Il letargico sensorio delle anime belle del sinistrato sinistrismo nostrano è stato bruscamente stimolato dai risultati della tornata elettorale del 25 settembre 2022 che hanno confermato quanto pronosticato dai migliori istituti demoscopici (a tanto è ormai ridotto il rito del suffragio universale!): la ascesa alle somme cadreghe istituzionali della vittoriosa compagine destrorsa guidata col polso gentile e fermissimo della prima Primo ministro Giorgia Meloni... Accidenti! Proprio nel centenario della mussoliniana marcia su Roma, la Repubblica-Nata-Dalla-Resistenza con la Costituzione-Più-Democratica-E-Bella-Del-Mondo viene ora condotta da una rampante quarantenne, politicamente discendente, erede ed esecutrice testamentaria del fondatore dei Fasci di Combattimento.

Naturalmente, proprio perché bisnipote di Sua Eccellenza Il Cavaliere Benito Mussolini, ne ha ereditato l'attitudine al rinnovamento (1) e, essendo ben più furba (si sa, le signore hanno una marcia in più rispetto a quegli eterni bambinoni dei maschietti), del suo collega di partito (“camerata” ormai si usa ancor meno di “compagno”) alla Presidenza del Senato, non ostenta una collezione di cimeli e reperti storici. Non solo: cerca di dimostrare di aver ben assimilato la lezione ed esibisce invece la presa di distanza dal Ventennio, con la rituale condanna delle Leggi Razziali, relegandolo nel disgraziato angolo dei “totalitarismi del ventesimo secolo”.

Ma per le anime belle, non sufficit! E all'improvviso ci si ricorda che quel disgraziato di Adolfo Hitler divenne Cancelliere a suon di suffragi... Insomma, sebbene con un allarme tutto sommato minore rispetto a quello del lontano 1994, quando per la prima volta ma in posizione subordinata la destra entrò col Gabinetto Berlusconi nella stanza dei bottoni, viene evocato il fantasma del “pericolo fascista”.

Fermo restando che l'unico spettro che incute terrore alle anime belle è quello del movimento che, con il vigore della nostra classe che diventa classe dominante, cambia lo stato di cose esistente e travolge tutti i ben mantenuti sostenitori della dittatura borghese, maschi e femmine, democratici e autoritari, laici e religiosi, fascisti e antifascisti, riportiamo (con qualche limatura qui e là) le conclusioni di quel che già affermammo ben venticinque anni fa (2).

“A questo punto c'è poco da aggiungere sulle formali differenze tra fascismo e democrazia. Il proclamato pluripartitismo si riduce a elemento puramente mistificatorio. Tutti i partiti presenti nell'arena borghese si richiamano agli stessi principi liberal-social-democratici, e le differenze tra partiti sono di dettaglio, al di là delle sparate propagandistiche ed elettorali dei candidati. Si può, perciò, parlare di partito unico borghese diviso in diverse correnti, litigiosissime tra loro, ma ben concordi tutte nel sacro rispetto dei valori borghesi della nazione (quella che si fa chiamare ‘patria’ quando ti manda in guerra), della proprietà capitalista e della divisione sociale del lavoro (lavoro salariato e monopolio dei mezzi di produzione e dei prodotti), della famiglia (più o meno allargata, etero o omosessuale), del rispetto delle alleanze internazionali (finché la necessità del proprio tornaconto non rende necessario un nuovo schieramento per stabilire nuovi rapporti di forza). Che dire poi delle ‘sacre libertà borghesi’? La libertà di stampa e la libertà di manifestazione del pensiero, a che cosa sono ridotte quando i capitali richiesti per l'apertura di un qualsiasi mezzo di diffusione di massa sono tali che solo ristretti gruppi di imprenditori o lo Stato possono accedervi?  [E ora? Nell'era dei social media in cui la libertà di espressione sembra essere alla portata di un Tweet, essa è ridotta a un qualcosa di sfruttabile come merce e come mezzo di controllo sociale!]. Tutto ciò non fa che confermare quanto constatammo alla fine del secondo macello inter-imperialista: la guerra in corso è stata perduta dai fascisti, ma vinta dal fascismo. Il che vale a dire che il sistema reale di potere instauratosi nel secondo dopoguerra è inequivocabilmente fascista. Comprendere come sia avvenuto è possibile solo con il ricorso alla analisi del divenire sociale proprio della dialettica storica materialista. Secondo questa linea di forza della critica comunista, i rapporti economici e di produzione sono la causa, la base, da cui si sviluppano i rapporti politici e tutta la sovrastruttura di opinioni e di ideologie nelle diverse epoche e nei diversi tipi di società. E' dal fenomeno economico del capitalismo monopolistico e imperialistico, analizzato e descritto da Lenin in L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, che emerge la fase del mondo moderno tendente a sostituire il liberalismo classico con nuove strutture politiche totalitarie e fasciste. Il capitalismo monopolistico, infatti, ha bisogno di un apparato statale corrispondente alle sue esigenze, e la forma dello Stato minimo e delle massime libertà individuali (cardini del pensiero liberale) ha dovuto cedere il passo a una forma politica tale da venire incontro all'accresciuta necessità della regolazione dei fenomeni economici e finanziari.

“In tutti i regimi odierni, troviamo un livello totalizzante di intervento dello Stato, un inserimento del sindacato nel meccanismo di funzionamento dello Stato parallelo al totale svuotamento di ogni sua autonomia classista, l'esistenza di misure di assistenza e previdenza per i lavoratori unite all'uso sistematico di un fenomenale apparato di propaganda di massa: cioè tutto quanto è stato sperimentato con successo per la prima volta nell'Italia fascista e nella Germania nazista. In questo senso, si può quindi dire che è fuori luogo parlare di un ‘pericolo fascista’: il fascismo come sistema di potere totalizzante del capitalismo dell'epoca imperialista è già presente, e non da oggi, né solo in Italia. E' possibile però parlare di ‘pericolo fascista’ intendendo per ‘fascismo ‘un regime di aperto terrorismo di Stato, di esplicita messa fuori legge di qualsiasi organizzazione proletaria, ecc.? Per rispondere a questa domanda, è bene chiarire che il terrore, la repressione, e in generale la violenza di classe si esercitano in contesti in cui la classe dominata alza la testa e si ribella al suo destino di classe sfruttata. In Italia, negli anni venti del ‘900, la terribile situazione della crisi successiva alla Prima guerra mondiale, si era associata a fortissimi contrasti di classe che avevano messo in pericolo la stabilità del dominio borghese. Il terrorismo di Stato utilizzato dai fascisti dopo la presa del potere completò l'opera delle squadracce nere. L'esperienza storica dimostra che, al contrario, quando il proletariato si allontana dal suo obiettivo storico e vive solo come classe per il capitale, quando cioè la lotta realmente classista viene messa ai margini, lo Stato preferisce usare la carota della tolleranza avvalendosi di una repressione di tipo preventivo piuttosto che di una repressione di tipo militare. Non va però dimenticato che in periodi più caldi di lotte anche solo economiche ogni Stato democratico non ha mai disdegnato l'uso della forza più brutale: le pallottole degli sbirri democratici in Italia, ad esempio, hanno lasciato sul terreno decine di proletari dal secondo dopoguerra agli anni ’70 del ‘900. Se questi fatti oggi si verificano raramente, non è perché lo Stato borghese sia diventato più tollerante, ma perché scioperi e manifestazioni di piazza sono rari e, in generale, sono controllati dai bonzi sindacali; si svolgono, perciò, normalmente in modo ordinato, pacifico e civile”.

E' certo che se il proletariato ricomincerà a lottare per contenuti e con metodi classisti, non tarderà a ricomparire la democratica repressione dello Stato democratico. Parimenti, è certo che se il proletariato riprenderà la sua via rivoluzionaria, guidato dal suo Partito verso la conquista del potere, rispunteranno i mazzieri, non importa se nella tradizionale camicia nera, bruna o di altro innovativo colore, a tentare (affiancati da, e affiancanti, le istituzionali forze dell'ordine democratico) di sbarrargli la strada, e verrà fuori un nuovo governo forte, tecnico, istituzionale guidato dal più opportuno e adatto ai tempi “uomo (o donna, per seguir la moda delle pari opportunità) della provvidenza”.

I proletari, quindi, devono arrivare preparati per tempo a questa nuova prospettiva, combattendo – con pari determinazione e con le armi più adatte – fascisti e democratici. Ricominciando a lottare con vigore e fermezza per la distruzione del sistema di sfruttamento che produce fascismo e democrazia: il sistema capitalistico. Potranno però riuscirci solo se le loro avanguardie raggiungeranno e rafforzeranno quel Partito Comunista (al cui restauro lavora Il Partito Comunista Internazionale - Il Programma Comunista) che, in una lotta tenace e univoca di organizzazione, tattica, programma, principi, teoria, ha combattuto senza tregua lo Stato borghese in ogni suo organamento, compresi tutti i suoi manutengoli riformisti.

NOTE

  1. . A differenza del P.C.I., i cui dirigenti hanno aspettato la conclusione della “guerra fredda” per cominciare a cambiare nome e abbandonare simboli e bandiere ormai per loro privi di senso, per approdare al Partito Democratico, i nostri “camerati” han cominciato dagli anni ’70 l'operazione di necessario maquillage, per omologarsi al mainstream della Repubblica: prima, fagocitando le briciole del Partito Monarchico (MSI-Destra Nazionale); poi, con lo strappo di Fiuggi (Alleanza Nazionale); per approdare infine nell'ecumenico e risorgimentale Fratelli d'Italia.
  2. . L'intero articolo “Esiste oggi in Italia un pericolo fascista?” si può leggere per intero nel Supplemento al 5/1995 de Il Programma Comunista.
  3. . L’articolo citato e che abbiamo riportato in parte è del 1995. Da allora a oggi, il singhiozzante procedere della crisi ha cominciato a generare qualche esplosione di lotta sociale. Opposizioni alle devastazioni dei territori e ad altri scempi ambientali, occupazioni di stabili vuoti e abbandonati a scopi abitativi o sociali, manifestazioni massicce e potenzialmente combattive ai vari “Vertici dei potenti della Terra” e, soprattutto, la stagione delle lotte di difesa economica dei facchini della logistica, fuori e contro i sindacati tricolore, organizzate (con tutti i loro pregi e difetti) dai vecchi combattenti sindacali del S.I. Cobas... E la repressione democratica non si è fatta attendere: Genova 2001, con un morto e prove tecniche di massacri, carcerazioni e torture, norme che considerano gli scempi dei territori come “opere di interesse strategico nazionale” (per cui ogni opposizione che non sia un piagnisteo diventa un attentato, e ogni sassata od ogni petardo costano mesi e anni di carcerazione, a cui si estendono i... benefici del 41bis: così, oggi in Italia, abbiamo una decina di anarchici e anarcoidi che sono a tutti gli effetti dei detenuti politici, fatti passare come delinquenti comuni), legislazione sempre più vessatoria contenuta nei vari decreti e regolamenti “anti-immigrati” di Salvini & Co., in perfetta continuità con il Codice Rocco (partorito nel consolidamento del regime fascista, ma concepito negli agitati anni del biennio rosso 1918-20) e con la legislazione “antiterrorista” e “preventiva” di Cossiga (plaudente il PCI Pecchioli) per controllare scioperi e lotte... E soprattutto repressione aperta e spietata dei picchetti culminata con la morte di un militante sindacale e con le decine di procedimenti penali a carico di lavoratori e solidali.
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