Per quanto coraggiose e rabbiose, le lotte dei tranvieri di Genova, dei portuali di Castellammare, dei siderurgici di Taranto, dei facchini del Nord Italia, dei braccianti di Rosarno, in questi sei anni di crisi, confermano una volta di più l'estrema debolezza della classe operaia stretta nella morsa del sindacalismo di regime da una parte e delle organizzazioni sindacali di base di difesa economica, soffocate dal miserabile corporativismo che le pervade. Nel quarto giorno di sciopero consecutivo della lotta dei tranvieri genovesi, le sparate dei media si sprecavano: “una grande rivolta nazionale”, “un salto di qualità delle società pubbliche partecipate dagli enti locali”, “uno scontro frontale”, “forse la rivoluzione comincia qua”... A queste panzane, si accompagnavano intanto le pesanti denunce nei confronti dei lavoratori, cui gli organi di stampa non erano estranee, e le multe per la precettazione non osservata (500 euro individuali al giorno).

Quella dei tranvieri genovesi è stata una lotta di lavoratori esasperati e non più disposti a fare sacrifici per mantenere il posto di lavoro di tasca propria, in un'azienda comunale ormai decotta, subendo continui ricatti di licenziamento – una condizione che si trascinava da anni e che paralizzava i lavoratori. In realtà, a tenerli in ostaggio era un vecchio gioco fra le parti (istituzioni, sindacati, sindaci, prefetti). Altro che la versione dei media, secondo cui “la città è stata bloccata, fermi gli autobus e la metropolitana, da un migliaio di lavoratori che non rispettano alcuna regola, nemmeno l’ordine di precettazione del prefetto perché sia garantito un minimo di servizio, uno sciopero che non solo ha paralizzato la città, ma ha occupato la sala del Consiglio comunale. Ha messo i consiglieri nell’impossibilità di discutere una delibera che riguardava proprio le aziende in cui il Comune è azionista, ha messo il sindaco nell’impossibilità di parlare e ha mandato all’ospedale cinque vigili urbani”!

Chi ha inneggiato inizialmente a una fantomatica capacità direttiva del Faisa/Cisal, finita in un'adunata assembleare che (tanto per cambiare!) ha seppellito con il voto la lotta, non ha ancora compreso la terribile situazione in cui si trova ad agire da anni il movimento dei lavoratori, stretto nella morsa tra la fascistissima unità sindacale Cgil-Cisl-Uil e le innumerevoli corporazioni di categoria, succursali in proprio delle tre divinità. Il nuovo accordo (il nuovo collare!) ha confermato le preoccupazioni dei lavoratori: i temuti licenziamenti e le privatizzazioni forzate.

In questi anni, la risposta borghese alla crisi si è tradotta in un durissimo attacco al proletariato: un rinnovato bestiale sfruttamento, un'ampia riduzione dei salari, licenziamenti in massa, aumento del lavoro precario e quindi un drastico crollo delle condizioni generali di vita e di lavoro. Un'azione unita e concorde, disciplinata e coordinata, che culmini nello “sciopero generale ad oltranza senza limiti di tempo”, è allo stato attuale impossibile; uno sciopero di quella natura potrebbe essere messo all'ordine del giorno solo quando si uscirà dalla dispersione attuale e si riuscirà a scorgere il terreno comune della lotta di classe. Attualmente, i mille rivoli, i mille obiettivi divergenti portano solo a un'offensiva ancora più dura della controparte. Solo una linea d'azione unitaria e compatta è la via di salvezza, solo quella potrà divenire una forza reale ed operante. I lavoratori devono seguire direttive, obiettivi comuni di lotta. Dipendere da un'autorganizzazione che si costituisce strada facendo, come qualcuno va suggerendo, o costruire una nuova corporazione sindacale, significa perdere in partenza.

L'attacco borghese e padronale si esplica sempre implacabilmente con un piano sistematico, nel quale “le forze sindacali nelle mani della classe dominante” ormai da lungo tempo sono adoperate contro i lavoratori. La rappresaglia e i licenziamenti sono eseguiti da un esercito di questurini accompagnati da un esorbitante numero di legulei e avvocaticchi “patrocinatori dei lavoratori”. La forza, la lotta, sono il fondamento del diritto, non qualche adorabile comma spiaccicato in qualche pagina. Di questo si nutre l'aristocrazia del lavoro che imperversa. La dolorosa esperienza delle lotte, giorno dopo giorno, mostra alle masse che la vera salvezza è un'azione che si raccolga a difesa di tutti i gruppi proletari, che fonda in una sola lotta tutte le vertenze parziali, che stringa in un fascio tutte le forze dell'organizzazione operaia. E' il caposaldo del nostro fronte unico proletario, è l'impegno per un reciproco appoggio in un'azione comune fra tutti i gruppi sindacali territoriali e di categoria che abbiano un carattere di classe, è lo scambio di reciproca e contemporanea solidarietà fra tutte le organizzazioni di lotta economica contro l'azione del nemico comune. Perché il fronte unico proletario non resti una vana parola, occorre che gli scopi che l'azione comune si prefigge siano gli stessi: lotta contro i licenziamenti, per la riduzione dell'orario a parità di salario, per il salario integrale ai disoccupati, pensionati, immigrati.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2014)


 


 

 

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