Il Soviet», anno III, nr. il dell’1l.IV.1920)

 

Che cos’è e che cosa vuole la Lega Spartacus, pubblicato il 15 dicembre 1918 nella «Rote Fahne» - prima dell’uscita dal Partito Socialista Indipendente - (vedi l'«Avanti!» del 6 gennaio 1919 (ed. Romana), il nr. 7 dei Documenti della Rivoluzione, della Società Editrice «Avanti!», e l'«Ordine Nuovo» nr. 38 del 21 febbraio 1920 e 39 del 28 seguente).

         Programma della Centrale del Partito, approvato alla Conferenza dell’ottobre 1919 (vedi «Comunismo» nr. 37 del 14 febbraio 1920). Tesi sul Parlamentarismo della stessa Conferenza, «Romagna socialista» del 21 febbraio 1920 e «Ordine Nuovo» nr. 40 del 15 marzo 1920).

 

Per i comunisti di qualunque paese non è possibile non interessarsi al più alto grado delle cose del Partito Comunista di Germania. Le sorti della lotta rivoluzionaria che questo grande partito - fondato dai gloriosi martiri Liebknecht e Luxemburg - conduce nel cuore dell’Europa e del mondo capitalistico sono intimamente legate alle sorti della rivoluzione mondiale. E benché il socialismo sia pensiero e fatto internazionale, non è discutibile che il contributo dato ad esso, nel passato e nel presente, dal movimento tedesco, nel campo della dottrina e in quello della lotta, ne è fattore di primissimo ordine. Non perché - come lasciamo dire agli sciocchi - esista un socialismo «tedesco» quale articolo nazionale di esportazione da imporre o propinare ai paesi esteri, ma perché, attraverso tutti i periodi di crisi che registra la storia del proletariato germanico di questi ultimi cento anni, e maggiormente pel contrasto con le defezioni dei rinnegati, si presenta a noi nelle linee più severe ed armoniche la costruzione meravigliosa del pensiero e del metodo rivoluzionario, fondata su basi granitiche da Carlo Marx e continuata dai degni eredi dell’opera sua, destinata ad essere coronata nella storia dalla più trionfale realizzazione del processo emancipatore del proletariato e della società comunista.

È quindi per noi di gran peso intendere l’attuale situazione del KPD (Kommunistische Partei Deutschlands), e se ci è quasi impossibile tenerci al corrente dell’andamento quotidiano della sua lotta e delle fasi della battaglia rivoluzionaria che conduce, se anche oggi ci è impossibile rispondere all’interrogativo angoscioso se esso abbia lanciata o meno la parola d'ordine di un'azione generale, possiamo nondimeno studiare ciò che non è meno importante per noi, ossia l'orienta­mento delle tendenze che in esso si sono delineate, e il contributo che viene da questo alla sempre migliore elaborazione del programma e della tattica comunista.

Non ci sarà possibile, poiché non si scrive con la fredda anima storica, prescindere da raffronti col modo col quale di questi stessi problemi si propongono, da noi e da altri, le soluzioni in Italia.

 

Si sa generalmente che nella conferenza del Partito in dicembre [ottobre] 1919 si è svolta una lotta polemica tra i fautori dell’azione parlamentare ed i suoi avver­sari, e che questi ultimi sono stati sconfitti non solo ma esclusi dal partito. Ma questo è troppo poco per giudicare. Ci interessa invece conoscere quale fosse il pensiero delle due frazioni nella sua integrità, e quali e quanti fossero esatta­mente i punti di dissenso.

Durante il periodo rivoluzionario tra 1-8 novembre 1918 e il 15 gennaio 1919 si accese nel partito la discussione circa l'opportunità di partecipare o meno alle elezioni per l'Assemblea Nazionale. Contro il parere di Liebknecht e Luxemburg prevalse il criterio negativo, per concentrare tutte le forze nella lotta per la con­quista del potere politico, per la instaurazione della dittatura proletaria, sulla parola d'ordine; tutto il potere ai consigli operai. Ove la vittoria nella guerra di classe avesse arriso ai comunisti, primo atto del nuovo potere sarebbe stato lo scioglimento dell’assemblea nazionale.

Liebknecht e Luxemburg vedevano poco probabile l'immediata vittoria e ritenevano - così come oggi ritiene la maggioranza del partito - che in simile eventualità la «utilizzazione» dell’azione parlamentare non fosse da scartarsi a priori.

Dopo la gloriosa sconfitta del gennaio 1919 si cominciò a delineare nel partito una tendenza «sindacalista» (è noto che prima della guerra il sindacalismo quale era sorto in Francia e in Italia e nell’America del Nord aveva scarsissima rappre­sentanza). Questa tendenza si schierò contro le direttive della Centrale del partito, ma i punti di dissenso erano ben più estesi e complessi di quello riguardante l'elezionismo.

Noi condividiamo il giudizio dei migliori compagni marxisti della maggioranza del KPD che si trattò di una tendenza spuria piccolo-borghese - come tutte le tendenze sindacaliste - e che il suo sorgere costituisce un fenomeno connesso al periodo di decadenza delle energie rivoluzionarie del proletariato tedesco succeduto alla settimana rossa di Berlino e alle giornate di Monaco.

Le principali tesi di questi «sindacalisti», a quanto ci è dato ricostruire dal materiale incompleto di cui disponiamo, erano queste:

Attribuzione di una maggiore importanza, nel processo di emancipazione proletaria, alla lotta economica anziché alla lotta politica.

Riduzione della funzione del partito politico a quella di una «associazione di propaganda» per affidare il compito rivoluzionario ai sindacati operai sorti sulla base dei Consigli di Fabbrica in contrapposto ai vecchi sindacati capitanati dai riformisti.

Organizzazione di azioni isolate e frammentarie dei proletari dirette a sabo­tare la produzione borghese, a prendere localmente possesso delle aziende, a proce­dere ad espropriazioni rivoltose, negando il criterio dell’azione centralizzata e collettiva diretta dal Partito sul terreno politico.

Concezione anarchico-piccolo-borghese della nuova economia come risultato del sorgere di aziende amministrate direttamente dagli operai che vi lavorano.

Da ciò deriva l'astensionismo elettorale nel senso sindacalista, cioè di negare utilità alla azione politica del proletariato ed alla lotta di partito, che per effetto di parzialità e per abitudine tradizionale vengono confuse colle attività elezioniste. A noi pare che, sul terreno marxista, queste concezioni siano state giustamente ed opportunamente condannate.

Una sagace critica è stata fatta di esse dai loro oppositori, con argomenti molti dei quali i nostri lettori conoscono, per averli noi ampiamente adoperati nel dibattere le questioni dei Consigli di Fabbrica, della costituzione dei Consigli Operai, e delle prese di possesso locali delle fabbriche da parte dei lavoratori.

Il compagno Frölich in un interessante pamphlet: «La malattia sindacalista nel KPD» svolge una critica assai profonda delle aberrazioni dei sindacalisti confutando in modo decisivo il concetto che non abbisogna una rivoluzione «politica».

In fondo i sindacalisti sono, senza saperlo, stretti parenti dei social-riformisti. Il Fròlich dimostra, criticando le loro stesse parole, che essi si illudono che il compito politico sia finito coll’8 novembre, in quanto esiste in Germania un regime «demo­cratico» e «repubblicano» - e il proletariato ha bisogno quindi solo di espropriare, attraverso le organizzazioni economiche, i capitalisti.

La fallacia di questa tesi è dimostrata dal compagno Frölich, che rimette la questione sul binario marxista. La lotta tra lavoratori e capitalisti non è una lotta tra la maestranza e l'imprenditore nei confini della fabbrica: è una lotta di classe, quindi una lotta politica, una lotta per il potere. Per arrivare alla espropriazione delle singole fabbriche, per arrivare al comunismo che è qualche cosa di più, cioè la espropriazione degli sfruttatori con la creazione di una nuova macchina economica collettiva, si deve passare per la battaglia politica contro il potere statale borghese, e per la creazione di una nuova forma politica: la dittatura proletaria. Altro che non essere necessaria la rivoluzione politica; in Germania si deve ancora fare il passo storico decisivo: dalla democrazia borghese alla dittatura proletaria, dalla repubblica ebertiana allo stato dei consigli. Questa, è solo il partito politico che può condurla.

Le tesi proposte dalla Direzione e approvate dalla Conferenza [Congresso dell’ottobre 1919] sono veramente fondate sul saldo terreno marxista.

Ci limitiamo a richiamare le loro più salienti affermazioni colle quali piena­mente concordiamo (1).

 

«In tutti gli stadi della rivoluzione che precedono la conquista del potere per opera del proletariato, la rivoluzione è una lotta politica delle masse proletarie per il potere politico» (tesi 3).

«Il partito politico è chiamato a dirigere la lotta rivoluzionaria delle masse» (tesi 6).

«La concezione che si possano provocare movimenti di massa mediante una particolare forma di organizzazione, che, dunque, la rivoluzione sia una questione di forma di organizzazione, viene respinta come ricaduta nella utopia piccolo-borghese» (tesi 5).

«La più rigida centralizzazione è necessaria tanto per l'organizzazione economica quanto per l'organizzazione politica del proletariato. Il Partito Comunista Tedesco respinge ogni federalismo» (tesi 6).

Il contesto delle tesi è interessantissimo, e su di esso richiamiamo l'attenzione dei compagni.

V'è un altro punto notevole: i sindacalisti accusavano la Centrale di preparare una fusione col Partito Socialista Indipendente (escludendo i capi) o almeno con la sinistra di esso. Ma la Centrale respinge energicamente l'accusa. Su ciò d'altronde gli avvenimenti di questi giorni devono avere influito in modo decisivo - e noi non possiamo credere che i compagni del KPD, tanto dotati di esperienza critica, abbiano attribuito valore ai filosofemi pseudo-comunisti dell’ultimo programma degli Indipendenti.

* * *

La 3° tesi del programma che abbiamo esaminato dice che la partecipazione alle elezioni al Parlamento e ai Consigli comunali può anche essere considerata come uno dei mezzi per la preparazione della lotta politica rivoluzionaria e della conquista del potere.

Questo concetto è meglio svolto nelle apposite «tesi» approvate dalla Confe­renza intorno al Parlamentarismo.

Il KPD, naturalmente, per il fatto stesso di essere un partilo comunista, è per principio contrario al parlamentarismo, così nel periodo in cui il proletariato sarà classe dominante, come nella società comunista e senza classi: esso ammette però che, durante il periodo che precede la conquista del potere, l'azione parla­mentare, in senso puramente negativo, possa - in dati casi - giovare per stimolare le masse alla vera azione rivoluzionaria.

Avvertiamo subito che questa concezione del parlamentarismo, se può corri­spondere al programma teorico votato al congresso di Bologna del nostro partito italiano, non corrisponde affatto alla pratica attuale del nostro partito. Questo, infatti, fa del parlamentarismo positivo e riformista, basato sulla coesistenza, mille volte da noi deplorata, di comunisti e socialdemocratici nello stesso partito, e nello stesso gruppo parlamentare (in questo può dirsi che i socialdemocratici sono in maggioranza).

Ma, d'altra parte, l'attuazione pratica di una tattica come viene tratteggiata in queste tesi dai compagni tedeschi, in certi scritti di Radek e nella recente circolare di Zinoviev, manca di precedenti storici: noi non sappiamo che cosa avverrà anche pel KPD quando questo ne tenterà l'applicazione. Noi affermiamo che questa soluzione tattica non esiste; o si ricadrà nel riformismo o si dovrà rinunziare ad ogni azione elettorale. Su ciò risponderà l'avvenire.

Noi crediamo - per quanto poco possa valere il nostro giudizio in un dibat­tito così complesso e lontano come quello di cui ci occupiamo - che, senza nulla concedere, anzi rifiutando con la massima energia l'antipoliticismo sindacalista ed i sofismi anarchici, sullo stretto terreno marxista, in una situazione come l'odierna, può e deve concludersi per l'abbandono di ogni contatto cogli istituti democratici borghesi.

Il programma della Internazionale Comunista è sulle basi del marxismo quale esso ci appare nella sintesi del Manifesto dei Comunisti - come è anche esposto meravigliosamente nel discorso che la grande nostra compagna Rosa Luxemburg pronunziava per la fondazione del KPD il 29-31 dicembre 1918. Ora ciò che è di sostanziale nel Manifesto è il definitivo superamento critico della democrazia, la dimostrazione che questa è la forma di regime politico caratteristica del periodo capitalista che accompagna storicamente il dominio economico della borghesia sul proletariato.

A questa critica si collega direttamente il superamento storico della demo­crazia che s’e iniziato colla rivoluzione russa dell’ottobre 1917, con la formazione stabile del primo stato di classe del proletariato.

Nella antitesi tra dittatura proletaria e democrazia borghese si compendia il momento decisivo della lotta di classe tra borghesia e proletariato - e ciò ci sembra rispondere direttamente alle tesi della maggioranza comunista sorte dalla esperienza storica del socialdemocratismo controrivoluzionario, antiproletario, ba­gnato nel sangue di Carlo e di Rosa.

Ciò risponde ancora più alla esperienza della lotta di classe nei paesi occidentali ove la democrazia ha più lontane tradizioni storiche, e maggiore influenza sulle masse, che nell’est e nel centro d'Europa.

Inoltre tra noi la guerra imperialista ha in modo più evidente che altrove dimostrato che essa poggiava sulla democrazia, che militarismo e democrazia non sono termini opposti, ma paralleli e poggianti sulla stessa base: regime borghese capitalista.

Ed allora il problema della preparazione rivoluzionaria del proletariato, appunto perché è problema politico, si presenta come la formazione di una coscienza storica nel proletariato dell’antitesi tra il nuovo regime rivoluzionario e la attuale democrazia, che, su un intreccio dell’attività politica delle opposte classi sociali, costituisce la maschera e la trincea al tempo stesso della dittatura del capitalismo.

Appunto per contrapporci, così alle scuole social-democratiche che spingono il proletariato sulla via del possesso maggioritario dei mandati borghesi, come alle scuole anarcoidi, che svalutano la necessità di prendere e gestire il potere politico, appunto per rendere più suggestiva la parola d'ordine: «conquista rivoluzionaria del potere politico», noi crediamo indispensabile disertare le elezioni degli orga­nismi rappresentativi borghesi.

Prendere i loro mandati per utilizzarli in una certa via di attività per la propaganda nostra, è una tattica pericolosa.

Teoricamente essa è poco chiara, e poggia innegabilmente sopra un paradosso dialettico. Praticamente, offre il fianco a troppe insidie. La dialettica storica marxista deve insegnarci che, se la borghesia vuole e caldeggia tale tattica, è perché essa sente, senza errore, che tale tattica non può nuocerle. L'attuale situazione politica italiana ne dà una dimostrazione lampante. Noi diciamo, noi siamo fermamente convinti che gli «utilizzatori» finiranno coll’essere «utilizzati» dalla democrazia borghese.

L'Internazionale Comunista deve tracciarsi una via tattica rigorosamente corrispondente alla sua dottrina. Noi, per quanto poco rappresenti in essa la voce nostra, vediamo questa soluzione così tracciata: condanna delle illusioni sindacaliste e affer­mazione fondamentale della necessità della lotta politica centralizzata; abbandono della partecipazione elettorale alla democrazia borghese in corrispondenza al processo storico aperto in Russia nell’ottobre 1917, e che si svolge in tutti i paesi, verso la conquista rivoluzionaria del potere e la organizzazione del proletariato in classe dominante.

Alla elaborazione di questa soluzione contribuirà in prima linea colla esperienza delle sue lotte e colla sua preparazione dottrinale il Partito Comunista Tedesco. Possa esso al più presto condurre il proletariato germanico a spazzar via colla baionetta della sua guardia rossa l'assemblea in cui siedono ancora i pugnalatori di Spartaco!

 

(1) Correggiamo il testo, che si rifaceva alla traduzione dell’«Avanti!», in base al protocollo tedesco del Congresso di Heidelberg.

 

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