DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Se non è sostenuta  dalla posizione di classe del proletariato e del comunismo rivoluzionario, la polemica contro l’antirazzismo piccolo-borghese, democratico e popolare, può portare fuori strada. E’ vero infatti che il capitalismo tende storicamente verso la omogeneizzazione e integrazione delle varie razze: ma tale processo non può considerarsi compiuto né potrà mai compierlo davvero il capitalismo stesso. Avendo bisogno della libera circolazione di capitali e merci per  realizzare i più alti profitti, esso agevola certo anche la circolazione di tutti i gruppi umani, senza distinzione di razze, etnie, religioni, e senza distinzione di classe. Nello stesso tempo, però, la stessa natura nazionale e di classe dei vari stati capitalistici si pone come un ostacolo insormontabile a quella circolazione e a quel rimescolamento. Sebbene non conoscano patrie e confini, capitali e profitti sono sempre legati a determinati territori nazionali, dove trovano il loro riferimento diretto, la loro sicurezza e le loro garanzie, specie in periodi di crisi. Questo fatto agisce da controtendenza alla libera circolazione di merci e capitali, e dunque anche dei gruppi umani che ne sono strumento ed espressione.

Lo stesso processo contraddittorio agisce riguardo alla circolazione della merce forza-lavoro: i flussi di immigrazione sono agevolati, poiché il capitale ha necessità di utilizzare ogni tipo di manodopera disponibile, soprattutto a basso prezzo e in eccesso. Ma gli “stranieri”, i lavoratori di colore, gli immigrati, sono poi i più oppressi e maltrattati, rispetto ai lavoratori autoctoni, nei luoghi di lavoro come in tutto l’ambiente sociale, oggetto di sfogo del lurido perbenismo dei piccolo-borghesi e dell’aristocrazia operaia. La creazione di quartieri neri, portoricani, latino-americani negli Stati Uniti, o degli immigrati in genere in ogni parte del mondo, la ghettizzazione più o meno spinta, la xenofobia, ecc. (fenomeni riscontrabili in misura diversa ovunque, specie nelle grandi metropoli), sono tutte espressioni di questo processo fortemente contraddittorio, nel quale una parte della piccola borghesia tende a “risolvere” il problema  accentuando la repressione con il razzismo e il patriottismo, mentre un’altra parte della piccola borghesia (quella democratica o pseudo-socialista) spinge verso la conservazione, il mantenimento delle caratteristiche originarie (nelle variegate forme del cosiddetto “multiculturalismo”).

Il marxismo rivoluzionario, ponendosi dal punto di vista della completa integrazione e assimilazione delle razze ed etnie, si oppone sia al razzismo oppressore o xenofobo sia all’antirazzismo alla rovescia che tende a conservare o far valere le caratteristiche originarie in forme pacifiche o violente. Solo nel socialismo e a partire dalla dittatura proletaria, l’integrazione e poi la omogeneizzazione delle razze ed etnie troveranno la soluzione completa e definitiva. In ambiente capitalistico, non solo il processo è lento, contraddittorio, tormentoso e in ultima analisi tragico e distruttivo, ma ha bisogno, per fare importanti e reali salti in avanti (in direzione della lotta di classe), delle lotte che gli allogeni, gli stranieri, gli immigrati, hanno sempre dovuto combattere per avere più “diritti di cittadinanza”, cioè per divenire “classe nazionale” quanto alla forma. Se è a partire dalla dittatura proletaria che i problemi etnici e razziali potranno risolversi pienamente e definitivamente, è con la lotta di classe, e non di razza, che essi possono cominciare a porsi seriamente. Le lotte condotte lungo linee di razza e di etnia non solo non potranno risolvere alcun problema, andando dunque incontro o a una maggiore repressione e sconfitta oppure a una più accentuata ghettizzazione e isolamento, ma non fanno che inserire ulteriori divisioni e contrapposizioni nei ranghi proletari. E’ nella lotta di classe, ponendosi come salariati, che i lavoratori di altre razze ed etnie potranno scorgere la fine delle discriminazioni. E’ nella lotta di classe che i lavoratori autoctoni, maturando un’autentica prospettiva classista, dovranno farsi carico dei problemi degli allogeni, e lo dovranno fare partendo dalla considerazione che questi subiscono una doppia oppressione, sia come salariati sia come appartenenti ad altre razze ed etnie. I lavoratori autoctoni dovranno battersi anche contro questa seconda oppressione (che può esprimersi giuridicamente o di fatto), per vincere le resistenze e guadagnarsi la fiducia in quanto salariati: dovranno battersi contro il  razzismo che i lavoratori stranieri subiscono, per aiutarli a uscire dal loro antirazzismo, cioè dall’odio contro tutta la popolazione autoctona, senza alcuna distinzione di classe.

Nell’appello lanciato nel 1920 dalla III Internazionale ai lavoratori delle due Americhe, nella parte riguardante i lavoratori neri, si legge: “Essi devono essere spinti ad organizzarsi in sindacati e prepararsi all’azione comune con le grandi masse del proletariato”. E, più avanti: “I neri sono sfruttati sia in quanto razza, sia sul piano economico: ciò non toglie che il problema sia un aspetto del problema sociale, ma gli conferisce un carattere particolare, che deve essere compreso e messo a frutto”. E ancora: “Gli operai neri devono essere strappati alla influenza dei borghesi e degli intellettuali di colore che sognano di fare dei neri dei crumiri di professione; essi dovranno unirsi al proletariato bianco nella ferma convinzione che la loro lotta di razza deve fondersi con la lotta rivoluzionaria del lavoro contro il capitale” [1].

A distanza di 80 anni, e nonostante il sempre maggior rimescolamento di razze ed etnie, l’oppressione razziale contro gli allogeni, gli stranieri, gli immigrati,ecc. non si è attenuata: anzi, si è aggravata e si aggraverà sempre più, come sempre, con l’aggravarsi della crisi economica. In vista di situazioni più favorevoli alla lotta di classe, il “problema razziale” dovrà essere sottratto sia al pacifismo democratico piccolo-borghese che tende a conservare le caratteristiche e l’autonomia culturale di razze e di etnie sia all’antirazzismo che rivendica la lotta di razza fine a se stessa, magari anche in forme violente. Solo così sarà possibile trasformarlo in una reale e incisiva questione di classe.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2007)

 

 

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