Un nostro giudizio sulle esplosioni di esasperata e inconcludente disperazione delle svariate categorie che hanno messo in piedi il cosiddetto “movimento dei forconi” lo avevamo già anticipato nell'articolo ‘Forconi’ e lotta di classe (n.2/2012 di questo giornale).

Ora che lo stagno delle mezze classi è ritornato alla consueta calma dopo che il sasso è andato a fondo, è divertente tornare sugli schiamazzi di quelle bestiole, agitate, nel loro letargico attivismo, dalle veloci e rumorose ondine di questo improvviso, ma non certo imprevedibile, sciabordio. Lasciamo naturalmente perdere la cassa di risonanza offerta dal variegato mondo delle Istituzioni che avrebbero dovuto essere l'obiettivo dei nostrani rivoltanti rivoltosi. Mezzi di comunicazione di massa, partiti, sindacati, associazioni di categoria, la rinnovanda chiesa francescana, hanno seguito e ammonito con timoroso affetto questo “movimento”, ben consapevoli che il suo altisonante ringhioso motto “mandiamoli tutti a casa” (con l'inconcludente “A Roma! A Roma!”) è solo una verbosa richiesta alle Istituzioni medesime di una sistemazione, di una soluzione ragionevole dei loro problemi. Lor Signori sanno, come intelligenti curati di campagna, che le imprecazioni e le bestemmie dei villani non sono altro che preghiere gridate, un tentativo di farsi ascoltare di più da divinità considerate dure d'orecchio. I loro problemi? Sono problemi di cui soffrono gli effetti, senza poterne vedere le radici nelle contraddizioni di questo modo di produzione, di cui loro stessi – come ceti e categorie – sono, appunto, un effetto, un prodotto.

Le Istituzioni, dunque, fanno il loro mestiere, minacciandosi l'un l'altra, ammonendosi, rilanciandosi responsabilità, scambiandosi accuse, ma soprattutto dividendosi il compito di assorbire il colpo ridistribuendo, a suon di emendamenti alle varie leggi, leggine, regolamenti che dovrebbero “tagliare” la spesa pubblica, quel poco di mancia che permette ai loro clienti di sopravvivere un altro anno. Insomma, hanno lasciato sgroppare il cavallo, ben sapendo che dopo essersi rumorosamente sgasato scalciando a vuoto in aria, quello torna alla necessaria greppia, più o meno vuota che sia.

Noi non degniamo di uno sguardo neanche i più quotati potenziali “cavalcatori” di questo immaturo cavallino: il lugubre arcipelago del neo-nazifascismo contemporaneo, con il suo banale, scontato, privo di fantasia, comunitarismo nazionalista, fatto di antisemitismo, tricolore, protezionismo, egoistica cattiveria. Basta ricordare in proposito il riflesso condizionato che esso evoca nella canea dei “sinceri democratici” ogni loro ingresso in scena: anche in quest'ultimo dicembre abbiamo assistito alle contromanifestazioni targate ANPI (e, per capirci un po' di più, meglio sarebbe leggere o rileggere il nostro articolo “Esiste oggi un pericolo fascista?”, sul n.1/1995 di questo giornale, dove la questione è chiarita una volta di più e una volta per tutte).

Molto più divertente è leggiucchiare i commenti di quel che rimane del riformismo radicale, l'estrema sinistra borghese che si pensa “movimento antagonista”. Usiamo a questo proposito, come riferimento e modello, un volantino diffuso da “Sinistra Anticapitalista Comunista e rivoluzionaria, per una società ecosocialista, femminista e libertaria”. Dopo un'introduzione che proclama “stiamo entrando in una nuova fase della crisi economica e sociale nel nostro [???] paese”, si spiega, in una succinta (d'altronde si tratta di un volantino) analisi che riassume l'ignoranza socialdemocratica delle leggi generali di funzionamento del modo di produzione capitalistico: “In realtà, la crisi economica e le politiche di austerità portate avanti dai governi che si sono succeduti, da anni massacrano in primo luogo e soprattutto le lavoratrici e i lavoratori dipendenti, privati e pubblici colpiti nel salario, nell'occupazione, nella distruzione dei posti di lavoro e dello stato sociale. Tutti 'sacrifici' continuamente richiesti dalle politiche liberiste per garantire il trasferimento di ricchezza verso la grande borghesia che è classe dominante e che sapeva bene che questa operazione avrebbe poi coinvolto anche gli strati della piccola borghesia attraverso il drastico crollo dei consumi.”

Ora, attenzione ai concetti-chiave, che ricorrono, con sfumature e accenti diversi, anche negli altri volantini e comunicati che abbiamo avuto tra le mani in queste ultime settimane (1). La crisi economica è presentata come un evento metafisico: compare senza una logica (ovviamente, non pretendiamo una dialettica!) e si accompagna con il cosiddetto liberismo e le politiche di austerità che ne diventano la... vera causa. Esiste una grande borghesia che è “classe dominante” (da sola?), in grado di usare lo Stato per arricchirsi usando le politiche liberiste al fine di drenare verso di sé ricchezza (che non si capisce da dove venga). Lo Stato, identificato con il governo, è uno strumento di per sé neutro: può appunto essere usato dalla Grande Borghesia Egoista (governanti cattivi) o dall'Unione Di Tutti Gli Altri In Nome Del Bene Comune (governanti buoni). In quest'ultimo caso, lo Stato, ridotto a strumento di governo, crea e favorisce lo Stato Sociale, che invece redistribuisce “ricchezza”, mantenendo almeno costante la capacità di spesa delle lavoratrici e dei lavoratori che, a sua volta, alimenta la piccola borghesia...

Il volantino prosegue poi con una descrizione più allarmata di critica delle posizioni della cosiddetta “destra” impegnata a intercettare il malcontento di questi ceti in movimento. Una descrizione che trasuda moralismo e luoghi comuni, come il connubio tra destra sociale, borghesia reazionaria e organizzazioni sindacali dei gendarmi, per sfociare, tanto per cambiare, nel consueto antifascismo di maniera: “E' fin troppo chiaro che queste classi sociali in via di impoverimento […] e la gran massa dei disoccupati possano divenire, in assenza di un forte movimento di massa e di lotta della classe lavoratrice, la base di massa di forze ultrareazionarie e fasciste”.

Se dunque queste sono le paure e le superficiali analisi, la risposta non può che mantenersi entro le baggianate da Fronte Popolare, che riuniscono le particolarità e i corporativismi di movimenti tanto “radicali” quanto sottomessi all'utopismo democratico: “Per rispondere positivamente a quanto sta avvenendo, è necessario costruire dei momenti di lotta su obbiettivi chiari come la difesa del reddito, dell'occupazione, del diritto alla casa, della difesa dell'ambiente a partire da quei movimenti che già esistono come il NO TAV...”

Insomma, siamo sempre lì: tutti gli uomini (e le donne! giammai passar per sessisti) di buona volontà, uniti e compatti con una bella scheda elettorale, a legittimare il governo che realizzerà la Gerusalemme Terrestre dello Stato Sociale. Che alle urne si vada con una propria sigla o che si appoggi Tizio o Caio, oppure che ci si arrivi con i fantomatici Comitati Popolari del partito dei CARC, l'importante è che in nessun caso si metta in dubbio la catena Democrazia-Interclassismo-Neutralità dello Stato.

Dunque, gran gracidare della sinistra (piccolo)borghese, atterrita dagli effetti delle contraddizioni tra sviluppo delle forze di produzione e arretratezza delle forme di produzione del Capitale e ben consapevole del proprio ruolo di supporto attivo agli strati coltivati e privilegiati della nostra classe, nel rallentare il processo e il percorso di ripresa della lotta rivoluzionaria del proletariato.

Sull'infamia di questa sinistra borghesia purtroppo c'è poco da ridere: sa benissimo che il suo paradisiaco Stato Sociale (che è la più moderna e intelligente realizzazione di quel NazionalSocialismo, nei confronti del quale, più che provar tanto odio, sembrano proprio nutrire invidia, per la concretezza di programmi e risultati) può vivere solo della “redistribuzione” di quella “ricchezza” prodotta dall'impiego della forza-lavoro proletaria, che deve rimanere sottomessa al meccanismo di dominio del Capitale.

Ma c'è un altro curioso stupore che vale la pena segnalare ed è quello di quei collettivi, come La Sciloria di Rho, in provincia di Milano, che come le farfalle notturne si lasciano attirare dalle fiammelle di una qualsiasi possibilità di scaramuccia di piazza, giustificata da un avanzo di sociologismo (la risibile ricerca del “soggetto sociale”, una volta data per morta quella classe operaia che volevano ribelle, mantenendola incastrata nella sua essenza fabbrichista), ereditato da quel che rimane dei cattivi maestri dell'operaismo. Anche per loro è scontata l'origine piccolo borghese, tendenzialmente reazionaria, dei promotori di questo movimento. Ma udite: “Per questo spinti dal rapporto quotidiano con i disoccupati sul territorio, che da subito hanno preso parte ai blocchi di Rho-Pero, abbiamo 'immerso le mani nella merda' tappandoci il naso e siamo andati a vedere la reale composizione di questo movimento. E quello che abbiamo riscontrato è una situazione sicuramente diversa da quelle a cui siamo abituati, ma con una presenza di disoccupati e proletari giovani molto forte. Non abbiamo visto fascisti organizzati, pochi sono i bottegai che hanno partecipato alla protesta così come il razzismo e il fascismo culturale è relegato a singole persone ma non poteva egemonizzare la piazza. Anzi ci sono anche extracomunitari all'interno del presidio e nei discorsi tra proletari emergeva chiaramente che dobbiamo stare uniti italiani e stranieri senza divisioni”.

Quel che stupisce dei nostri giovani “antagonisti” è la loro superficiale ignoranza delle dinamiche e delle contraddizioni che spingono al movimento i proletari, la meraviglia di una esasperata disperazione che “a naso” chiede una soluzione, possibilmente veloce, quale che sia e non necessariamente socialista. Infatti: “Certo gli slogan sono quelli lanciati dal movimento dei cosiddetti forconi e le bandiere italiane sono il collante della piazza. Ma in questo caso, sbagliano tutti quei compagni che accomunano la bandiera italiana o gli slogan a difesa dell'Italia ai fascisti, non c'è nulla di tutto questo. L'impressione che si ha è quella di una mobilitazione che è montata e ha stravolto tutto il pacchetto degli organizzatori. Una piazza spontanea, non guidata da nessuno e in cui i giovani (200/300) disoccupati dei paesi intorno a Rho hanno voluto esprimere la rabbia per un futuro che non c'è, giovani che non hanno mai partecipato in precedenza a cortei o blocchi. Ma attenzione, non perché condividano le parole d'ordine lanciate o siano fascisti, ma semplicemente perché una serie di circostanze li ha fatti confluire in questo momento su questa piazza.”

E' ovvio che non ci sia nulla di formalmente fascista: ma questi primi conati di disperazione anche proletaria sono proprio inquadrabili nel semplicismo immediato di quel... tricolore che reclama una soluzione inclusiva, e quindi nazionale, borghese. E' il terreno su cui può facilmente crescere quel patriottismo usato poi per frenare il processo di radicalizzazione della nostra classe: lo abbiamo tragicamente visto proprio in Italia dal 1943 al 1945, con le energie potenziali (ma solo potenziali! attenzione alle cretinate su una supposta “natura rivoluzionaria della Resistenza”!) della nostra classe subordinate e imprigionate dal canagliume PCI, “per liberar l'Italia”.

A questo punto, i nostri tutt'altro che stupidi antagonisti si pongono una domanda, al tempo stesso reale e illusoria, che merita una risposta: “Allora ci chiediamo cosa sarebbe successo se un corteo di centinaia di compagni avesse portato solidarietà al presidio?” Una risposta ben diversa da quella, banalmente spontaneista, dei nostri giovani amici (“Non lo sappiamo, ma sicuramente avrebbe messo in moto ulteriori contraddizioni e forse avrebbe egemonizzato la piazza portando parole d'ordine che difendono realmente gli interessi di disoccupati e precari”). Una risposta che in questa breve nota possiamo solo enunciare per sommi capi, perché in realtà non è altro che la riaffermazione del duro lavoro di restauro dell'arma-organo rivoluzionario del proletariato a contatto e dentro le sue lotte: cioè, preparazione rivoluzionaria. Una risposta che prevede innanzitutto un'analisi storica delle condizioni oggettive in cui si trova la nostra classe, in quanto classe in sé, e, in prospettiva, delle condizioni soggettive della ripresa della sua lotta. E ciò, non certo sulla base dei pii desideri degli “antagonisti”, ma su quella ben più complessa delle spinte sussultorie e discontinue prodotte dalle contraddizioni economiche e sociali della evoluzione della crisi di sovrapproduzione che sta squassando il modo di produzione capitalistico in questa sua modernissima fase imperialista.

Su questa base, che altro non è che la riaffermazione della natura scientifica, oggettiva, della necessità del Comunismo come “movimento reale che cambia lo stato di cose esistenti”, è necessario organizzare la nostra classe nella forma più stabile ed estesa possibile, per difendere le condizioni di vita e di lavoro di tutti i nostri fratelli di classe, compresi quelli che, in assenza di questo movimento sindacale di classe e spinti dalla disperazione, si fanno abbindolare da movimenti inconcludenti e verbosi perché di altre classi. Ed accanto a questo movimento, dentro questo movimento, sulla base di questo movimento di difesa economica, sviluppare i punti generali sociali e politici del programma comunista che, nella più assoluta indipendenza di classe, coinvolgeranno, ma subordinandoli allo sviluppo del processo rivoluzionario, anche i movimenti degli altri ceti.

Ma è evidente che, ora e sempre, l'unica garanzia per l'esito positivo di questo processo, frutto dello scontro politico contro tutte le altre forze, in buona o cattiva fede borghesi, è il rafforzamento, il restauro attivo e operante, del Partito Comunista.

La subitanea speranza ribelle, se non cresce e matura in pratica rivoluzionaria paziente e duratura, muore nell'abbraccio mortale del riformismo radicale che non fa altro che conservare e rinnovare il dominio del Capitale.

 

(1) Abbiamo avuto sottomano: “Né con il governo né con i forconi”, volantino diffuso da Sinistra anticapitalista, in occasione della manifestazione milanese del 14/12/2013; “Tranvieri o forconi, Rivoluzione o reazione”, documento del Partito Comunista dei Lavoratori del 10/12/2013; “Promuovere in tutto il paese la solidarietà con le masse popolari che si ribellano” e “Ribellarsi è giusto! Viva la ribellione delle masse popolari!”, documenti senza firma diffusi per via telematica l'11/12/2013 e il 12/12/2013, che per il tono ed i riferimenti pensiamo possano essere attribuibili all'area che gravita intorno al (n)PCI e ai CARC; “9 dicembre: contraddizioni e composizione”, comunicato del Collettivo La Sciloria del 12/12/2013.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2014)

 
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