La macchina s'è messa in moto da tempo: articoli di giornale, libri, celebrazioni di ogni tipo. E sarà a pieno regime nel giro di qualche mese, avvicinandosi all'appuntamento di quell'agosto che, un secolo fa, vide l'intera Europa cadere nel baratro del primo macello mondiale. Glorie patrie, eroi ed eroismi, avanzate e ritirate, le usuali lacrime di coccodrillo sui 26 milioni di morti (di cui 650mila per la sola Italia), sulle vedove e sugli orfani, sugli storpi e sugli impazziti, sulle distruzioni e sui corpi martoriati – un armamentario giornalistico e storiografico cui siamo ormai ben abituati, ondeggiante fra l'orgoglio nazionalista e il retorico piagnisteo sui “poveracci mandati a morire”, il Piave che mormora e il Monte Grappa che addita il cammino, l'inflessibile Cadorna, i militi ignoti, la rotta di Caporetto, le lettere a casa, ecc. ecc.1 Roba da autentico voltastomaco.

Quello che non si ricorda è che, su tutti i fronti, quei “poveracci mandati a morire”, che erano proletari e contadini poveri, la nostra classe, non si limitarono a imprecare e a scrivere a mamme e fidanzate, ma – più spesso di quanto non ci faccia credere la storiografia ufficiale o il giornalismo ben pagato – presero in mano il proprio destino e, in tanti episodi memorabili, grandi e piccoli, individuali e collettivi, praticarono in maniera istintiva il disfattismo: il rifiuto materiale di continuare a uccidere e farsi uccidere, la fraternizzazione nei fatti con un nemico composto da altri “poveracci”, l'odio non dissimulato per le gerarchie militari, l'antagonismo nei confronti di una macchina bellica guidata da politici e industriali. Tranne nel caso dell'esercito zarista, in cui la propaganda bolscevica riuscì a penetrare a fondo disgregandolo, non si trattò quasi mai del vero disfattismo rivoluzionario come l'intesero Lenin e i rivoluzionari conseguenti: ma, in numerosi casi, vi si avvicinò di molto, grazie al lavoro svolto nelle file degli eserciti dalle frazioni di sinistra di timidi partiti socialisti, oscillanti come quello italiano (“né aderire né sabotare”) o vergognosamente traditori come la socialdemocrazia tedesca o francese.

Teniamo dunque viva questa “memoria di classe”. In questo primo articolo, ricordiamo le posizioni classiche di Lenin, posizioni che – sebbene all'epoca poco conosciute in occidente – collimavano del tutto con quelle sostenute dalla sinistra del Partito Socialista Italiano, come è ben documentato nel primo volume della nostra Storia della sinistra comunista. 1912-1919 (si vedano i testi riprodotti alla pagg.227-288, e in particolare gli articoli “Il Socialismo di ieri dinanzi alla guerra di oggi”, “Socialismo e 'difesa nazionale'”, “Socialismo, patria e guerre di difesa”, “La borghesia e il principio di nazionalità”, “Dal vecchio al nuovo antimilitarismo”). In quel volume, si riportano anche gli episodi di vigoroso antimilitarismo di classe di cui fu protagonista il proletariato italiano. Nei prossimi articoli, riporteremo alla luce una minima parte di quegli episodi dimenticati o manipolati, italiani e non.


 


 


 


 

1. Da “La situazione e i compiti dell’Internazionale Socialista” (1/11/1914; Opere complete, vol. 21):


 

La borghesia inganna le masse, mascherando la rapina imperialista con la vecchia ideologia della “guerra nazionale”. Il proletariato smaschera quest’inganno proclamando la parola d’ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile. Proprio questa parola d’ordine è stata proposta dalla risoluzione di Stoccarda e di Basilea che prevedevano appunto non una guerra in generale, ma la guerra attuale [1914] e non parlavano della “difesa della patria”, ma del dovere di “affrettare il crollo del capitalismo”, di utilizzare a questo scopo la crisi suscitata dalla guerra, parlavano dell’esempio della Comune [di Parigi]. La Comune è stata la trasformazione di una guerra tra popoli in una guerra civile.

Tale trasformazione, certo, non è facile e non si può attuarla “per desiderio” di qualche partito. Ma essa corrisponde proprio alle condizioni obiettive del capitale in generale, e dell’epoca della fine del capitalismo in particolare. E in questa direzione, solo in quella direzione, deve essere orientato il lavoro dei socialisti. Non votare i crediti militari, non incoraggiare lo sciovinismo del “proprio” paese (e dei paesi alleati), combattere in primo luogo contro lo sciovinismo della “propria” borghesia, senza limitarsi alle forme legali di lotta quando sia sopraggiunta la crisi e la borghesia stessa abbia eliminato la legalità che aveva creato: ecco la linea d’azione che porta alla guerra civile e che condurrà a essa in questo o quel momento dell’incendio di tutta l’Europa.

La guerra non scoppia per caso, non è un “peccato”, come pensano i preti cristiani (che predicano il patriottismo, l’umanitarismo e la pace non peggio degli opportunisti), ma una tappa inevitabile del capitalismo, una forma della vita capitalistica, legittima come la pace. Ai nostri giorni la guerra è una guerra di popoli. Da questa verità non consegue che si debba seguire la corrente “popolare” dello sciovinismo, ma consegue che le contraddizioni di classe che lacerano i popoli continuano a esistere e si manifestano anche in tempo di guerra, anche in guerra, anche in forma militare. Il rifiuto di prestare servizio militare, lo sciopero contro la guerra ecc., sono una pura sciocchezza, un sogno misero e vile, di una lotta disarmata contro la borghesia armata, l’illusione di distruggere il capitalismo senza un’accanita guerra civile o una serie di tali guerre. La propaganda della lotta di classe è un dovere del socialista anche nell’esercito; il lavoro volto a trasformare la guerra tra i popoli in guerra civile è l’unico lavoro socialista nell’epoca del conflitto imperialista armato della borghesia di tutti i paesi. Abbasso i pii voti sentimentali e sciocchi sulla “pace a tutti i costi”! L’imperialismo ha messo in gioco le sorti della civiltà europea: se non vi sarà una serie di rivoluzioni vittoriose a questa guerra, ne seguiranno presto altre; la favola dell’“ultima guerra” è una favola vana e dannosa, è un “mito” piccolo borghese.


 


 

2. Da “La parola d’ordine della ‘difesa della Patria’” (in “La conferenza delle sezioni estere del Partito Operaio Socialdemocratico Russo”, 29/3/1915; Opere complete, vol. 21):


 

Il contenuto reale della presente guerra è la lotta fra l’Inghilterra, la Francia e la Germania per la ripartizione delle colonie e per il saccheggio dei paesi concorrenti e l’aspirazione dello zarismo e delle classi dominanti della Russia a impadronirsi della Persia, della Mongolia, della Turchia asiatica, di Costantinopoli, della Galizia, ecc. L’elemento nazionale della guerra austro-serba ha un’importanza assolutamente secondaria e non cambia il carattere imperialistico generale della guerra.

Tutta la storia economica e diplomatica degli ultimi decenni dimostra che i due gruppi di nazioni belligeranti hanno appunto preparato sistematicamente una guerra di questo genere. La questione: qual è stato il gruppo che ha sferrato per primo il colpo militare o che ha dichiarato per primo la guerra, non ha nessuna importanza nella determinazione della tattica dei socialisti. Le frasi sulla difesa della patria, sulla resistenza all’invasione nemica, sulla guerra di difesa, ecc. sono, da ambo le parti, tutti raggiri per ingannare il popolo.

Le guerre effettivamente nazionali, che si svolsero specialmente tra il 1789 e il 1871, avevano come base una lunga successione di movimenti nazionali di massa, di lotte contro l’assolutismo e il feudalesimo, per l’abbattimento del giogo nazionale e la creazione di Stati su base nazionale, i quali erano la premessa dello sviluppo capitalistico.

L’ideologia nazionale, sorta in quel periodo, lasciò tracce profonde nelle masse della piccola borghesia e in una parte del proletariato. Di questo fatto si valgono oggi, in un’epoca assolutamente diversa, vale a dire nell’epoca dell’imperialismo, i sofisti della borghesia e i traditori del socialismo che si mettono al loro rimorchio per dividere gli operai e distoglierli dai loro obiettivi di classe e dalla lotta rivoluzionaria contro la borghesia.

Le parole del Manifesto comunista: “Gli operai non hanno patria”, sono più vere che mai.


 


 

3. Da “La posizione dei socialisti di fronte alle guerre” (in Il socialismo e la guerra, luglio-agosto del 1915; Opere complete, vol.21):


 

I socialisti hanno sempre condannato le guerre fra i popoli come cosa barbara e bestiale. Ma il nostro atteggiamento di fronte alle guerre è fondamentalmente diverso da quello dei pacifisti borghesi (fautori e predicatori della pace) e degli anarchici. Dai primi ci distinguiamo in quanto comprendiamo l'inevitabile legame delle guerre con la lotta delle classi nell’interno di ogni paese, comprendiamo l’impossibilità di distruggere le guerre senza distruggere le classi e edificare il socialismo, come pure in quanto riconosciamo pienamente la legittimità, il carattere progressivo e la necessità delle guerre civili, cioè delle guerre della classe oppressa contro quella che opprime, degli schiavi contro i padroni di schiavi, dei servi della gleba contro i proprietari fondiari, degli operai salariati contro la borghesia. E dai pacifisti e dagli anarchici noi marxisti ci distinguiamo in quanto riconosciamo la necessità dell’esame storico (dal punto di vista del materialismo dialettico di Marx) di ogni singola guerra. Nella storia ci sono state più volte delle guerre che, nonostante tutti gli orrori, le brutalità, le miserie e i tormenti inevitabilmente connessi con ogni guerra, sono state progressive; che, cioè, sono state utili all’evoluzione dell’umanità, contribuendo a distruggere istituzioni particolarmente nocive e reazionarie (per esempio, l’autocrazia o la servitù della gleba), i più barbari dispotismi d’Europa (quello turco e quello russo).


 


 

4. Da “La guerra attuale è imperialista” (in Il socialismo e la guerra, luglio-agosto del 1915; in Opere complete, vol.21):


 

Quasi tutti riconoscono che la guerra attuale è imperialista, ma i più deformano questo concetto o lo applicano unilateralmente o cercano di far credere alla possibilità che questa guerra abbia un significato borghese-progressivo di liberazione nazionale. L’imperialismo è il più alto grado di sviluppo del capitalismo, ed è stato raggiunto solamente nel XX secolo. Per il capitalismo, sono diventati angusti i vecchi Stati nazionali, senza la cui formazione esso non avrebbe potuto abbattere il feudalesimo. Il capitalismo ha sviluppato a tal punto la concentrazione, che interi rami dell’industria, sono nelle mani di sindacati, di trust, di associazioni di capitalisti miliardari, e quasi tutto il globo è diviso tra questi “signori del capitale”, o in forma di colonie o mediante la rete dello sfruttamento finanziario che lega con mille fili i paesi stranieri. Il libero commercio e la concorrenza sono stati sostituiti dalla tendenza al monopolio, dall’usurpazione di terre per impiegarvi dei capitali, per esportare materie prime, ecc. Da liberatore delle nazioni quale era nella lotta contro il feudalesimo, il capitalismo nella fase imperialista è diventato il maggiore oppressore delle nazioni. Da progressivo, il capitalismo è divenuto reazionario; ha sviluppato a tal punto le forze produttive, che l’umanità deve o passare al socialismo o sopportare per anni, e magari per decenni, la lotta armata tra le “grandi” potenze per la conservazione artificiosa del capitalismo mediante le colonie, i monopoli, i privilegi e le oppressioni nazionali d’ogni specie.


 


 


 

5. Da “Il Manifesto di Basilea” (in Il socialismo e la guerra, luglio-agosto del 1915; Opere complete, vol.21):


 

Il manifesto sulla guerra, accettato all’unanimità a Basilea nel 1912, si riferisce proprio alla guerra fra l’Inghilterra e la Germania e i loro rispettivi alleati attuali, che scoppiò poi nell'anno 1914. Il manifesto dichiara apertamente che nessun interesse del popolo può giustificare una simile guerra, condotta “per i profitti dei capitalisti a vantaggio delle dinastie”, sul terreno della politica imperialista di rapina delle grandi potenze. Il manifesto dichiara apertamente che la guerra è pericolosa “per i governi” (tutti, senza eccezione), rileva il loro timore di una “rivoluzione proletaria”, cita con la massima precisione l’esempio della Comune del 1871 e dell’ottobre e dicembre del 1905, cioè l’esempio della rivoluzione e della guerra civile. In tal modo il manifesto di Basilea fissa, proprio per questa guerra, la tattica della lotta rivoluzionaria degli operai su scala internazionale contro i propri governi, la tattica della rivoluzione proletaria. Il manifesto di Basilea ripete le parole della risoluzione di Stoccarda, e cioè che, in caso di guerra, i socialisti devono sfruttare la “crisi economica e politica” che ne deriva, per “affrettare l’eliminazione del dominio di classe capitalistico”, cioè sfruttare le difficoltà che la guerra crea ai governi e l’indignazione delle masse, ai fini della rivoluzione socialista.


 


 

6. Da “Sulla sconfitta del ‘proprio’ governo nella guerra imperialista” (in Il socialismo e la guerra, luglio-agosto 1915; Opere complete, vol.21):


 

I sostenitori della vittoria del proprio governo nella guerra attuale, nonché i sostenitori della parola d’ordine “né vittoria né sconfitta” hanno un punto di vista egualmente socialsciovinista. La classe rivoluzionaria, nella guerra reazionaria, non può non desiderare la disfatta del proprio governo, non può non vedere il legame esistente fra gli insuccessi militari del governo e la maggiore facilità di abbatterlo. Soltanto il borghese, il quale crede e desidera che la guerra iniziatasi tra i governi termini assolutamente come una guerra tra i governi, trova “ridicola” od “assurda” l’idea che i socialisti di tutti i paesi belligeranti manifestino e augurino la sconfitta a tutti i “propri” governi.


 


 

7. Da “Progetto di risoluzione della sinistra di Zimmerwald” (20/8/1915; Opere complete, vol.21):


 

La guerra attuale è stata generata dall’imperialismo. Il capitalismo ha raggiunto la sua fase suprema. Le forze produttive della società e l’entità del capitale hanno superato gli stretti limiti dei singoli Stati nazionali. Da qui deriva la tendenza delle grandi potenze ad asservire nazioni straniere, a conquistare colonie, come fonti di materie prime e sbocchi per l’esportazione del capitale. Tutto il mondo si fonde in un unico organismo economico, tutto il mondo è diviso fra un pugno di grandi potenze. Le condizioni oggettive del socialismo sono giunte a completa maturazione e la guerra attuale è una guerra dei capitalisti per ottenere privilegi e monopoli che possano ritardare il crollo del capitalismo.

[…]

Perciò i discorsi sulla “difesa della patria” da parte di entrambi i gruppi belligeranti sono un inganno del popolo da parte della borghesia. Né la vittoria di uno dei gruppi, né il ritorno allo status quo possono salvaguardare la libertà della maggioranza delle nazioni del mondo dalla oppressione imperialistica esercitata da un pugno di grandi potenze, né garantire alla classe operaia neppure le sue attuali modeste conquiste culturali. L’epoca del capitalismo relativamente pacifico è passata senza ritorno. L’imperialismo porta alla classe operaia un inasprimento inaudito della lotta di classe, della miseria, della disoccupazione, del costo della vita, dell’oppressione dei trust, del militarismo, e la reazione politica, che solleva la testa in tutti i paesi, anche nei più liberi. Il significato reale della parola d’ordine della “difesa della patria” nella guerra attuale è la difesa del “diritto” della “propria” borghesia nazionale all’oppressione di altre nazioni, è la politica operaia nazional liberale, è l’alleanza di un’infima parte di operai privilegiati con la “loro” borghesia nazionale contro la massa dei proletari e degli sfruttati.

[…]

Il manifesto di Basilea del 1912, approvato all’unanimità dai socialisti di tutto il mondo in previsione di una guerra fra le grandi potenze, esattamente simile a quella che ora si sta svolgendo, ha chiaramente riconosciuto il carattere imperialistico reazionario di questa guerra, ha dichiarato di considerare un delitto che gli operai di un paese sparino contro gli operai di un altro, e ha proclamato l’approssimarsi della rivoluzione proletaria, proprio in rapporto con questa guerra. Effettivamente, la guerra crea una situazione rivoluzionaria, genera stati d’animo e fermenti rivoluzionari nelle masse, suscita dappertutto, nella parte migliore del proletariato, la coscienza della perniciosità dell’opportunismo e inasprisce la lotta contro di esso. Il crescente desiderio di pace fra le masse lavoratrici esprime la loro delusione, il fallimento della menzogna borghese sulla difesa della patria, l’inizio del risveglio della coscienza rivoluzionaria delle masse. Utilizzando questo stato d’animo per la loro agitazione rivoluzionaria, senza fermarsi, nel loro lavoro, dinanzi all’idea della sconfitta della “loro” patria i socialisti non inganneranno il popolo con la speranza illusoria di una pace prossima, stabile, democratica e che escluda l’oppressione delle nazioni, con la speranza del disarmo, ecc., senza l’abbattimento rivoluzionario degli attuali governi. Solo la rivoluzione sociale del proletariato apre la strada alla pace e alla libertà delle nazioni.


 

8. Da “Appello sulla guerra” (agosto 1915; Opere complete, vol.21):


 

Quali sono i compiti della classe operaia nei confronti di questa guerra? A questa domanda è già stata data risposta nella risoluzione del Congresso socialista internazionale di Basilea del 1912, approvata unanimemente dai socialisti di tutto il mondo. Questa risoluzione fu approvata proprio in previsione di una guerra come quella che è scoppiata nel 1914. La risoluzione dice che la guerra è reazionaria, che essa viene preparata negli interessi del “profitto dei capitalisti”, che gli operai considerano “un delitto sparare gli uni contro gli altri”, che la guerra porterà alla “rivoluzione proletaria”, che i modelli della tattica sono, per gli operai, la Comune di Parigi del 1871 e l’ottobre-dicembre del 1905 in Russia, cioè la rivoluzione.

[…]

Solo l’abbattimento rivoluzionario dei governi borghesi, e in primo luogo del governo zarista, il più reazionario, il più feroce e barbaro di tutti, apre la strada al socialismo e alla pace tra i popoli.

[…]

La guerra riempie le tasche dei capitalisti, verso i quali scorre il mare d’oro dell’erario delle grandi potenze. La guerra suscita odio cieco contro il nemico e la borghesia cerca con tutte le forze di indirizzare in questo senso il malcontento del popolo, distogliendo la sua attenzione dal nemico principale: il governo e le classi dirigenti del proprio paese. Ma la guerra, portando infinite sventure e orrori alle masse lavoratrici, educa e tempra i migliori rappresentanti della classe operaia. Se si deve morire, moriamo nella lotta per la nostra causa, per la causa degli operai, per la rivoluzione socialista, e non per gli interessi dei capitalisti, dei proprietari terrieri e degli zar: ecco che cosa vede e cosa sente ogni operaio cosciente. E per quanto sia oggi difficile il lavoro socialdemocratico rivoluzionario, questo lavoro è possibile, va avanti in tutto il mondo, in esso soltanto è la salvezza!


 


 

9. Da “Tesi sull’atteggiamento del Partito Socialdemocratico Svizzero verso la guerra” (dicembre 1916; Opere complete, vol.23. Occorre rammentarsi che all’epoca Lenin dimorava in Svizzera):


 

1) La guerra mondiale in corso è una guerra imperialistica, combattuta in vista dello sfruttamento politico ed economico del mondo, per i mercati di sbocco, per le fonti di materie prime, per nuove zone d’investimento del capitale, per l’oppressione dei popoli deboli, ecc. Le frasi delle due coalizioni belligeranti sulla “difesa della patria” altro non sono che un inganno della borghesia a danno dei popoli.

2) Il governo svizzero è l’incaricato d’affari della borghesia svizzera, la quale dipende per intero dal capitale finanziario internazionale ed è legata nel modo più stretto alla borghesia imperialistica delle grandi nazioni.

[…]

3) Pertanto, anche in Svizzera, la “difesa della patria” è oggi soltanto una frase ipocrita, perché in realtà non si tratta di difendere la democrazia, l’indipendenza, gli interessi delle grandi masse popolari, ecc., ma si tratta invece di mandare al massacro gli operai e i piccoli contadini per conservare i monopoli e i privilegi della borghesia, si tratta di rafforzare il dominio dei capitalisti e la reazione politica.

4) Sulla base di questi fatti, il Partito socialdemocratico svizzero respinge in linea di principio la “difesa della patria”; esige l’immediata smobilitazione, chiama la classe operaia a rispondere ai preparativi di guerra compiuti dalla borghesia svizzera e alla guerra stessa, se scoppierà, con i mezzi più energici della lotta di classe proletaria. Tra questi mezzi sono da segnalare i seguenti:

a) niente pace sociale; accentuare la lotta di principio contro tutti i partiti borghesi […]

b) bocciare tutti i crediti militari, in tempo di pace come in tempo di guerra, qualunque sia il pretesto con cui vengono richiesti

c) appoggiare tutti i movimenti rivoluzionari e tutte le battaglie della classe operaia dei paesi belligeranti contro la guerra e contro i rispettivi governi

d) contribuire alla lotta rivoluzionaria di massa in Svizzera, agli scioperi, alle manifestazioni e all’insurrezione armata contro la borghesia

e) svolgere una sistematica azione di propaganda nell’esercito, costituendo a tale scopo speciali gruppi socialdemocratici nei reparti militari e tra le giovani reclute

f) la classe operaia deve creare di propria iniziativa organizzazioni clandestine in risposta a qualsiasi restrizione o soppressione delle libertà politiche da parte del governo

g) attraverso un’opera metodica di chiarificazione tra gli operai, preparare sistematicamente una situazione tale che la direzione di tutte le organizzazioni di operai e impiegati, senza eccezione, passi nelle mani di elementi che accettino e sappiano condurre la lotta contro la guerra.

5) Il partito pone alla lotta rivoluzionaria di massa, già riconosciuta nel congresso di Aarau del 1915, l’obiettivo della rivoluzione socialista. […] Il partito dichiara che tutte le frasi pacifistiche, borghesi e socialiste, contro il militarismo e le guerre, se non riconoscono quest’obiettivo e i mezzi rivoluzionari per raggiungerlo, sono semplici illusioni o menzogne, che condurranno soltanto a distogliere la classe operaia da ogni lotta efficace contro le basi stesse del capitalismo.


 


 

10. Da “Il significato della fraternizzazione” (11/5/1917; Opere complete, vol.24):


 

I capitalisti deridono la fraternizzazione dei soldati al fronte, oppure la attaccano con rabbia furiosa, per mezzo di menzogne e calunnie, riducendola a una manovra dei tedeschi per ingannare i russi e comminando punizioni attraverso i loro generali e ufficiali.

Dal punto di vista della difesa della “sacrosanta proprietà” del capitale e dei suoi profitti, questa linea politica dei capitalisti è pienamente giusta: in realtà, per schiacciare in germe la rivoluzione proletaria socialista, bisogna considerare la fraternizzazione appunto come la considerano i capitalisti.

Gli operai coscienti e, con loro, la massa dei semiproletari, la massa dei contadini poveri, guidati dal loro sicuro istinto di classi oppressi, considerano invece la fraternizzazione con la più profonda simpatia. E’ chiaro altresì che questa strada non passa attraverso i governi capitalistici e non si può percorrere in alleanze con questi governi, ma soltanto contro di loro. E’ chiaro che la fraternizzazione sviluppa, rafforza, consolida la fiducia fraterna tra gli operai dei diversi paesi. E’ chiaro che essa comincia a infrangere la maledetta disciplina della caserma-prigione, la disciplina della passiva subordinazione dei soldati ai “propri” ufficiali e generali, ai propri capitalisti (poiché la maggior parte degli ufficiali e dei generali appartiene alla classe capitalistica o ne difende gli interessi). E’ chiaro che la fraternizzazione è un’iniziativa rivoluzionaria delle masse, è il risvegliarsi della coscienza, dell’intelligenza, dell’audacia delle classi oppresse, è in altri termini uno degli anelli della catena d’iniziative che conducono alla rivoluzione socialista proletaria. Viva la fraternizzazione! Viva la rivoluzione socialista del proletariato che sta cominciando!



 

1Ogni tanto, qualche voce si leva fuori dal coro. Ci segnala un compagno: “Ai piedi della Tofana di Mezzo (Dolomiti bellunesi), nei pressi dell'avamposto italiano di Forcella Fontanegra (m. 2478), il generale Antonio Cantore, mentre controllava le postazioni nemiche, venne colpito in fronte da una pallottola sparata – si disse – da un cecchino austriaco. L'ora della morte fu fatta corrispondere attorno alle 19 del 20 luglio 1915. Cantore era un generale entrato nella leggenda e i biografi sono concordi nel descrivercelo in questo modo: 'Autoritario e rude nei modi e nei rapporti interpersonali, dal carattere difficile e scontroso, di una pignoleria estrema, dai modi bruschi e dal cicchetto facile, sempre presente laddove maggiore è il rischio. E' instancabile, burbero nei confronti della truppa, inflessibile con i suoi ufficiali da cui pretende, al pari di se stesso, coraggio e sprezzo del pericolo. La sua audacia, unita alla volontà di esporsi in prima persona al pericolo, esercitava uno straordinario ascendente sulla truppa, esaltandone l'entusiasmo, l'emulazione e il coraggio'. Le versioni ufficiali collimano dunque quanto alla causa della morte: colpito in fronte da una pallottola sparata da un cecchino austriaco. In realtà, ancor oggi si discute parecchio sull’episodio e c'è chi afferma che a sparare al generale Cantore sia stato un soldato italiano”. Un'insinuazione? Può darsi. Fatto sta che la morte del Generale resta avvolta nel dubbio e continua a essere oggetto di discussione...

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2014)

 
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