DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Qualcuno potrà storcere il naso a questo titolo – qualcuno che crede ancora all'intrinseca bontà delle “cose come stanno”. Ma si guardi intorno: in Bangladesh, nel crollo di uno stabile-mostro che ospitava numerose fabbriche di abbigliamento (di quello che “va di moda” in qualunque paese occidentale), muoiono milleduecento proletari e proletarie, sfruttati e sottopagati, messi alla catena da un unico modo di produzione alla ricerca spietata di profitti; in Siria, giorno dopo giorno, procede il macello di popolazioni proletarie e proletarizzate, in una guerra in cui sono coinvolti e cointeressati tutti i principali imperialismi, in cui tutti traggono profitto da vendite legali e illegali di armi di ogni tipo. Vogliamo continuare l'elenco di un massacro quotidiano, con cifre di morti violente che fanno accapponare la pelle, sotto ogni cielo e in ogni forma? Le guerre guerreggiate fra ladroni imperialisti, con le loro bande di mercenari schierate da una parte e dall'altra; la guerra del Capitale contro il proletariato, le sue condizioni di vita e di lavoro, la sua stessa esistenza, fra morti sul lavoro, progressivi avvelenamenti, sfiancamento quotidiano di uomini, donne e bambini per l'estrazione di plusvalore; le “guerre a bassa intensità”, frutto del malessere individuale e collettivo, della follia e della frustrazione, della malata ansia di sopraffazione (l'autentica piaga del femminicidio, le stragi nelle scuole o per le strade, le violenze domestiche, l'abbandono in cui sono scaricati gli anziani, i malati, quelli che non servono più al processo produttivo)... Non parliamo poi del disastro ambientale: anch'esso una guerra condotta con ogni arma immaginabile. Che cos'è questa se non distruzione diffusa, contro la quale solo l'ottusa insensibilità prodotta dai narcotici politici e religiosi impedisce di sollevarsi?

 

Sì, il capitalismo è il sistema della distruzione diffusa. E non è certo una novità: basta aprire il Capitale di Marx (leggerlo e assimilarlo come arma di critica) per avere una dimostrazione agghiacciante di questa realtà inoppugnabile, sull'arco di più di due secoli di dominio borghese. E ora, dietro a questa distruzione, se ne prepara un'altra, ben più devastante.

 

Ampie aree del mondo sono diventate da tempo aree critiche: la fascia del Maghreb-Mashrek, dalla Tunisia al Medio Oriente, fino all'Iran; quella che collega l'Afghanistan alla penisola indocinese, attraverso l'India; le coste contrapposte del Mar del Giappone, del Mar Giallo e del Mar Cinese Orientale; la fascia sub-sahariana e centro-africana. Qui, o sono in corso ormai da anni guerre regionali, in cui tutti gli imperialismi sono coinvolti in maniera più o meno diretta, più o meno mediata, oppure si accumulano tensioni e frizioni che potrebbero presto spingere al punto di rottura equilibri fragili e instabili. E' il lascito di due guerre mondiali, con il ridisegno del pianeta da parte delle potenze belligeranti e vittoriose; è il lascito del capitalismo giunto alla sua fase imperialista – quella cioè che manifesta all'ennesima potenza la distruttività, l'aggressività, la violenza insita in questo modo di produzione fin dagli inizi (dobbiamo ricordare i genocidi degli irlandesi, degli indiani, degli africani, dei nativi americani?).

 

L'abbiamo ricordato nell'editoriale del numero scorso di questo giornale: noi comunisti non demonizziamo il capitalismo – ne abbiamo riconosciuto i meriti storici, nel necessario passaggio dal Medioevo alla cosiddetta “età moderna”. Ma ricordiamo e dimostriamo dati alla mano che la sua agonia (perché di questo si tratta: non delle doglie del parto, ma dello strazio della fine) è destinata a far marcire ogni cosa: nell'economia, nella società, nella vita materiale, nella cultura. Quello che si prepara, mentre dilaga e s'aggrava la crisi economica (crisi di sovrapproduzione di merci e capitali, e dunque anch'essa connaturata al capitalismo), è uno stadio ulteriore di questa distruzione diffusa. Quello che si prepara è un nuovo conflitto mondiale: non più regionale, non più circoscritto a qualche zona lontana da cui arrivano solo (macabro bollettino) le cifre dei morti in bombardamenti, attentati, mitragliamenti, gasamenti, fucilazioni, stragi e via di seguito, nella deliziosa casistica delle tecniche di distruzione inventate dall'industria capitalistica degli armamenti – l'unica a “tirare” davvero in epoca di crisi. Un nuovo macello, che avrà ancora una volta come vittima principale il proletariato – come nella Prima e nella Seconda guerra mondiale. Allora, si passerà dalla distruzione diffusa alla distruzione totale – nella speranza, poi (se la distruzione non avrà superato un certo limite invalicabile di sopportazione per la specie umana), di ricostruire e, con la ricostruzione, fare tanti buoni affari – come dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale.

 

Il proletariato di tutto il mondo deve preparasi a ciò. E' l'unica forza in grado di scongiurare un terzo macello mondiale. Deve prepararsi a ciò, riprendendo oggi a lottare per difendersi dagli attacchi del nemico e, grazie a queste lotte di difesa, imparare a organizzarsi per attaccarlo e abbatterlo – prima che sia troppo tardi. Compito di noi comunisti è dirigere queste lotte dal piano della difesa (indispensabile) a quello dell'attacco (quando le condizioni oggettive e soggettive siano mature).

 

Ma è anche urgente che torni a diffondersi fra i proletari d'avanguardia il senso reale e la pratica concreta del disfattismo rivoluzionario. Ciò vuol dire, oggi: opporsi a ogni ricatto economico e sociale da parte del Capitale e del suo Stato, e dei partiti politici e dei “sindacati di regime” che ne sono strumenti e colonne; respingere ogni richiesta di sacrificio in nome delle “necessità superiori dell'economia nazionale”; non cedere all'illusione che lo Stato del Capitale sia lo “Stato di tutti”; combattere apertamente, senza incertezza e senza indugio, ogni tentativo di dividere il fronte di classe lungo linee razziali o nazionali; abilitarsi a boicottare ogni sforzo bellico della propria borghesia e rifiutarsi di farsi mobilitare a difesa della Nazione come “bene supremo” da difendere contro il “nemico”; resistere a ogni tentazione di schierarsi su un fronte di guerra piuttosto che sull'altro, come, inevitabilmente, inciteranno a fare, al momento opportuno, pacifisti di varia natura e “antimperialisti” a senso unico.

 

Né da una parte né dall'altra, ma dalla propria parte – dalla parte dei propri interessi immediati e storici: questa deve essere la consegna per il proletariato mondiale, nelle lotte quotidiane che conduce e di fronte alle tempeste che si preparano. Noi comunisti combattiamo, giorno dopo giorno, perché questa consegna diventi una conquista decisiva e definitiva, la bandiera intorno a cui raccogliersi per muovere all'attacco.

 

 

Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°04 - 2013) 

 

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