Nel ripubblicare gli statuti del Partito Comunista d'Italia, 1921, nel n. 13 del 1949 di quello che allora era il nostro quindicinale, “Battaglia Comunista”, fu premessa questa breve ed incisiva sintesi intesa a ribadirne il carattere strumentale, ad inquadrarli in una più precisa visione dei rapporti interni che, di natura squisitamente dialettica, caratterizzano il partito rivoluzionario di classe.

Organo, strumento, arma, non solo e proprio perché “raggruppamento d'avanguardia” della nostra classe, il Partito Comunista lavora mettendo in pratica il difficile e quanto mai necessario principio del centralismo organico.

Esista o meno un regolamento codificato (che in ogni caso non avrà mai carattere definitivo e assoluto) è necessario che a tutti i militanti siano sempre ben presenti e chiari i criteri che, invarianti perché presupposti al buon funzionamento dell'organizzazione nello spazio e nel tempo, pervadono e impegnano tutti i suoi organi, la sua rete, le sue funzioni dalla cui integrazione ottimale dipende la sua stessa ragione di esistenza: la preparazione della nostra classe alla rivoluzione, la guida della nostra classe nel movimento rivoluzionario che abbatte lo Stato borghese,  la direzione della nostra classe nella sua organizzazione in classe dominante nel processo di socializzazione non solo della produzione, ma della ripartizione, della distribuzione e del consumo della ricchezza prodotta dalle capacità produttive e riproduttive degli esseri umani.

Ripubblichiamo questo breve testo per precisare, dunque, un punto fondamentale che ci distingue nel nostro lavoro di ripristino dell'organo fondamentale di classe.

Lo Statuto e i Regolamenti del Partito e delle sue Federazioni e Sezioni costituiscono l'insieme praticamente indispensabile delle norme costanti di funzionamento di collegamento e di corrispondenza che reggono la vita dell'organizzazione. Rispetto alle finalità storiche e sociali del Partito hanno un semplice carattere strumentale e di mezzo. Nel fissarle ed eventualmente modificarle non ha nessun senso far ricorso alle normative analoghe di altri organismi come quello dello dello Stato o dei parlamenti democratici, non esistendo, per la concezione propria del Partito Comunista, principi e criteri costituzionali fondamentali comuni e sovrastanti alle diverse classi sociali e ai loro compiti di lotta nelle successive fasi storiche.

Il partito non è un cumulo bruto di granelli equivalenti tra di loro, ma un organismo reale suscitato dalle determinanti e dalle esigenze sociali e storiche con reti, organi e centri differenziati per l'adempimento dei diversi compiti. Il buon rapporto tra tali esigenze reali e la migliore funzione conduce alla buona organizzazione e non viceversa.

Per conseguenza l'adozione o l'impiego generale o parziale del criterio di consultazione e deliberazione a base numerica e maggioritaria, quando sancito (come nel 1921) negli statuti o nella prassi tecnica, ha un carattere di mezzo o espediente, non un carattere di principio.

Le basi dell'organizzazione del Partito non possono dunque risalire a canoni propri di altre classi e di altre dominazioni storiche, come la obbedienza gerarchica dei gregari ai capi di vario grado tratta dagli organismi militari o teocratici pre-borghesi, o la sovranità astratta degli elettori di base delegata ad assemblee rappresentative e comitati esecutivi, propri della finzione giuridica caratteristica del mondo capitalistico; essendo la critica e l'abbattimento di tali organizzazioni compito essenziale della rivoluzione proletaria e comunista.

Il giusto rapporto nella loro funzione tra gli organi centrali e quelli periferici del movimento non si basa su schemi costituzionali ma su tutto lo svolgersi dialettico della lotta storica della classe operaia contro il capitalismo.

Base fondamentale di tali rapporti è da una parte il continuo ininterrotto e coerente svolgimento della teoria del partito come valutazione dello svolgersi della società presente e come definizione dei compiti della classe che lotta per abbatterla, dall'altra il legame internazionale tra i proletari rivoluzionari di tutti i paesi, comunità di scopo e di combattimento.

Le forze di periferia del partito e tutti i suoi aderenti sono tenuti nella pratica del movimento a non prendere di loro iniziativa locale e contingente decisioni di azione che non provengano dagli organi centrali e a non dare ai problemi tattici soluzioni diverse da quelle sostenute da tutto il partito. Corrispondentemente gli organi direttivi e centrali non possono né debbono nelle loro decisioni e comunicazioni valide per tutto il partito, abbandonarne i principi teorici né modificare i mezzi di azione tattica nemmeno col motivo che le situazioni abbiano presentato fatti inattesi o non preveduti nelle prospettive del partito.

Nel difetto di questi due processi reciproci e complementari non valgono risorse statutarie ma si determinano le crisi di cui la storia del movimento proletario offre non pochi esempi.

Per conseguenza il partito, mentre chiede la partecipazione di tutti i suoi aderenti al continuo processo di elaborazione che consiste nell'analisi degli avvenimenti e dei fatti sociali e nella precisazione dei compiti e metodi di azione più appropriati, e realizza tale partecipazione nei modi più adatti sia con organi specifici che con le generali periodiche consultazioni, non consente assolutamente che nel suo seno gruppi di aderenti possano riunirsi in organizzazioni e frazioni distinte e svolgano la loro opera di studio e di contributo secondo reti di collegamento e di corrispondenza e di divulgazione interna ed esterna comunque diverse da quella unitaria del partito.

Il partito considera il formarsi di frazioni e la lotta tra le stesse nel seno di una organizzazione politica come un processo storico che i comunisti hanno trovato utile ed applicato quando si era verificata una irrimediabile degenerazione dei vecchi partiti e delle loro dirigenze ed era venuto a mancare una partito avente i caratteri e la funzioni rivoluzionarie. Quando tale partito si è formato ed agisce, esso non contiene nel suo seno frazioni ideologicamente divise e tanto meno organizzate, non ammette che adesioni individuali attraverso le formazioni di base, e non applica il metodo di formare proprie organizzazioni palesi ed occulte nel seno di altri partiti politici, considerando tutte queste situazioni come patologiche e contraddicenti al carattere di stretta unità della lotta comunista.

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