di davvero entusiasmante […] Mentre il ’68 aveva abbattuto i muri [?] che chiudevano la nostra società, l’89 ha abbattuto il muro che difendeva il socialismo reale trattenendolo fuori dal mercato mondiale [?]”. E qui, descrivendo la gioia della moltitudine (si sa: il nostro è il teorico della “moltitudine”, al posto delle vetuste “classi sociali”) “nell’uscire da quel mondo totalitario”, si fa cogliere dallo stesso orgiastico piacere della folla allo stadio. Ora, costui non ha mai capito nulla né del capitalismo né, meno che mai, del socialismo: ma la cosa curiosa del suo stile è quella di porre domande fintamente profonde senza mai offrire nemmeno un tentativo di risposta. Per esempio: “bisogna chiedersi perché un’economia massicciamente pianificata e una società socialista non siano riuscite a determinare strutture solide e a reggere un consenso duraturo”. Già, perché? ce lo chiediamo: e dunque? Dunque, dice il Toni: “Non so bene [non sa bene, capite?!], ma ho l’impressione [l’impressione, capite?!] che la caduta del sistema sovietico sia dovuta a molti elementi [ma guarda!], tra i quali tuttavia appare la non soluzione di questo tema [contorto? oscuro? ma via, questo è filosofar!]”. Non si chiede – come razionalità vorrebbe – se la Russia era davvero socialista, se era davvero “massicciamente pianificata”, se esistevano una classe oppressa e una dominante... Per carità, no! La cosa non lo tange: se “la moltitudine” crede in quel che crede, allora per il Toni sarà vero. E mentre tutto ridiventa opaco, ecco che lo afferra la folata di vento della dea alata della vittoria: “Senza i loro [dei proletari russi, agganciati al carro patriottico della propria borghesia] sacrifici i nazisti avrebbero vinto la guerra e noi tutti parleremmo tedesco […] l’Unione sovietica non ce l’ha fatta non perché la sua esistenza fosse un sogno impossibile ma perché la strategia occidentale di chiusura e repressione e l’odio antiumanista [?] hanno vinto”. Capite, al di là del filosofar? Ma non basta. Dopo aver definito “accumulazione socialista” (c’è davvero da scoppiare in grasse risate in faccia a questo preteso marxista!) il periodo intercorso dal 1917 fino al secondo conflitto mondiale, di nuovo il Toni indossa l’eroico passamontagna e la butta giù: “Io non sono certo tra coloro che si scandalizzano per le alleanze di Stalin con i nazisti. Anzi, mi è sempre sembrato un grande elemento di lucidità strategica […] E’ questo il momento in cui i sovietici costruiscono la ‘grande unità nazionale’ che riesce a sconfiggere il nemico nazista: sono i sovietici a battere i nazisti e questo è un dato estremamente importante […] La moltitudine aveva perso venti milioni e più dei suoi fratelli durante la grande guerra contro il nazismo e il gruppo dirigente ne sentiva già l’aspro fiato sul collo”... E via farneticando.

In questa pura logica borghese, tutto scorre come l’olio di ricino (o scivola come l’ostia consacrata): le alleanze con i nazisti e gli angloamericani, i massacri di guerra, lo sterminio del partito bolscevico, i campi di concentramento per i comunisti rivoluzionari e per i proletari “non patriottici”, il nazionalismo, l’imperialismo... A questo punto, il Toni ci dà la sua benedizione: “Io non credo alla libertà come un diritto disincarnato: credo invece alla libertà come forza produttiva [volevamo ben dire!]”. Ora, la borghesia d’ogni colore sarebbe ben pronta a tessere un elogio di questo concetto di  libertà come forza produttiva del terrore antiproletario: i suoi consiglieri a pagamento sguazzanti nella palude sociale associano sempre alla libertà il profumo della banconota.

Impastato di tutti i miti della borghesia (della libertà astratta, dell’individuo ribelle), imbevuto dell’idea di massa (la moltitudine e la nazione legate insieme dalla “vera democrazia”: quella assoluta), impregnato del parassitismo di un ordinamento sociale che va in disfacimento (il reddito di cittadinanza per tutti come soluzione finalmente trovata), farneticante esaltatore del “capitalismo cognitivo” (il postfordismo: segno piuttosto dell’estinzione d’ogni pensiero critico), il Toni se ne va esaltando la libera critica nel mezzo della palude dove tutti indistintamente rivendicano i diritti d’autore su qualunque fesseria.

Ed è qui che l’abbiamo lasciato. Noi andiamo per la nostra strada, in tutt’altra compagnia: “Lasciate la nostra mano, non aggrappatevi a noi e non insozzate la grande parola di libertà, perché anche noi siamo ‘liberi’ di andare dove vogliamo, liberi di combattere non solo contro il pantano, ma anche contro coloro che si incamminano verso di esso” (Lenin, Che fare?).

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2010)

 

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