Il prevedibile fatto di sangue commesso a Roma da un nomade di nazionalità rumena che viveva, come migliaia di suoi compagni, nel più assoluto degrado, ha scatenato una violentissima campagna mediatica a livello nazionale, seguita da una violenta bagarre politica e da un’altrettanto violenta manovra poliziesca - il tutto secondo un copione ormai collaudato, che nella storia è stato e sarà più volte replicato ai più diversi ordini di grandezza e intensità.

Un esercito di sbirri ha perquisito e distrutto abitazioni di fortuna su intere aree che sarebbe assai generoso chiamare favelas - in quanto coperte non soltanto di sudice baracche, ma anche di ripari improvvisati, al limite della tana scavata nel terreno - e che, nella sola Roma, ospitavano parecchie migliaia di derelitti, operando arresti, rimpatri e lasciando questi cosiddetti “senza fissa dimora” in condizioni abitative presumibilmente peggiori di prima. Simili pogrom [spedizioni punitive] a gestione statale si sono ripetuti anche a Milano.

Se è vero che l’intervento statale apre spesso la strada all’iniziativa privata, a questa prova di forza dello Stato borghese schierato in pompa magna, con l’indispensabile codazzo di telecamere, fotografi e gazzettieri trionfanti (e con la benedizione dei politicanti ipocriti che promettevano “giustizia ma non vendetta” e immediati giri di vite legislativi), sono seguite le ovvie “iniziative private” di gruppi di fascisti armati, che a Tor Bella Monaca, quartiere di Roma “capolavoro” dell’urbanistica borghese creatrice di ghetti, hanno preso a bastonate, coltellate e accettate alcuni lavoratori rumeni, ferendone tre, uno dei quali in modo grave. Tanto per completare il quadro, aggiungiamo che queste squadrucole fasciste vengono il più delle volte allevate al becerume del razzismo e della xenofobia nelle curve degli stadi di calcio, nei quali si allenano alla pugna (in una versione più ludica, s’intende) con la stessa sbirraglia di cui sopra.

Per noi comunisti, l’emarginazione del proletariato immigrato, che si attua anche per mezzo della criminalizzazione dello “straniero”, specie se “clandestino”, ha come risultato la creazione di un esercito di forza-lavoro costretta ad accettare qualsiasi condizione di vita e di salario, fatto che abbassa ancor più il potere contrattuale medio dei lavoratori e quindi il prezzo medio della forza-lavoro in generale. Inoltre, il tentativo di riversare le colpe dell’evidente crisi economica e dell’abbrutimento generale sulle spalle di gruppi ben definiti e riconoscibili, posti ai margini della società, produce notevoli benefici propagandistici per la borghesia, che si scarica così di ogni responsabilità. I più emarginati e diseredati - nomadi in testa - passano addirittura come meritevoli della propria condizione, a dimostrazione che, quando serve, stralci di calvinismo attecchiscono anche nella culla dell’ipocrisia cattolica.

Noi comunisti non facciamo distinzioni tra proletari italiani e proletari immigrati, perché sappiamo che i proletari non hanno patria, ma facciamo, eccome!, distinzione tra le classi sociali e additiamo la borghesia e il suo modo di produzione come unici responsabili delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato. Alla rivoluzione proletaria quindi il compito di sconfiggere definitivamente la classe borghese e di spazzarne via per sempre la dittatura (sia pure paludata di vesti democratiche) e il ciarpame ideologico, eliminando la stessa divisione dell’umanità in classi e, di conseguenza, in nazioni.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2007)

 

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