Secondo i dati diffusi dall’Instituto Nacional de Estadísticas (INE) e dal Banco de España, la crescita economica del paese ha raggiunto il 4,1% nel primo trimestre del 2007. Tuttavia, gli addetti ai lavori rivelano (El Mundo, 24/5/2007) che l’economia iberica “ya ha tocado techo”: ha raggiunto il suo punto di massima espansione. A partire da questo momento, si registrerà un rallentamento in tutti i settori, cominciando da quello dell’edilizia che già manifesta una decelerazione significativa. Allo stesso modo, i consumi e gli ordini dell’industria iniziano a diminuire, le importazioni e le esportazioni toccano valori pari alla metà rispetto a quelli del 2006, mentre per il 2007 solo il governo prevede, in senso ottimistico, valori di crescita superiori al 3%. Secondo quanto dichiarato dal segretario del Ministero dell’Economia, il settore dell’edilizia, insieme a quello dell’agricoltura, è quello che sta più riducendo l’occupazione: gli ultimi dati proposti dall’ INE mostrano che nel primo trimestre del 2007 la disoccupazione è aumentata anche per gli immigrati (12,61%), preziosi per il capitale per abbattere i costi del lavoro. In generale, i salari sono fermi dal 1997, contro un’inflazione che non ha mai smesso di aumentare, colpendo la classe lavoratrice, specie quella in arrivo dall’estero, mentre i contratti a progetto iniziano a dilagare in tutti i settori. In una contingenza economica di questo genere, la Spagna ha assistito turbata e frastornata al deciso sciopero dei lavoratori delle acciaierie e dei cantieri navali nella provincia di Pontevedra, e a Vigo in particolare (Metalships, Ría-Barreras, Freiré, Cardama, Armón, Rodman e Mcíes), durante il quale si è verificata una vera e propria guerriglia urbana.

Insieme all’edilizia e all’industria automobilistica, il settore navale è uno dei pilastri economici della provincia di Pontevedra. Lo sciopero, iniziato il 3 maggio, è durato circa due settimane, bloccando completamente la produzione e causando perdite economiche dell’ordine di 1 milione di euro al giorno. La motivazione va ricercata nella massiccia utilizzazione di contratti atipici, che non garantiscono giorni di malattia, ferie pagate, indennizzi, ecc., violando un precedente accordo che bloccava l’impiego di detti contratti al limite di un 45% sul totale dei lavoratori impiegati. Quasi tutte le imprese invece stavano ben al di sopra di questa cifra, e inoltre avevano più volte accarezzato l’idea di avviare una manovra di sostituzione della manodopera del settore, attingendo dal serbatoio dei Paesi dell’Est. Le prove tecniche in questo senso erano già iniziate pochi mesi fa con l’assunzione (si fa per dire!) di una ventina di operai provenienti dalla Polonia, i quali non godevano di giorni di riposo, erano costretti a “velar” (cioè a lavorare in notturno con turni massacranti), e percepivano salari molto inferiori a quelli “garantiti” ai proletari spagnoli.

Le proteste hanno visto più di 3000 lavoratori bloccare l’accesso a dipendenti e clienti del Corte Inglés (catena di grandi magazzini) e portare il traffico al collasso nelle strade del centro dopo 5 giorni di sciopero ad oltranza (EuropaPress, 9/5). Il giorno seguente, l’accesso alla città è stato bloccato e la fila sull’autostrada Vigo-La Coruña ha raggiunto i 6 km., mentre nel centro sono state create barricate con più di 200 cassonetti incendiati e il rovesciamento di grossi contenitori di schiuma, con la distruzione dei radar del tunnel stradale, dei semafori e delle telecamere. Da non dimenticare il blocco ai cancelli dell’industria automobilistica PSA Peugeot-Citröen durante un cambio turno, che ha impedito che la fabbrica completasse la produzione di più di 100 autoveicoli.

Il gruppo parlamentare di Izquierda Unida ha subito colto l’occasione per cercare di convocare un tavolo di trattative con i lavoratori, i sindacati e il Ministro del lavoro, in pieno stile democratoide e di collaborazione di classe, al fine di mettere il bavaglio a un proletariato che inizia a manifestare nervosismo e non crede più alle promesse fasulle che vengono proposte puntualmente da più di un anno. Di fatto, non appena il Gobierno central ha affermato di essere "consapevole della gravità sociale che si può creare a Vigo se si radicalizza il conflitto”, gli operai sono entrati nel palazzo municipale della Xunta de Galicia, obbligando i funzionari a fuggire, lanciando dalle finestre mobili, schedari e suppellettili (compresa una bandiera della Spagna), bruciando migliaia di documenti negli archivi (multe incluse), al grido unanime di "a partire da questo momento tutto è giustificato purché si agisca collettivamente" (El Norte de Castilla).

Le negoziazioni sulla pelle degli operai sembrano non avere futuro, giacché il contratto collettivo firmato da più di un anno (oltre 40 mila operai) non è stato ancora applicato e non sembra possa esserlo in futuro. La prospettiva è quella della deslocalización, il trasferimento delle industrie dove la manodopera costa un quinto. Di conseguenza, tutti sanno che la “trattativa risulta bloccata” (EuropaPress, 15/5) e che non si vedono soluzioni a breve, anche se ovviamente tutti i partiti politici e le parti sociali cercheranno di buttare acqua sul fuoco, abbindolando per l’ennesima volta i lavoratori: i quali, in mancanza del Partito rivoluzionario che possa organizzarli e guidarli, rischieranno di perdere presto la bussola della via rivoluzionaria nella lotta di classe.

Ora le autorità procederanno a identificazioni e arresti (alcuni sono già avvenuti, nonostante la maggior parte dei manifestanti agisse con viso coperto), anche se hanno assicurato che tali vicende non influiranno sul processo di mediazione fra le parti. Ciò avverrà soprattutto grazie alla partecipazione più decisa dei sindacati, veri magnaccia del sistema, che provvederanno a convocare un tavolo con gli impresari (i quali continuano a negare la loro disponibilità al dialogo, poiché ritengono che per reggere la concorrenza l’unica carta da giocare sia quella della deslocalización) e con il ministro dell’Industria, Joan Clos, accompagnato dal candidato socialista della giunta comunale: tutti propensi a dare buone dosi di “calmanti” (=promesse campate per aria) agli insorti di Vigo. Lo stesso presidente dell’acciaieria ha confessato alla stampa che è stato necessario “firmare l’accordo perché dovevamo trovare una via d’uscita, ma lo stesso accordo non ha alcun contenuto" (Faro de Vigo, 24/05). Il conflitto dunque è solo rinviato a un futuro non troppo lontano.

I sindacati, specie l’UGT e CCOO, hanno subito posto in risalto i danni all’economia e i problemi creati ai cittadini, e ha fatto loro eco José María Hidalgo, portavoce e presidente dell’Asime (industria navale), il quale ha dichiarato che “il danno all’immagine industriale di Vigo è ormai irrecuperabile e devastante” e che “molti contratti per il futuro sono andati persi per sempre, tanto da obbligare molti armatori a portare l’attività altrove” (La voz de Galicia, 22/05). Dunque, la situazione è andata aggravandosi, fino a quando Corina Porro, sindaco di Vigo, ha convocato la stampa al fine di sollecitare l’intervento del delegato del governo. Le sue parole – “E’ loro diritto protestare, ma pacificamente” (Faro de Vigo, 16/05/07) – hanno subito messo in luce la necessità di ricondurre lo sciopero entro i limiti della legalità borghese. Insomma, il richiamo unanime a risolvere la questione in modo democratico, rispettando la pace sociale, attraverso il dialogo e la mediazione e con un bel bavaglio sulla bocca degli operai.

Vigo è sempre stata una città di lotte operaie: ma di questa portata non se ne verificavano da un quindicennio (nel 1991, lo sciopero durò 21 giorni). In tali condizioni, il delegato del governo ha deciso l’invio di poliziotti a sufficienza per “controllare” i manifestanti, premettendo che la presenza delle forze dell’ordine era finalizzata alla... protezione dei cittadini e alla sicurezza stradale e non era una sfida nei confronti degli scioperanti, nel timore (!) di trasformare lo sciopero in una battaglia campale fra polizia e più di 5000 manifestanti (La Voz de Galicia, 16/05). Da parte loro, per recuperare il “tempo perduto”, gli impresari della cantieristica hanno inoltre proposto di impiegare nei prossimi mesi 3000 lavoratori – polacchi, turchi e rumeni – dimenticando che nelle liste degli uffici di collocamento vi sono parecchi cittadini spagnoli in attesa di essere assunti e rendendo così manifesta la loro idea originaria di assumere manovalanza a basso costo. 

Attenuatasi la situazione di conflitto nelle acciaierie, con la promessa di convertire i contratti a tempo indeterminato fino a raggiungere almeno la soglia del 50%, il sindacato nazionalista CIG ha convocato in solitario uno sciopero di 45 mila lavoratori dell’edilizia, settore nel quale ha regnato una lunga pace sociale (ben 15 anni senza uno sciopero!). Dopo la crisi nella cantieristica navale, l’agitazione si è così spostata verso un altro settore importante, con un’adesione massiccia che ha bloccato il lavoro nella quasi totalità dei cantieri sia a Vigo che a Pontevedra (La Voz de Galicia, 24/05/2007). È chiaro che alla base di questo sciopero pilotato dal CIG non vi sono rivendicazioni di classe, ma semplicemente un’azione politica con fini ed interessi borghesi. Tuttavia, l’azione di protesta è stata intrapresa dagli operai (blocco del centro della città, problemi al traffico, danni per diverse migliaia di euro) per ribadire che, nonostante l’edilizia rappresenti il settore trainante dell’economia spagnola, tale ricchezza non si trasforma certo in un aumento salariale a favore dei lavoratori (El Correo Gallego, 23/05). Ora i lavoratori chiedono una giornata lavorativa che vada dalle 7 alle 15, specie durante i mesi estivi; e il rispetto del contratto nazionale con un aumento salariale e un minimo per tutti i lavoratori del settore, compresi i lavoratori stranieri, che invece sono sempre assunti in nero e con stipendi da fame.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2007)

 

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