(r.g.) […] Quando mai in Russia c’è stato “il comunismo”? Dove i nostri detrattori borghesi e socialdemocratici hanno mai letto che in Russia è applicata la economia comunista? Mussolini ed i socialdemocratici spifferano ogni giorno di conoscere le dottrine marxiste, e non sanno “che la conquista violenta (attraverso la insurrezione armata del proletariato) dello Stato borghese, è la premessa indispensabile per iniziare gradualmente (ecco il gradualismo marxistico a che punto entra in scena) l’avviamento alle socializzazioni e, quindi, al comunismo”. Noi diciamo che lo Stato russo è proletario e comunista perché effettivamente gli organi dello Stato russo sono nelle mani dei proletari e dei comunisti. Questo possesso è la garanzia che il potere dei contadini e degli operai non fallirà ai suoi compiti.

Dire, dunque, che il bolscevismo è fallito, vuol dire riaffermare ancora la ignoranza della dottrina comunista, vuol dire “farsi un comunismo per proprio uso e consumo”, un “comunismo” la cui applicazione coincide con la insurrezione delle masse operaie e contadine, concetto simpaticamente anarchico che non raramente noi vediamo accettato a scopo polemico anche dai nostri avversari democratici e socialdemocratici.

Per sostenere con approssimativa veridicità il fallimento del bolscevismo occorrerebbe che i comunisti russi convocassero la Costituente e distruggessero i Soviet. In questo momento i comunisti russi dovrebbero dichiarare il fallimento: ma neppure questa volta il fallito sarebbe “il comunismo”.

Un tale evento direbbe che la rivoluzione proletaria è “rinviata”.

Ma il can can sollevato in coincidenza della Conferenza di Genova per riaffermare la centesima volta che il comunismo è fallito, che i comunisti russi “rinsaviscono” e che – quindi – i comunisti italiani sono dei volgari malfattori perché insistono, ciononostante, a far propaganda rivoluzionaria e comunista, ha tutta l’aria di una manovra per nascondere che il vero fallito in tutta questa faccenda è il capitalismo, per cercare di far dimenticare che sono stati gli Stati borghesi a chiamare a Genova la Russia, e non per pietà verso il povero comunismo morente, ma perché senza la Russia non si tenta neppure una politica di riassetto dell’economia degli Stati borghesi.

Un’altra volta abbiamo detto che la Russia sa di non essere vittoriosa per il fatto che le è concesso di venire in Riviera, in questa primavera, a prendere il sole italiano assieme a Lloyd George, a Barthou ed all’aggregato Facta. La rivoluzione è in una tappa del suo cammino. Noi d’occidente soltanto, il proletariato comunista ed i contadini, possiamo stabilire la durata di questa tappa. La vittoria della Russia è nel consolidamento politico dello Stato e nel riconoscimento che gli Stati borghesi sono costretti a compiere di questo consolidarsi. È evidente che i comunisti ed il proletariato rivoluzionario di tutti i paesi si sentano più forti per il fatto che lo Stato russo è in piedi. È pure evidentissimo che il Governo russo faccia la sua politica di transigenza “perché sa” di essere sostenuto dal proletariato rivoluzionario di tutto il mondo che non ha potuto ancora compiere la rivoluzione nei vari paesi.

Ma noi (e non a scopo polemico) siamo disposti a sentirci dire che abbiamo fatto fallimento come i compagni russi, dai nostrani e stranieri Baldesi e Mussolini, se ciò fa piacere costoro; nel giorno successivo alla presa di possesso del potere statale dei paesi d’occidente, da parte degli operai, dei contadini e dei soldati.

Giacché (i nostri avversari lo avranno compreso da tempo) noi tendiamo a ripetere anche sulla pelle della borghesia occidentale quello che da essa fu chiamato l’“esperimento comunista”. In un tal giorno i patti di Genova saranno stracciati!

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