(traccia della relazione che verrà tenuta a Berlino nell’incontro pubblico del 3/2)

Le manifestazioni e i blocchi stradali dei “Gilet gialli”, nati apparentemente dal nulla a novembre dello scorso anno, continuano a caratterizzare ancora gli eventi nelle strade e nelle piazze delle principali città francesi. Scontri tra qualche militante e polizia, così come blocchi di strade, del centro delle città e di singole imprese da parte di centinaia di migliaia di manifestanti, hanno messo in difficoltà il governo francese e le sue “forze dell'ordine” e sono diventati un punto di riferimento per molti di coloro che si dichiarano di sinistra. Nel movimento stesso c'è un miscuglio di posizioni molto divergenti ed inoltre aumentano sempre di più le richieste di partecipazione democratica tramite referendum (RIC – référendum d’initiative citoyenne). Di che cosa si tratta, quindi, quando si parla di “Gilet gialli”?  

 

Rivolta sociale

Dopo le manifestazioni contro le riforme del mercato del lavoro, gli scioperi dei ferrovieri contro il progetto di privatizzazione e quelli del movimento degli studenti, le proteste contro le pretese sociali del governo Macron hanno raggiunto di nuovo l'apice con le azioni dei “gilet gialli”.

A provocare la scintilla sono state le proteste contro l'aumento dell'accisa sugli oli minerali, fatto passare come provvedimento ambientale, organizzate in modo spontaneo sui social media prima di tutto dalla popolazione delle zone rurali, che dipende non solo dalle infrastrutture, ma soprattutto dai propri mezzi di trasporto. Tuttavia, il movimento di lotta si è diffuso molto velocemente ed è diventato il catalizzatore di un movimento sociale che abbraccia lavoratori, disoccupati, pensionati, studenti e persino piccoli imprenditori.

Il movimento non è nato, quindi, dal nulla; al contrario, è espressione delle contraddizioni sociali della società di classe capitalista: da un lato disoccupati e lavoratori che subiscono sempre più pressioni e sfruttamento, dall'altro la piccola borghesia (quelli che guadagnano bene e i piccoli imprenditori), presa dalla paura del declino e abbandonata a un processo di proletarizzazione. Quindi, proprio a causa della sua composizione sociale, è un movimento interclassista, una rivolta popolare. Questa caratteristica si manifesta anche nelle richieste formulate, che sono state le più disparate, dall'abbassamento delle tasse all'aumento del salario minimo fino all'abolizione del numero chiuso all'università, ma anche il sostegno ai piccoli imprenditori e la difesa dell'industria francese. Questa caratteristica risulta evidente anche dal metodo di lotta: invece di attaccare il capitale nei suoi punti più deboli, ovvero dove si produce profitto, sul posto di lavoro, con scioperi a tempo indeterminato e blocchi alla produzione di beni, quindi con i metodi di lotta proletari originari, i “gilet gialli” si limitano quasi esclusivamente alle “manifestazioni del sabato”.

Nonostante tutto, per adesso, il movimento rappresenta un problema per il governo: è nato spontaneamente in questo modo ed ha ignorato i limiti legali prestabiliti. Di conseguenza è difficile controllarlo, ragion per cui lo Stato, come al solito, schiera anche l'artiglieria per neutralizzarlo.

Ancor prima che iniziassero le azioni, il premier francese Édouard Philippe aveva minacciato di punire i manifestanti con multe di varie migliaia di euro e con pene fino a due anni di reclusione. Trecentomila attivisti/e non si sono però lasciati intimorire. E anche quando, una settimana dopo, le manifestazioni non autorizzate dalla polizia a Parigi e in altre città sono sfociate in gravi disordini, più della metà dei francesi ha espresso la sua solidarietà con il movimento.

Contro il movimento, a parte quella della repressione, lo Stato ha giocato anche la carta della democrazia e dell'antifascismo, sin dall'inizio: la propaganda del governo ha infatti provato a bandire la protesta come di estrema destra e personaggi silurati del movimento del '68 come Cohn-Bendit si sono dati da fare per confermare che le proteste avrebbero favorito soltanto gli estremisti di destra. Anche il partito di sinistra tedesco (Die Linke) si è unito alla campagna denigratoria: il rappresentante del gruppo parlamentare, Fabio De Masi, ha espresso l'esigenza di isolare “la destra e i responsabili di violenza”, il presidente del partito Bernd Riexinger ha messo tutti in guardia contro un presunto “fraternizzare degli orientamenti di destra e di sinistra” e Sarah Wagenknecht, promotrice del movimento “Aufstehen” (“Ribellarsi”), prima di collocarsi davanti alla Cancelleria Federale con tanto di gilet giallo per richiamare l'attenzione, ha espresso il suo dispiacere per il fatto che “la protesta è stata compromessa dalla violenza” (ND del 6.12.18).

Last but not least, è evidente anche il ruolo dei sindacati ufficiali, quello di strumento dello Stato di pacificazione e di controllo. Il desiderio di un Macron sulla difensiva, rivolto ai sindacati affinché richiamassero i “gilet gialli” alla prudenza, alla rinuncia all'uso della violenza e all'apertura al dialogo, è stato esaudito immediatamente. In una dichiarazione collettiva delle grandi confederazioni sindacali, presentata dalla CFDT e sostenuta dalla CGT, “l'ira legittima” del movimento si prende come spunto per condannare la “violenza con la quale si esprimono le richieste” e si canalizza verso le trattative con il “governo pronto al dialogo”. Quando si tratta di contrastare il pericolo che la lotta sfoci in un movimento proletario, anche gli “innovatori neoliberali” e i “garanti dell'ordine dello stato sociale” si riuniscono!

Movimento popolare democratico

 

Il movimento dei “gilet gialli” è principalmente, come descritto prima, un movimento interclassista che coinvolge dipendenti, liberi professionisti e piccoli imprenditori, un “movimento popolare” nel quale le richieste democratiche trovano terreno fertile. Il suo simbolo è il tricolore che sventola sulla testa di molti attivisti, che dovrebbe essere un errato richiamo storico alla (borghese) rivoluzione francese del 1789 ed è, simbolicamente, la via d'accesso alla richiesta, spinta sempre più spesso dalla propaganda, di un referendum dei cittadini (Référendum d'initiative citoyenne – RIC), col quale potrebbero essere annullate leggi e revocate funzioni ai politici. Anche il premier Philippe, che già prima dei blocchi iniziali aveva minacciato multe e reclusioni, ha affermato: “il referendum può essere un ottimo strumento in una democrazia...”

Nonostante la puntuale brutalità degna di nota della repressione poliziesca, l'esperta borghesia francese intraprende la strada della neutralizzazione democratica. A parte qualche piccola concessione economica come il ritiro dell'aumento delle tasse (temporaneo) e un sussidio di 100 euro al mese per coloro che guadagnano il minimo salariale (rifiutando assolutamente di gravare ulteriormente gli imprenditori), il governo Macron reagisce principalmente con questa manovra politica: una “commissione nazionale del dibattito pubblico” (CNDP) dovrà organizzare nei primi tre mesi del nuovo anno dibattiti in tutto il Paese, i cui risultati dovranno poi confluire nel dibattito parlamentare previsto su un'eventuale modifica della costituzione. E nel caso in cui questa individualizzazione civica degli elettori non bastasse ad organizzare un dibattito conforme al sistema, questo verrà limitato comunque soltanto a quattro temi (senza alcun riferimento alle classi): tasse, cambio climatico, democrazia e organizzazione dello Stato e ovviamente… immigrazione!

Non solo nella sua affinità democratica, anche nel metodo di lotta concentratosi sulle manifestazioni e sui blocchi stradali si vedono i limiti del “movimento popolare” dei gilet gialli. A prescindere da qualche breve scontro, fin troppo sopravvalutato dagli anarchici autonomi “insurrezionalisti”, un movimento del genere è destinato ad esaurirsi nelle sue richieste allo Stato legislativo, poiché gli mancano omogeneità e la forza sociale che è insita nella lotta della classe lavoratrice: l'azione unitaria al centro della produzione capitalista di plusvalore, l'organizzazione e lo sciopero sul posto di lavoro. Proprio questa è la più grande paura della borghesia francese, che la scintilla dilaghi e che, di conseguenza, all'improvviso tornino all'ordine del giorno le lotte operaie originarie. Così, all'annuncio di sciopero dei camionisti, ad esempio, a inizio dicembre, la reazione è stata soddisfare immediatamente le loro richieste, prima ancora che lo sciopero iniziasse.

Lotta di classe proletaria

 

La grande contraddizione insita nel movimento dei “gilet gialli” sta nel fatto che, da un lato, il movimento è espressione della profonda insoddisfazione proletaria, d'altra parte, però, la tiene prigioniera in uno spazio che include in parte il proletariato, ma soprattutto le classi medie. C'è una logica interna che accomuna le richieste sociopolitiche che il movimento rivolge allo Stato capitalista e le idee plebiscitarie di organizzazione democratica dello stesso (che si esprimono nel RIC). In contrapposizione a tutto ciò, noi comunisti puntiamo sulla lotta di classe che ne deriva, che implica l’abbattimento del potere borghese e l’istituzione della dittatura del proletariato come ponte di passaggio verso la società senza classi (Marx). Ovviamente, lunga, difficile e piena di contraddizioni e fallimenti è la strada verso la riappropriazione della lotta di classe da parte della classe dei lavoratori, e non sempre si manifesta sotto forma di “autentico” sciopero di massa. Il fatto che tanti proletari svolgano anche il lavoro riproduttivo (madri e padri, ad esempio), non abbiano un'occupazione o vengano isolati sul posto di lavoro, spesso non lascia altra scelta che scendere in strada, seppure con il movimento dei “gilet gialli”. Il compito delle/dei comuniste/i non può essere, tuttavia, quello di sostenere solo questa lotta e promuovere movimentismi ciechi.

Dobbiamo guardare ad una lotta che non si esaurisca in una protesta del sabato, al centro della quale ci sia lo sciopero classico, ma uno sciopero che debba coinvolgere su tutto il territorio tutti i metodi propri della lotta proletaria (dai picchetti ai comitati di lotta, dal blocco del traffico di merci alle iniziative nei quartieri fino alle azioni militanti finalizzate). Tutto ciò richiede l'autonomia del proletariato come classe in contrapposizione al generico “movimento popolare” e, allo stesso tempo, il massimo utilizzo della sua dinamica di lotta. Essendo noi comunisti/e consapevoli, grazie a secoli di esperienza, che le proteste come quelle dei “gilet gialli” resteranno un fuoco di paglia e che, prima o poi, l'egemonia borghese si affermerà, probabilmente anche sotto forma di partito (sia esso “populista” o “riformista”, in ogni caso antiproletario), dobbiamo rivendicare l'auto-organizzazione dei lavoratori e contrastare le manovre democratiche interclassiste.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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