Pubblicando quest’articolo dell’ormai lontano ottobre 1921, non vogliamo solo ricordare una pagina delle prime battaglie della giovane Sezione Italiana dell’Internazionale Comunista, ma riproporre un’articolazione fondamentale dell’azione del Partito Comunista tra le file e a contatto della classe di cui è espressione e quindi parte fondamentale.

L’individuazione di un “fronte unico” che, per l’appunto, unifichi con obiettivi pratici, chiari e perseguibili i diversi settori in cui la borghesia mantiene diviso l’insieme dei venditori di forza lavoro – noi proletari nella nostra condizione elementare di classe in sé, funzione meramente economica del modo di produzione capitalistico – non è un’invenzione del 1921 o un volontaristico espediente tattico che si illuda di costruire a tavolino “consenso” e “seguito” tra le masse per il Partito.

E’ la traduzione e l’applicazione, in questi tempi di confusione nelle file del movimento proletario, della constatazione – e dunque della direttiva permanente – del Manifesto del partito comunista del 1848 che ci ricorda che i comunisti si distinguono sempre per la loro capacità di rappresentare (perseguire), contemporaneamente, gli interessi contingenti, immediati, della classe operaia e quelli storici, generali.

Nel 1921, a quattro anni dall’Ottobre russo, siamo in un momento nel quale gli interessi immediati e quelli storici sono ancora vicini, quasi coincidenti, dopo la conclusione del primo macello interimperialista. L’Internazionale Comunista nasce e lavora per la rivoluzione nel mondo, per trasformare la Rivoluzione russa in Rivoluzione internazionale, nonostante le prime battute d’arresto nel cuore dell’Europa.

Il Fronte Unico, così come viene articolato e proposto in quanto soluzione tattica per tutti i paesi compiutamente capitalistici dalla sezione italiana dell’Internazionale Comunista, è uno strumento di agitazione politica e di preparazione rivoluzionaria che permette dunque ai “giovani” partiti comunisti – i cui militanti, quadri, dirigenti non hanno la stessa temprata preparazione ed esperienza dei compagni russi – di abilitarsi con una pratica di lotta quotidiana a diventare ed essere lo stato maggiore necessario, l’organo che dirige la classe nel processo rivoluzionario, proponendo obiettivi contingenti raggiungibili e metodi che vadano rafforzando l’indipendenza e l’antagonismo proletari nei confronti dello Stato capitalistico, della borghesia, contro i disegni conciliatori del riformismo opportunista in tutte le sue variegate forme.

Il Partito Comunista d’Italia sa per pratica ed esperienza che i rivoluzionari sono un’organizzazione minoritaria nella “statistica” della classe proletaria: pratica ed esperienza proprie, ma anche mutuate dalle vicende della Rivoluzione russa. Non ci si illude dunque che la rivoluzione sia un evento corrispondente a una crescita numerica dell’organizzazione rivoluzionaria, perché proprio l’esperienza e la pratica confermano la grande lezione del Manifesto del partito comunista: il Partito, pur nascendo dalla nostra classe ed essendone quindi espressione e rappresentazione, è comunque solo il suo organo – vale a dire, il raggruppamento più consapevole della classe, anche se, statisticamente, ne raggruppa solo una parte.

La capacità e il dovere di essere organo sono quindi una questione di lotta: e lo sono nella misura in cui, mentre la classe è costretta a muoversi dalle leggi oggettive del modo di produzione capitalistico, il partito riesce, nell’agitazione e nella pratica delle proprie parole d’ordine, a “rivelare la classe a se stessa”, a esercitare la propria funzione dirigente – il che si può (ma non necessariamente si deve) tradurre anche in una sua crescita numerica. Il Fronte Unico che il Partito Comunista d’Italia pratica come articolazione tattica (e proporrà senza mai stancarsi all’Internazionale Comunista) ha dunque confini ben precisi e soprattutto ha uno scopo ben preciso: la preparazione rivoluzionaria della nostra classe. Il lavoro di partito che qui proponiamo lo mette in evidenza, anche ad una prima, superficiale lettura.

Ma oggi, 2011, dopo che la parabola della lotta di classe ha sperimentato dal 1917 al 1927 la sconfitta del proletariato prima e poi, dal 1927 ai giorni nostri, il trionfo della controrivoluzione e delle sue mostruose “incarnazioni” (nazionalsocialismo staliniano, fascista, socialdemocratico, e tutte le declinazioni della democrazia) nelle forme dei moderni stati imperialisti; dopo che l’organizzazione sindacale si è inesorabilmente trasformata in un indispensabile organo di sostegno del moderno stato imperialista; oggi, che cosa vuol dire per il partito rivoluzionario riproporre, come sempre in direzione ostinata e contraria, la questione del Fronte Unito?

Come sempre, dobbiamo riconoscere con chiarezza la contingenza degli interessi immediati della nostra classe, nel loro manifestarsi con lotte minoritarie, locali, parziali, in Italia e ovunque nel mondo. Dobbiamo riconoscerne la fragilità e l’estemporaneità negli obiettivi e nelle forme di organizzazione.

Ma sulla loro base, agendo in questi movimenti con la forza, la capacità e l’esperienza che ci deriva dall’essere l’unica organizzazione che ha potuto e saputo attraversare la controrivoluzione salvaguardando l’ABC del comunismo, si tratta di operarne una critica che getti le basi della rinascita di un movimento rivendicativo di difesa economica e sociale, in grado di superare le contingenze, di darsi continuità e quindi di riconquistare carattere proletario e classista.

Oggi più che mai, il Fronte Unico si configura quindi come una pratica di lotta nel corso della quale la chiarezza degli obiettivi e dei metodi determinerà la forma attraverso cui, nello scontro con tutte le tendenze che si manifestano e si manifesteranno nel movimento proletario, la nostra classe potrà riprendere il suo cammino sul piano rivendicativo.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2011)

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