MARE IN TEMPESTA! ATTENZIONE ALLE MINE VAGANTI! 

E’ passato quasi un anno dal discorso del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, a Londra, in cui prometteva di fare tutto il possibile per salvare l’Euro. Come sempre, il capitale, per bocca dei propri servi, fa i conti senza l’oste: ovvero, senza la crisi di sovrapproduzione di merci e capitali. 

Così, come volevasi dimostrare, ora torna la paura, alimentata dai paesi che per primi da quella crisi sono stati travolti (Grecia e Portogallo) e da nuovi focolai (Slovenia e Cipro, la prima per sofferenze bancarie, la seconda per scarsità di liquidità). Per non farci mancare niente, aggiungiamo pure l’Irlanda, che nonostante i giudizi positivi delle varie agenzie di rating, con gli ultimi dati economici è tornata, dopo quattro anni, in recessione. E che dire dell’ultima arrivata, la Croazia? Dalla crisi del 2008, ha perso quasi il 12% del suo Prodotto interno lordo, ha un tasso di disoccupazione del 21%, con un record del 40% tra i giovani: entra nella Comunità Europea con la speranza di ricevere finanziamenti. Auguri! (cfr. Sole - 24 Ore, 28/6/2013)

Se poi usciamo dal ristretto panorama europeo, troviamo il Fondo Monetario Internazionale che taglia le previsioni di crescita dell’economia mondiale per il 2013 e per il prossimo individua una serie di rischi all’orizzonte:

 

  1.   Stati Uniti: le stime di crescita 2013-2014 sono state ridotte dello 0,2% rispetto ad aprile 2013.
  2.   Giappone: le stime di crescita segnano un più 0,5% rispetto ad aprile, ma per il 2014 si teme una futura bolla.  
  3.   Paesi Emergenti: le stime di crescita segnano un peggioramento del 0,3% così distribuito: Brasile + 2,5%, India + 5,6%, Russia + 2,5% (Sole – 24 Ore, 10/7/2013).  
  4.   Cina: per il FMI è diventata un’incognita. Cala l’export e allo stesso tempo diminuisce anche l’import, le esportazioni sono calate del 3,1% sul 2012 e verso gli Stati Uniti il crollo è stato del 5,4%, verso la Ue del 8,3% (Sole – 24 Ore, 11/7/2013). Signori, l’economia cinese non dà segni di ripresa: ciò vuol dire che il rallentamento è strutturale, e questo lo aggiungiamo noi.
 

VISHNU, AIUTACI TU!
 

Adesso tocca all’India. Dopo aver guadagnato circa il 25% in un anno, la borsa di Mumbai, la città più popolosa dell’India e capitale dello stato del Maharashtra, è tornata ai livelli dello scorso settembre e continua a perdere terreno: mercoledì 21 agosto 2013, per esempio, ha ceduto l’1,86%.

Nel frattempo, la moneta (la rupia) si è svalutata di circa il 17% nei confronti del dollaro e martedì 20 agosto 2013 ha toccato il minimo storico: nel 2012 bastavano 51 rupie per comprare un dollaro e quel martedì ne servivano oltre 64. Anche il rendimento dei titoli decennali del Tesoro indiano è esploso al 9,48%: un livello che non si vedeva da prima del crollo di Lehman Brothers nel settembre 2008 – quasi quanto i bond decennali greci, che pagavano un interesse del 9,92%.

La crisi economica mondiale e l’incertezza del futuro fanno sì che gli investimenti restino prudenti e ci sia, di conseguenza, un deflusso di capitali. Il Corriere della Sera del 22 agosto 2013 riporta la notizia che, a giugno 2013, i grandi creditori del debito americano, Cina e Giappone, hanno scaricato rispettivamente 21,5 miliardi e 20,3 miliardi di Titoli di Stato americani.

Questa restrizione di investimenti colpisce i mercati emergenti e specialmente quelli asiatici, a loro volta alle prese con una forte penuria di capitali. E chi paga il prezzo più alto, in questo momento, è l’India, che già sconta problemi tutti suoi: crescita lenta al 4,8% nel primo trimestre 2013, inflazione alta al 9,9% a giugno 2013, e un forte deficit che si verifica quando le importazioni superano le esportazioni.

Secondo uno studio del Credit Suisse, pubblicato ad agosto, le 10 maggiori aziende indiane più indebitate hanno raggiunto un debito lordo complessivo pari a 100 miliardi di dollari, e questo mette ulteriormente sotto pressione il sistema bancario. Il crollo della rupia, la moneta della terza economia asiatica, innesca una crisi stile 1997 (conosciuta come la “Crisi delle tigri asiatiche”), per paesi comel’Indonesia (dove l’inflazione è al 8,6% a luglio 2013 e il disavanzo commerciale peggiora sempre più segnando un disavanzo di 9,8 miliardi di dollari, pari al 4,4% del Pil) e la Thailandia (dove il Pil è diminuito dello 0,3% nel secondo trimestre 2013 rispetto al 2012: seconda caduta consecutiva ,che fa entrare il paese ufficialmente in recessione). Ma scenari simili valgono anche per molti altri paesi, come la Turchia, il Messico, Corea del Sud e il Venezuela, che mostrano tutti indici di sviluppo vicini al 2%.

La vecchia talpa continua, inesorabilmente, a scavare e, nonostante la sua scarsa vista, sa bene quale direzione tenere (i dati sono tratti dal Corriere della Sera del 21/8/2013) 

NOTTI AGITATE IN CINA 

Una crescita del Pil inferiore all’8%, da trent’anni a questa parte, è vista da Pechino come un incubo, e una crescita del 7% è una catastrofe. Ma è uno scenario che può concretizzarsi, secondo Patrick Legland, capo della ricerca globale di Societé Generale: “Il nostro scenario di base prevede che la crescita dell’economia cinese passerà dal 7,4% del 2013 al 6% del 2017”. Se così fosse, il regime cinese avrebbe un grosso problema: la stabilità sociale, già scossa da decine di manifestazioni d’insofferenza da parte di una classe operaia stanca di sfruttamento, sarebbe messa a serio rischio.  

Rincara la dose Zhu Cao, corrispondente, in Italia, della televisione di Stato Cctv, che dice: “Abbiamo raggiunto il punto di massima espansione. Adesso l’economia dovrà rallentare e occorrerà anche che il governo ridistribuisca la ricchezza, finora concentrata in poche mani”. Non è di meno Shang-Jin Wei, economista della Columbia Business Shool di New York, che aggiunge: “L’unica cosa che preoccupa la leadership più che un operaio disoccupato è un laureato disoccupato”. 

C’è da notare che un rallentamento dell’economia al di sotto del 7% avrebbe un effetto-domino sui quei paesi legati allo sviluppo cinese: gli esportatori di materie prime come la Corea del Sud, la Malesia, il Cile, il Brasile (già fortemente in crisi); ma anche e soprattutto l’Australia, dipendente dalla Cina per i derivati del ferro e per il carbone. In Europa, invece, a farne le spese è soprattutto la Germania, per la quale la Cina rappresenta il primo mercato di esportazione, al di fuori dell’Europa. (dati tratti da L'Espresso, del 15 agosto 2013).

90: LA PAURA
 

In un tempo non lontano, quando ancora la crisi economica doveva apparire all’orizzonte dell’anno del Signore 2008, gli imprenditori-padroni riunitisi ai convegni di Confindustria alzavano la voce e tuonavano dal pulpito, elogiando il liberismo economico e invocando licenziamenti facili, ristrutturazioni faraoniche, contratti individuali, aumento della produttività e della mobilità interna al processo produttivo, per poi finire con pacche sulle spalle e brindisi con bollicine.

 

Ora che la recessione non vuole andarsene, e anzi peggiora, gli imprenditori-padroni fanno i conti con una contrazione del Pil italiano pari al 2,4% e una caduta della domanda interna: è notizia recente (Corriere della Sera, 13/6) che la gente consuma sempre meno e che il tasso di inflazione, basso, riflette il clima di depressione nei consumi – ben sette famiglie su dieci (71%) hanno modificato la quantità e la qualità dei prodotti acquistati.  

Fanno i conti con una deflazione che, se diventa forte, accresce i rischi. Sempre il Corriere riporta una tabella che dimostra come l’inflazione abbia toccato, a dicembre 2011, il 3,3%; nel settembre 2012, era del 3,2%; poi, c’è un calo continuo: nel maggio 2013, scende all'1,1%.

Fanno i conti con la “bomba disoccupazione”. L’Istat ricorda che tra il 2008 e il 2012 gli occupati compresi tra i 15 anni e i 29 anni sono diminuiti di 727mila unità, di cui 132mila solo nel 2012.

Se poi guardano oltre i confini italiani, i nostri “cari amici” fanno i conti con la locomotiva mondiale: la Cina, la quale, secondo stime del Sole 24 Ore del 24/5, crescerà del 7,5%, la più bassa crescita in 23 anni. Anche la Germania rischia poi di fermarsi: e si sa che Germania e Cina, in quanto locomotive economiche, hanno responsabilità che vanno ben al di là dei propri confini. E' un rallentamento dovuto per l'appunto alla crisi globale: e, per due paesi come la Cina e Germania che fondano sull’export una buona fetta della propria economia, la situazione non è certo allegra.

Poi c'è il botto finale della rivolta nelle periferie di Stoccolma, che ricorda molto quelle di Londra e Parigi, e così fanno i conti con il comun determinatore: disoccupazione e disagio sociale.

Con questo panorama, il 7/6, Jacopo Morelli, presidente dei confindustriali under 40, non ha usato elogi, pacche sulle spalle e brindisi con bollicine. Nulla di tutto ciò, ma frasi insolite come: “Senza prospettive per il futuro, l’unica prospettiva diventa la rivolta. Le situazioni democratiche vengono contestate e possono arrivare alla dissoluzione quando non riescono a dare risposte”. E propone un... reddito minimo a tempo, perché ognuno possa trovare lavoro (cfr. Corriere della Sera, 8/6).  

La lotta di classe non è morta: ma, nell’attuale silenzio, dirige la storia… E la storia continua.

 

Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°05 - 2013)

 

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