I leaders mondiali convenuti il 17-20 gennaio 2017 al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, hanno intonato un inno alla globalizzazione. Di fronte al protezionismo sbandierato ed esibito nei giorni dell’insediamento del neo-Presidente Trump (“America First!”), il coro sulla “libertà dei mercati e dei commerci internazionali” e le lodi alla “democrazia economica” si sono alzati in volo, ed è stata scagliata una vera e propria scomunica nei confronti del protezionismo. Perché? L’economista Nouriel Roubini e il Nobel Joseph Stigliz hanno affermato a gran voce che il protezionismo “scatenerà guerre commerciali”; che il mondo chiuso in sé stesso sarà “pericoloso”; che “il deficit commerciale procurerà una perdita di migliaia di posti di lavoro”; che “nessuno uscirà vincitore da una tale guerra”. Come se, in questi anni di crisi, i proletari del mondo e i senza riserve greci, spagnoli, portoghesi, italiani, additati come parassiti nell’Europa del libero scambio. Chi ricorda più il pellegrinaggio ad Atene dei contabili della Troika, dell’FMI, della BCE, mentre esplodevano le lotte, gli scontri, le decine di scioperi e di risposte di massa nelle strade e nelle piazze? La globalizzazione imperialista con la sua esaltazione del liberismo, abbattutasi come un uragano sul continente americano e sulla Cina non è stata l’espressione generale dell’attuale crisi economica mondiale? Tutto dimenticato? L’assenza di crescita, il crollo del Pil, le migrazioni gigantesche di popolazioni, la chiusura delle fabbriche, la crisi finanziaria, la deflazione, la riduzione della produttività, che da dieci anni scuotono il mondo, non ne sono i figli naturali? Qualunque sia la forma, liberista o protezionista, il pericolo per la classe proletaria è unicamente la permanenza del modo di produzione capitalistico mondiale.

Spiega il Presidente cinese Xi Jinping al World Economic Forum, di fronte al Gotha internazionale degli economisti e dei capi di stato: “Certo la globalizzazione ha creato molti problemi, ma non si può cancellarla ma adattarla alle nuove esigenze, piaccia o no. L’economia globale è l’enorme oceano dal quale nessuno può tirarsi fuori [intanto, in questo oceano continuano ad affogare migliaia di proletari!]. Da qui, signori, si sprigionerà un futuro mondiale più equo ed efficiente”. E per dare un assaggio del paradiso che ci attende dietro l’angolo, Xi ha annunciato l’arrivo di un nuovo sviluppo industriale e commerciale. Mettendosi alla testa delle nazioni che “investono sul futuro tecnologico per uscire dalla stagnazione secolare”, Xi ha reclamato “nuove regole” per il commercio globale, regole che in questi anni sono state frantumate invece d’essere consolidate (ben solide catene!). La campagna per far riconoscere la Cina come una “economia di mercato” nella WTO (World Trade Organization) la metterebbe ora, accusata di “aiuti di Stato e di manipolazione dei cambi”, al riparo da eventuali dazi americani. Da un lato, dunque, la Cina si presenta come la paladina del libero mercato, con la Banca dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), la banca dei Paesi emergenti alternativa al Fondo monetario internazionale, e con la “via della seta” che attraversa l’Asia con il grande progetto di gigantesche infrastrutture; dall’altro, gli Usa smantellano il trattato commerciale TPP (Trans Pacific Partnership), sospendono il Nafta (North American Free Trade Agreement) mettono in forse l’accordo euro-americano sul TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership, firmato nel febbraio 2016 e che coinvolge undici paesi ma non è ancora stato ufficialmente ratificato dai repubblicani), e si ripresentano così con la vecchia veste del protezionismo isolazionista. Che succede, dunque? Il grande Stato imperialista americano sente mancare il terreno sotto i piedi, mentre un nuovo protagonista svolazza nel cielo della scena economica?

Non è mancata all’appuntamento svizzero la direttrice del FMI Christine Lagarde, che ha rafforzato il discorso del Presidente cinese offrendogli un assist: “i mercati saturi ed emergenti contribuiscono alla crescita mondiale per l’80%”. Grandioso! Che in realtà vuol dire: la crescita globale è sotto il giogo del nostro Fondo Monetario e dei suoi immensi capitali. Non è mancato neppure l’appoggio del Presidente cinese all’accordo di Parigi sul clima: “un passo avanti magnifico che tutti dovrebbero rispettare!”, “dobbiamo assumere una grande responsabilità per le prossime generazioni”. Roba da ridere se non fosse che le campagne, le città, i fiumi della Cina sono diventati delle soffocanti fogne a cielo aperto! E Il Sole-24 ore del 18 gennaio scherza sui paradossi della storia: “Xi è divenuto il paladino del libero scambio, mentre l’amministrazione americana innalza la bandiera del protezionismo”.

La seconda giornata del Forum ha visto in scena i campioni europei: il ministro italiano Padoan, il Presidente dell’Eni, il commissario europeo Moscovici (ma anche l’onnipresente Stiglitz). Niente di che, solo le immancabili beghe europee: “Manca la visione, manca la carica vitale… se l’atteggiamento populista si afferma non possiamo più governare una società democratica” (ahi! ahi!). La crisi politica dell’Unione in tutte le sue varianti (ovest-est e nord-sud) continua a devastare il continente: “il riformismo europeo è fiaccato dalla disillusione delle classi medie che dicono no a qualsiasi proposta politica”. Da qui, il populismo e l’inevitabile frantumazione della cosiddetta Unione. Come rimettere, dunque, in sesto l’Europa Disunita e ricomporre i problemi delle migrazioni, del terrorismo, dei confini? A questo ci ha pensato il seminario che si è svolto nell’ambito del Forum. In poche parole: se il drago tedesco continuerà a vomitare l’immensa massa di merci prodotta dalla sua capacità produttiva e riceverà le materie prime ed energetiche dal suo partner orientale, se il protezionismo Usa si farà sentire in tutta la sua potenza militare e continuerà a star sul collo sfidando il suo concorrente, il nazionalismo tedesco che ancora sonnecchia, potrà presto levarsi in volo e sputare fuoco... All’orizzonte, appaiono gli orribili spettri del protezionismo: la lunghissima muraglia ai confini del Messico, i dazi crescenti sulle merci messicane, il controllo della massa di disperati che tenta di dilagare in California, l’immenso traffico di droga e la minaccia di un rinascente nazionalismo messicano... Manifestazioni su manifestazioni, donne, neri, latinos, mediorientali, giovani e anziani, a centinaia di migliaia scendono nelle strade d’America, fin dal giorno dell’insediamento di Trump. “Dove stiamo andando?”, si chiedono smarrite le classi medie. “Dove si sta andando?”, si chiedono gli occupati, i disoccupati, i precari, gli inattivi e i senza fissa dimora? La miseria crescente, la fine dell’assistenza ospedaliera già miserabile, la precarietà del lavoro, la mendicità, gli attacchi della polizia alla “gente di colore”, i controlli sociali, gli arresti e le carcerazioni, dove porteranno? Per non precipitare nel baratro, gli uomini di governo e i consiglieri consiglino al Presidente “serietà, razionalità e prudenza”...

Quanto alla Brexit, si raccomanda alla Gran Bretagna di “non imporre il controllo sui cittadini europei mentre pretende il suo accesso al mondo”, perché ne nascerebbe un putiferio gigantesco. Stiglitz interviene poi a sua volta, augurandosi che l’Europa esca dalla crisi, che torni alla crescita economica, ma soprattutto che rimanga “integro” nella vecchia Europa “il rispetto dei diritti umani” (sic!). Da parte sua, Moscovici ricorda che il 18% dei giovani in Europa è disoccupato e che raggiunge punte superiori al 50% in Spagna e Grecia e al 40 % in Italia: una situazione “inaccettabile” cui bisogna rispondere con… politiche di crescita. Poi, a gran voce: “la strada maestra è la cooperazione tra tutti gli Stati europei per superare le divergenze e trovare soluzioni condivise” Roba da venditori di fumo! Nel chiacchiericcio si inserisce ancora Christine Lagarde: “alle manifestazioni populiste, alla crisi delle classi medie bisogna dare delle risposte… Se i politici sono preoccupati dei flussi dei migranti e dei rifugiati, girare le spalle alla globalizzazione [ah, la ricetta miracolosa!] e non sostenere gli aiuti allo sviluppo è l’approccio sbagliato”. A riportare i relatori con i piedi per terra, ci pensa Joe Biden, ex vice-presidente degli Stati Uniti, che invita “l’Europa a stare unita, a cooperare con la Nato sui teatri del Baltico per fronteggiare i tentativi portati avanti dalla Russia di dividere l’Europa”.

La terza giornata del Forum è stata vissuta sotto il segno dello scontro serrato tra la Germania e il Regno Unito nei nomi di Theresa May (comica nipotina della Thatcher!) e Wolfgang Schäuble (dottor Stranamore!). La prima non ha trovato di meglio da dire che la Brexit rappresenta la liberazione da un mercato, quello europeo, tenuto stretto tra le maglie della rete teutonica, lasciando intendere che le vecchie pustole germano-britanniche possono riprendere a sanguinare. Da oggi in poi, le basse tasse, dice la May, attrarranno grandi investimenti nell’isola, il Regno Unito diventerà un vero paradiso fiscale a discapito dell’Unione Europea, il suo ruolo e la sua presenza nel mondo cresceranno a scala globale, i suoi accordi commerciali si estenderanno all’Europa e si spingeranno oltre l’Europa. E “Il futuro nel rapporto stretto con gli Usa sarà brillante”. La stupidità raggiunge il massimo livello quando la May afferma che la vera globalizzazione, il libero mercato e il libero commercio, si avranno solo se a risolvere le preoccupazioni del popolo britannico ci sarà la “politica di casa”. E qui i toni populisti alla Trump si uniscono a quelli della May nel grido appassionato “Make Britain Great Again!”: davvero una bella commedia inglese, piena di nostalgia per il mercantilismo e il colonialismo d’altri tempi! Ha poi dell’incredibile anche la dichiarazione del Ministro britannico del Commercio Liam Fox: la Brexit è la chiave della prosperità; oggi le consultazioni sono state avviate e tutti vogliono stabilire rapporti bilaterali con la Gran Bretagna... E giù un elenco infinito di partner. ”Il mondo con cui si possono fare affari là fuori è grande! Occorre rimuovere ogni barriera al commercio e agli investimenti e per farlo abbiamo bisogno della maggiore libertà possibile”. C’è da capire che razza di protezionismo la May intende praticare: uscire dal puzzle insolubile dell’Europa per finire nelle maglie dell’immensa rete Usa è solo cadere dalla padella nella brace. Ma tant’è! E, dopo il discorso della May, la notizia velenosa vola libera: la Hongkong & Shanghai Banking Corporation, la Hsbc, uno dei più grandi gruppi bancari del mondo, il primo istituto di credito europeo per capitalizzazione con 157,2 miliardi di euro, la cui sede si trova nei Docklands di Londra, si trasferisce a Parigi con il suo piano di ristrutturazione di un quinto dei ricavi del trading delle grandi banche e il licenziamento di un migliaio di effettivi. Fuori dunque dal multilateralismo, ma dentro uno status finanziario: poverissimo di manifattura, come nella costruzione di auto, ma sotto il completo controllo dei gruppi esteri. La farsa continua con nuovi protagonisti, i nazional-bottegai, l’olandese Rutte contro il tedesco Schulz: il primo fa il diavolo a quattro raccontando che l’Olanda continua a fare pesanti sacrifici mentre Francia e Italia non fanno le riforme promesse; il secondo, dall’alto della sua identità tedesca, rimprovera: “Bisogna finirla col creare un’atmosfera di conflitto tra i paesi, tra Nord e Sud Europa”.

La quarta giornata del Forum ha avuto luogo lo stesso giorno del giuramento di Trump. L’allarme sulle prospettive del commercio mondiale domina la platea con il “fantasma del protezionismo” sul palcoscenico. Inizia Christine Lagarde, annunciando le conseguenze nefaste che nascerebbero se si scatenasse una guerra al ribasso sulla riduzione delle tasse, sulle normative finanziarie e sul commercio. Il “cigno nero della crisi” si presenterebbe in piena luce in tutta la sua forza distruttiva: “le politiche protezionistiche potrebbero avere un impatto catastrofico sull’economia”. Segue il premio Nobel Angus Deaton: “Trump non è qualificato per essere presidente degli Stati Uniti. Molte persone perderanno l’assistenza sanitaria e ripercussioni ci saranno anche in Europa mentre i populismi inevitabilmente cresceranno”. Schäuble, il Ministro delle Finanze tedesco, si sorprende che Trump arrivi a danneggiare il libero commercio lasciando alla Cina il ruolo di difensore delle libertà: ma gli sfugge il disimpegno dalla Nato che Trump vorrebbe imporre agli alleati, obiettivo escluso dal segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jean Stoltenberg.

Gli unici in platea che non si sono scomposti per le posizioni protezionistiche sono i dirigenti delle imprese che vedono nella riduzione delle tasse un mezzo di stimolo per far partire gli investimenti. Con loro anche il capo della Blackrock, Larry Fink, il più grande gestore di fondi del mondo. La preoccupazione nasce dal fatto che vengono a scontrarsi nella presente situazione confusa l’innalzamento dei tassi d’interesse della Banca centrale e l’incombente pericolo derivante da un dollaro forte. Non è mancato il finanziere George Soros a tacciar Trump di “impostore, di imbroglione e di potenziale dittatore”. Ultimo della fila ancora Nouriel Roubini, preoccupato per le mosse di Trump verso il Messico e la Cina, che aggiunge: “A Davos abbiamo assistito al paradosso di un Presidente di un paese comunista alfiere del libero mercato e di un presidente Usa, la nazione più capitalista del mondo, diventare sostenitore di politiche protezionistiche”. E che conclude dicendo: “C’è il rischio della rinascita di una politica corporativa negli Usa come avvenne durante il fascismo in Italia e in Germania”.

Poi, si chiude: il Circo delle chiacchiere viene smontato e tutte le bestie tornano nelle loro gabbie… Ma nel cielo le nuvole della soluzione borghese della crisi, la guerra, si addensano.

Il movimento dell’imperialismo non può essere frenato né da barriere commerciali né da muri di confine. Può essere fermato, ma limitatamente nel tempo, dalle crisi di sovrapproduzione che seguono lo sviluppo parossistico del capitale. Solo una chiusura del potente flusso di merci, di capitali e di forza-lavoro potrebbe portare alla morte del capitale, ma questo blocco può essere imposto unicamente dalla dittatura del proletariato. L’obiettivo dello Stato borghese è quello di spingere l’immensa collettività proletaria verso lo sforzo bellico nazionale, recintarne la forza, tenerla sotto assedio, impedirne il disfattismo sociale e politico. La lotta di classe non dipende dalla forma, liberista o protezionista, che assume il capitalismo.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

 

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