DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Internazionale e internazionalista, il movimento proletario è già in tutta la sua pienezza teorica sullo scenario europeo dal 1848 al 1871: il Manifesto del partito comunista declina compiutamente fin dal suo esordio il programma storico della classe operaia nella sua definizione strategica. E precisa uno dei nostri testi fondanti: “Preferiamo parlare di strategia e non di tattica, in quanto le questioni, che l’incandescente periodo storico in cui fu pubblicato il Manifesto poneva sul terreno, non comportavano soluzioni particolari, locali contingenti, che potessero variare da luogo a luogo e consentissero successivi mutamenti e alternative di decisioni […] Senza strategia non vi è partito rivoluzionario. […] un’assonanza immediata faceva sì che al moto di Parigi facesse eco quello di Vienna, a quello di Varsavia quello di Milano, ecc., malgrado che ben diverse fossero nelle varie parti d’Europa le resistenze dell’agonizzante regime pre-borghese” (“I fattori di razza e nazione nella teoria marxista. Parte III: Punto 8”, il programma comunista, n.19/1953).

Già nel corso dei primi tentativi rivoluzionari, preparati da lotte, ribellioni, rivolte, il proletariato è la forza portante dell’ala radicale, democratica e repubblicana: “La strategia europea del 1848 vede dunque la classe operaia, nei vari Stati, alle prese con due compiti colossali: aiutare a completare la borghese formazione di Stati nazionali indipendenti; tentare di buttare giù il potere delle borghesie già vittoriose come di quelle ancora in cammino” (idem).

Il “popolo in armi”, la “nazione in armi”, parole d’ordine della borghesia rivoluzionaria, permettono al proletariato di porsi l’obiettivo dell’assalto al cielo. La sua organizzazione è ancora però più il frutto della volontà rivoluzionaria del suo nemico storico, che non la propria. Il passaggio dall’utopia alla scienza si compie nell’arco dei primi decenni dell’800, all’interno della lotta politica nella Francia della Restaurazione. Gli indirizzi, dati da Marx ed Engels, sono quelli di “stringere un’alleanza temporanea” con la borghesia “rivoluzionaria” contro i vecchi regimi feudali –  alleanza valida fin sulla soglia della presa del potere politico, con lo “scopo comune” di abbattere e distruggere l’Ancien régime, ma in piena indipendenza politica e organizzativa del proletariato, che consente di scavalcare nello stesso tempo la borghesia, spingendo il processo rivoluzionario in atto verso la “rivoluzione in permanenza”.

 

Il 1848 in Europa

Dal 1830 al 1848, in Francia la borghesia finanziaria e quella fondiaria sono unite nella monarchia di Filippo d’Orléans e lottano contro la borghesia industriale, la piccola borghesia e il proletariato. Tutti i tentativi di rovesciare, da parte soprattutto del proletariato, quest’alleanza reazionaria (1832) sono soffocati nel sangue, mentre le crisi economiche che si abbattono sull’Europa dal 1845 al 1848 spingono alla ribalta le classi sociali in ascesa: in primo piano, il proletariato. Le barricate del febbraio 1848 a Parigi, con alla testa il proletariato con un suo proprio “programma”, impongono la nascita di un Governo provvisorio e l’instaurazione della Repubblica; il proletariato rafforza questo potere provvisorio, minacciato dalla Guardia nazionale. In maggio, viene formalizzata col suffragio universale l’Assemblea Costituente. Da maggio a giugno, il proletariato cerca di rafforzare le sue posizioni, ma viene attaccato nelle sue conquiste immediate, e allorché, spinto dalla miseria, tenta l’insurrezione, la sconfitta è inevitabile. La profonda traccia del suo “programma immediato” appare nelle “Rivendicazioni del Partito Comunista in Germania”, pubblicate a Parigi il 30 marzo 1848: ristampate a Colonia in un volantino il 10 settembre, sotto l’insegna “Proletari di tutti i paesi unitevi!”, consentono di cogliere l'ampiezza del trapasso in corso in Europa.

Vediamo di seguito queste rivendicazioni:

1. La trasformazione dell'intera Germania in una Repubblica, una e indivisibile;

2. Ogni tedesco in età di 21 anni è elettore ed eleggibile, purché non abbia subito condanne penali;

3. I rappresentanti del popolo ricevono una diaria affinché anche l’operaio possa sedere nel Parlamento del popolo tedesco;

4. Armamento generale del popolo. Le armate sono in avvenire, nello stesso tempo, armate dei lavoratori, cosi che l’esercito non si limiti a consumare, come prima, ma produca ancor più dell’ammontare dei suoi costi di mantenimento; e questo, inoltre, un mezzo per l'organizzazione del lavoro;

5. L’amministrazione della giustizia è gratuita;

6. Tutti gli oneri feudali, tutti i tributi, le corvée, le decime, ecc., che fino ad oggi pesavano sulla popolazione contadina, sono aboliti senza alcuna indennità;

7. I possedimenti fondiari feudali, principeschi ed altri, tutte le miniere, cave, ecc., vengono trasformati in proprietà statale. Su questi poderi l'agricoltura viene esercitata in grande, e con le più moderne risorse della scienza, a vantaggio della collettività;

8. Le ipoteche sulla proprietà contadina vengono dichiarate proprietà statale. Gli interessi per quelle ipoteche vengono pagati dai contadini allo Stato;

9. Nelle regioni in cui è sviluppato il sistema delle affittanze, la rendita fondiaria o l'affitto viene pagato allo Stato come imposta. Tutti i provvedimenti di cui ai paragrafi 6,7,8,9, sono presi per ridurre gli oneri pubblici ed altri gravanti sui contadini e piccoli affittuari, senza incidere sui mezzi necessari per coprire le spese dello Stato e senza mettere a repentaglio la stessa produzione. Il proprietario fondiario in senso proprio, che non è né contadino né fittavolo, non partecipa in alcun modo alla produzione. Perciò il suo consumo è un puro abuso;

10. A tutte le banche private subentra una Banca di Stato, le cui banconote hanno corso legale. Questa misura permette di regolare il credito nell'interesse di tutto il popolo, e quindi mina il potere dei grandi detentori di fondi. Sostituendo gradualmente la cartamoneta all'oro e all'argento, essa rende più a buon mercato lo strumento indispensabile dei traffici borghesi, il mezzo di scambio universale, e permette di lasciar agire l'oro e l'argento verso l'esterno. Questa misura, infine, è necessaria per legare gli interessi dei borghesi conservatori alla rivoluzione.

11. Tutti i mezzi di trasporto: ferrovie, canali, battelli a vapore, strade, poste, ecc., sono presi in mano dallo Stato, convertiti in proprietà statale e messi a disposizione gratuita delle classi indigenti;

12. Nella remunerazione di tutti i funzionari statali, non esiste nessuna differenza oltre al fatto che quelli con famiglia, quindi con maggiori bisogni, ricevono anche uno stipendio superiore agli altri;

13. Separazione completa tra Chiesa e Stato. I sacerdoti di ogni confessione sono unicamente mantenuti dalla loro comunità volontaria.

14. Limitazione del diritto ereditario;

15. Introduzione di forti imposte progressive e abolizione delle imposte di consumo;

16. Istituzione di officine nazionali. Lo Stato garantisce la loro esistenza a tutti gli operai e provvede agli inabili al lavoro;

17. Istruzione popolare universale gratuita. E' nell'interesse del proletariato, della piccola borghesia e del ceto contadino tedeschi lavorare con tutta l'energia per l'attuazione delle suddette misure. Perché solo con essa i milioni che finora, in Germania, erano sfruttati da un piccolo numero, e che si cercherà di mantenere oltre nell'oppressione, possono conquistarsi il diritto e il potere che ad essi, in quanto creatori di ogni ricchezza, competono  (cit. in “Presentazione” a Marx-Engels, Il Quarantotto. La “Neue Rheinische Zeitung”, La Nuova Italia, 1970, pp.xi-xii).

Tutte queste rivendicazioni sono perfettamente compatibili con un'azione rivoluzionaria borghese condotta fino in fondo, ma nello stesso tempo capaci di innescare la “rivoluzione in permanenza” rivendicata da Marx ed Engels, in quanto il programma mette al centro della scena le masse più povere, i proletari degli atéliers, i braccianti e contadini poveri – un programma che la borghesia, nella sua estensione più ampia, pur aprendo un mondo nuovo, non può prendere in considerazione e spingere radicalmente oltre un dato limite. È il laboratorio rivoluzionario francese, tedesco, polacco, ungherese, italiano del 1848 a fornire quelli che saranno “gli insegnamenti della rivoluzione e della controrivoluzione” e la giusta strategia da allora in avanti.

Dopo la rivoluzione a Parigi, Marx scrive: “Il 22 giugno si ingaggiò la prima battaglia fra le due classi, che dividono la moderna società. Era la lotta per la conservazione o la distruzione dell'ordinamento borghese […]. All'insurrezione di giugno il proletariato era stato trascinato dalla borghesia. Già in ciò stava la sua sentenza di condanna [...] ci volle la sua disfatta per convincerlo della verità che il più meschino miglioramento della sua situazione rimane un'utopia entro la repubblica borghese, un'utopia che diventa delitto, non appena vuole attuarsi. Al posto delle sue rivendicazioni, esagerate quanto alla forma, piccine e persino ancora borghesi quanto al contenuto, entrò in scena l'ardito motto di guerra rivoluzionario: distruzione della borghesia! dittatura della classe operaia! [...] Se l'insurrezione di giugno, dappertutto sul continente, sollevò nella borghesia la coscienza di se stessa, facendola entrare in alleanza aperta colla monarchia feudale contro il popolo, chi fu la prima vittima di tale alleanza? La stessa borghesia continentale, costretta dalla disfatta di giugno a rafforzare il proprio dominio e a contenere sull'infimo gradino della rivoluzione borghese il popolo, metà pacificato, metà malcontento. La disfatta di giugno da ultimo svelò alle potenze dispotiche d'Europa il segreto dell'obbligo, che aveva la Francia, di mantenere, ad ogni patto, la pace con l'estero, al fine di poter condurre la guerra civile all'interno. Per tal modo i popoli, che avevano cominciato la lotta per l'indipendenza, venivano abbandonati in balia della prepotenza della Russia, dell'Austria e della Prussia; ma nello stesso tempo, il destino di queste rivoluzioni nazionali, subordinato al destino della rivoluzione proletaria, era spogliato della sua apparente autonomia, della sua indipendenza dalla grande trasformazione sociale. L'ungherese non può essere libero, non il polacco, non l'italiano, insino a che l'operaio rimane schiavo!” (da Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Cap. I).

Il fallimento e la sconfitta delle rivoluzioni borghesi mettono momentaneamente in secondo piano la spinta rivoluzionaria del proletariato. Il “baluardo reazionario russo”, alleato alle potenze capitalistiche, riesce a frenare e bloccare il processo rivoluzionario borghese. La borghesia tedesca chiude, con un nulla di fatto (tra le accuse di Marx ed Engels) e ancor peggio con un compromesso con la classe degli Junker (i proprietari fondiari), il suo tentativo; la Polonia non sfugge alla presa della Russia, né l'Ungheria a quella dell'Austria; l'Italia è sconfitta. Tutto l'Est europeo è compresso tra le potenze reazionarie austriaca e russa.

La strategia del solo proletariato è comunque espressa senza equivoci:

Scopo dell’associazione è l’abbattimento di tutte le classi privilegiate, la loro sottomissione alla dittatura dei proletari, in cui la rivoluzione viene mantenuta in permanenza fino alla realizzazione del comunismo, ultima forma di costituzione della famiglia umana” (Marx-Engels, “Primo articolo degli Statuti Universali dei comunisti rivoluzionari”).

E ancora: “Mentre i piccolo-borghesi democratici vogliono portare al più presto possibile la rivoluzione alla conclusione, è nostro interesse e nostro compito rendere permanente la rivoluzione sino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano scacciate dal potere dello Stato, sino a che l’associazione dei proletari, non solo in un paese, ma in tutti i paesi dominanti del mondo, si sia sviluppata al punto che venga meno la concorrenza tra i proletari di questi paesi, e sino a che almeno le forze produttive decisive non siano concentrate nelle mani dei proletari. Non può trattarsi per noi di una trasformazione, ma di una distruzione; non del mitigamento dei contrasti di classe, ma della abolizione delle classi; non del miglioramento della società attuale, ma della fondazione di una nuova società [] Ma essi stessi [i proletari, ndr] devono fare l’essenziale per la loro vittoria finale chiarendo a se stessi i loro propri interessi di classe, assumendo il più presto possibile una posizione indipendente di partito, e non lasciando che le frasi ipocrite dei piccolo borghesi democratici li sviino nemmeno per un istante dalla organizzazione indipendente del proletariato. Il loro grido di battaglia deve essere: la rivoluzione in permanenza! (Marx-Engels, Indirizzo del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti, marzo 1850).

A chiusura del 1848, si formula anche il giudizio negativo di Marx ed Engels a proposito dei “popoli senza storia”, gli slavi, che in nome di un'identità più etnica che politica (il “panslavismo più o meno democratico”) si sono trovati a essere usati come mercenari delle armate austriache e russe contro i movimenti di liberazione nazionale. Bisogna aspettare la nascita dell'Associazione internazionale dei lavoratori del 1864 (AIL, o Prima Internazionale) per cogliere l'entusiasmo di Marx per le “guerre progressiste” condotte dalla Germania contro l'Austria (la guerra anti-danese), la liberazione dei servi della gleba e le sconfitte in campo militare della Russia. Sebbene in ritardo, da allora lo sviluppo delle borghesie europee promette bene: l’emergere del capitalismo in Germania sotto guida prussiana sta spingendo verso la fondazione unitaria dello Stato tedesco.

Il movimento rivoluzionario in Polonia (1864-'67)

Nel 1851, Marx ed Engels non credono alla rivoluzione borghese polacca: “ci sono più elementi di civiltà in Russia che in Polonia”, scrivono. Ma dodici anni dopo devono ricredersi: nel 1863, la Russia dorme e la Polonia ribolle di fermenti rivoluzionari – quindi, grande simpatia per il movimento rivoluzionario polacco. Scrivendo a Engels dell’eroica insurrezione nelle città e nelle campagne polacche, divenuta una vera e propria guerra civile contro le forze russe, Marx dichiara: “È certo che l'era delle rivoluzioni si è completamente riaperta in Europa”. Il movimento rivoluzionario borghese in Polonia si presenta con una grande complessità, schiacciato com’è tra l’area slava a sud-est e quella franco-tedesca a ovest.

Quando nasce la Prima Internazionale (Londra, 28 settembre 1864), il tema delle lotte nazionali diventa sempre più importante: soprattutto il “movimento nazionale polacco”, teso a liberarsi dalle grinfie della Russia. Si tratta di uno schieramento politico netto e dall’Internazionale viene dato il più completo appoggio alle forze proletarie. La rivolta polacca è considerata come un punto centrale per il ritorno di una situazione rivoluzionaria e di lotta generale in tutto il continente. Le considerazioni nascono dalla visione materialistica della storia e dallo sviluppo delle forze produttive. I “nazionalisti” prussiani, che tentano di strappare all’imperatore di Vienna la figura di capo della Confederazione germanica, ipocritamente solidali con l'Italia e l'Ungheria che lottano per l’indipendenza nazionale, si schierano contro i polacchi. I rivoluzionari democratici russi, a loro volta, nonostante la loro predilezione per il “panslavismo democratico”, difendono invece i polacchi contro la Russia ufficiale.

Per quanto riguarda l’ipocrita simpatia della Francia e di quella inglese verso i polacchi, Marx diffida della loro posizione politica. L'Internazionale, con la sua azione a favore della Polonia, mira ad affrettare il movimento rivoluzionario e fa leva per un programma di azione pratica. Nella sua assemblea costitutiva alla Martin’s Hall di Londra, fa assegnamento sulla lotta di classe: il suo piano è, da un lato, un breve indirizzo politico diretto agli operai di tutti i paesi, dall’altro la pubblicazione e diffusione di opuscoli riguardanti la questione polacca e, per finire, un’ampia discussione in seno al Consiglio Generale, da Marx presieduta, sull’azione da svolgere. I dibattiti sono del più alto interesse e tendono a chiarire molti dei problemi politici del momento. L’azione pro-Polonia ha l’obiettivo di sviluppare al massimo l’agitazione operaia in Europa e affrettare le occasioni di un movimento rivoluzionario. Si tratta di precisazioni di principio sul problema storico dell’appoggio del proletariato internazionalista alla lotta nazionale. L’interesse per la Polonia in rivolta è molto importante: il Consiglio Generale, infatti, non solo tiene contatti diretti con la borghesia polacca, ma riceve in una seduta perfino i rappresentanti dell’aristocrazia polacca, assicurando che la rivoluzione nazionale in Polonia sarebbe impossibile senza la sollevazione contadina. La questione nazionale è, dunque, al primo posto.

Commentando l'acceso dibattito nel Consiglio Generale, un delegato, poi espulso, lamenta il fatto che, invece di rivendicare “la solidarietà dei popoli” e “la lotta sociale”, viene messa al primo posto la “rivoluzione nazionale” contro la Russia; accusa inoltre l’Internazionale di essersi trasformata in un “comitato di nazionalità”, aggiungendo inoltre che non è classista né internazionalista suscitare una guerra nazionale; e, a propria difesa, ricorda “l’emancipazione recente in Russa e Polonia dei servi della gleba”: invece di proclamare la “solidarietà di tutti i popoli”, si mette al bando dell’Europa il popolo russo”. Siamo totalmente dell'avviso, replica Marx, che ogni rivoluzione in armi “contro le condizioni sociali esistenti” vale più di una teoria di “spropositato estremismo” e di un “pacifismo dei popoli”, che invocano l'amplesso tra le borghesie di Occidente e lo Zar di tutte le Russie, credendo o fingendo di essere classista.

Nel 1866, Marx chiarisce ancora una volta la politica dell'Internazionale sul tema della “questione nazionale” e sottolinea che: “Nella misura in cui nell’Indirizzo interviene la politica internazionale, io parlo di paesi e non di nazionalità e denunzio la Russia e non i piccoli Stati”. La questione delle nazionalità assume un aspetto ancor più rilevante in Russia: l’attenzione di Marx non si stacca un momento da quel paese, in quanto egli considera l’esercito dello Zar come l’armata di riserva della controrivoluzione europea, pronto a passare le frontiere ovunque si tratti di ristabilire “l’ordine”, soffocando ogni nuovo moto che nel centro dell’Europa tenda a rovesciare gli Stati dell’antico regime, tagliando così la via ai vari sbocchi da cui può uscire la rivoluzione del proletariato. Le considerazioni di natura metafisica di Bakunin sul concetto quasi mistico di “nazionalità” e in particolare della “nazionalità slava”, non diverse da quelle del Bund ebraico in Russia, sono al centro della sua critica.

Nel 1867, le manifestazioni filo-polacche dei parigini contro la Russia e lo sciopero degli operai polacchi sono segnali di una crescita straordinaria del movimento polacco. Ma Marx chiarisce: “solo la lotta contro il Capitale la farà finita con i pregiudizi nazionali”. La “questione polacca” si dimostrerà poi una delle rogne più terribili che il movimento di classe proletario dovrà trascinarsi dietro come una palla al piede.

Il 1867-1871 in Irlanda

Alla fine degli anni ‘60, emerge in primo piano la “questione irlandese”. Marx aveva messo le questioni nazionali (polacca, tedesca, ungherese, italiana, irlandese) al centro della strategia rivoluzionaria proletaria e faceva assegnamento sulla loro soluzione. Contava sulle capacità rivoluzionarie della borghesia e sull'indipendenza organizzativa del proletariato per strappare il potere alla borghesia stessa, una volta che questa avesse preso il potere. Faceva conto sulle sconfitte militari dei regimi feudali, di modo che le borghesie trovassero la forza per compiere le loro rivoluzioni con grande vantaggio per il proletariato, che già premeva alle loro calcagna. 

In Irlanda, dopo il risveglio del 1848 dei moti rivoluzionari e insurrezionali, la proprietà fondiaria irlandese si accorda con la borghesia inglese (un‘alleanza reazionaria da un lato e imperialista dall’altro), per impedire qualsiasi risveglio rivoluzionario. All’Internazionale, Marx richiede che la questione nazionale irlandese venga inserita fra le altre questioni, di cui la principale è la “questione sociale”. L'attività rivoluzionaria della borghesia irlandese in quegli anni è complessa: si avvale del terrorismo, dell'attività semi-anarchica “alla latina”, ma è anche collaborazionista nello stesso tempo in cui organizza lotte di massa.

Tutto ciò spinge Marx a sostenere la necessità prioritaria della rivoluzione irlandese come mezzo per la rivoluzione proletaria in Inghilterra. Da questo lato dell'Europa, è l'Inghilterra e non la Russia a essere considerata da Marx un misto di reazione politica, nell'alleanza tra proprietari fondiari irlandesi e imperialismo inglese. Se viene sconfitto il landlordismo in Irlanda, difeso dall'esercito inglese, anche in Inghilterra (spiega Marx) il processo rivoluzionario si mette in moto: questa lotta, concentrata esclusivamente sulla proprietà terriera, è nello stesso tempo “lotta nazionale del popolo irlandese”, che “è più rivoluzionario di quello inglese”; se si spezza quell’unità reazionaria (tra le due borghesie irlandese e inglese), anche il proletariato inglese sarà costretto a uscire dall'opportunismo in cui è caduto in quegli anni. La divisione tra proletariato irlandese e inglese, l'odio e l'antagonismo creati ad arte, sono il vero segreto del mantenimento del potere della borghesia inglese “sul suo proletariato”; d’altronde, il numeroso esercito inglese, addestrato come soldataglia in Irlanda, viene impiegato contro gli operai inglesi nel caso di lotte operaie. “L'atteggiamento dell'Internazionale sulla questione irlandese è molto chiaro. Il suo primo obiettivo è quello di incoraggiare la rivoluzione sociale in Inghilterra: a tale scopo un grande colpo deve essere inferto in Irlanda [...] è una precondizione per l'emancipazione della classe operaia inglese il trasformare l'attuale Unione coercitiva (e cioè l'asservimento dell'Irlanda) in una confederazione tra uguali e libera possibile, in una separazione completa, se è necessario”. Quindi unità per principio, federazione per necessità o separazione, se non se ne può fare a meno.

Se l'autodeterminazione irlandese nel corso della lotta d'indipendenza riesce a scuotere pesantemente “sia economicamente che politicamente” l'Inghilterra, allora la rivoluzione proletaria potrà portarsi dall'Irlanda in Inghilterra. In un primo tempo, Marx aveva dunque ritenuto che solo la rivoluzione proletaria in Inghilterra avrebbe potuto liberare l'Irlanda dall'oppressione nazionale inglese: ma più tardi, osservando la condizione della classe operaia inglese, asservita alla borghesia, cambia la posizione tattica (che aspettava appunto dalla rivoluzione proletaria inglese, dal proletariato più avanzato, l'innesco per la rivoluzione nazionale irlandese) e ritiene che la possibilità di accelerazione del processo rivoluzionario in Inghilterra (“quindi nelle metropoli”) possa arrivare dalla soluzione della rivoluzione nazionale irlandese. Che significa? Soluzione di un problema nazionale come tappa per la rivoluzione proletaria inglese: cioè, prima la rivoluzione irlandese e poi quella sociale in Inghilterra? Sarebbe la negazione della “rivoluzione in permanenza” dello stesso Marx del 1848 (e per giunta in un periodo storico, 1867-’71, in cui la classe borghese rivoluzionaria, quella irlandese, non ha più la determinazione antifeudale di un tempo). Non è questo che Marx afferma! Al contrario: “nel momento in cui l'Unione forzata tra i due paesi finisce, una rivoluzione sociale esploderà immediatamente in Irlanda, anche se in forme arcaiche”. (Marx-Engels, Sull'Irlanda, Ed. Economia e Socialismo, pp. 165-197).

Marx fa conto su una “doppia rivoluzione” in Irlanda che coinvolgerebbe l'Inghilterra. Il proletariato irlandese, lottando contro l'oppressione inglese (perché questo è il suo nemico visibile e immediato) e rivendicando la propria indipendenza politica, si rivelerebbe una forza per niente subalterna alla borghesia irlandese, se, approfittando della situazione di crisi (conflitto tra nazione dominante e nazione oppressa), coglierà l'opportunità storica rivoluzionaria che gli si offre; se, scavalcando la propria borghesia, si impadronirà del potere in Irlanda. Allora è possibile che il proletariato inglese, addormentato dalle mille briciole che gli sono state concesse, si risvegli alla lotta di classe e, in stretta alleanza con il fratello di classe (il proletariato irlandese), sviluppi l’azione rivoluzionaria contro entrambe le borghesie.

Dove sta quindi la contraddizione principale? Nel fatto che il proletariato inglese manca al suo compito storico di fratellanza, mentre si esasperano i contrasti nazionali e domina la soggezione all’aristocrazia operaia e alla mentalità coloniale: è questo che rende la borghesia inglese invulnerabile. Sempre Marx: “In tutti i centri industriali e commerciali dell’Inghilterra vi è adesso una classe operaia divisa in due campi ostili, proletari inglesi e proletari irlandesi. L’operaio comune inglese odia l’operaio irlandese come un concorrente che comprime il suo tenore di vita. Egli si sente di fronte a quest’ultimo come parte della nazione dominante e proprio per questo si trasforma in strumento dei suoi aristocratici e capitalisti contro l’Irlanda, consolidando in tal modo il loro dominio su sé stesso. L’operaio inglese nutre pregiudizi religiosi, sociali e nazionali verso quello irlandese. Egli si comporta all’incirca come i bianchi poveri verso i negri negli Stati un tempo schiavisti dell’unione americana. L’irlandese lo ripaga con la stessa moneta. Egli vede nell’operaio inglese il corresponsabile e lo strumento idiota del dominio inglese sull’Irlanda. […] L’antagonismo tra inglesi e irlandesi è il fondamento nascosto del conflitto tra Stati Uniti e Inghilterra. Esso rende impossibile ogni seria e sincera collaborazione tra le classi operaie dei due paesi. Esso permette ai governi dei due paesi, ogni volta che lo ritengano opportuno, di togliere mordente al conflitto sociale aizzandoli uno contro l’altro, sia in caso di necessità, mediante la guerra tra i due paesi […]. Questo antagonismo viene alimentato artificialmente e accresciuto dalla stampa, dal pulpito, dai giornali umoristici, insomma con tutti i mezzi a disposizione delle classi dominanti. Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione. Esso è il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica”. (Karl Marx, Estratto sulla questione irlandese. Dalla lettera a Sigfried Meyer e August Vogt, 9 aprile 1870).

Qual è allora la consegna al proletariato inglese? Esso dovrà rivendicare l'autodeterminazione nazionale e la separazione tra Irlanda e Inghilterra. Potrà assistere passivamente all'oppressione del fratello proletario? Potranno restare indifferenti nella lotta il proletariato inglese e quello irlandese? Nella lotta contro la “propria” borghesia e il suo Stato, il primo dovrà opporsi a ogni forma di discriminazione sociale e non dovrà mai indulgere in espressioni di indifferentismo e negazionismo o, peggio, di partecipazione alla repressione, avendo ben chiaro che l'alleanza tra borghesia e proletariato della nazione oppressa, associata al proprio collaborazionismo con la nazione che opprime, sarebbe la catastrofe per il proletariato delle due nazioni. Dunque, “disfattismo rivoluzionario”; dunque, “fraternizzazione” e “sostegno reciproco” contro le due borghesie, senza tentennamenti.

Dopo la Comune di Parigi, la realtà irlandese occupa un posto di primo piano insieme alla questione polacca. Tuttavia, il collaborazionismo fra le due borghesie trasforma il problema irlandese in una delle tante cancrene d'Europa: infatti, la cosiddetta “liberazione irlandese” giungerà solo nel corso del primo conflitto mondiale, nel 1916.

La guerra franco-prussiana e la Comune di Parigi

Nel 1870-'71, con la guerra franco-prussiana si riapre, dopo la sconfitta del 1848, il processo rivoluzionario in Europa. Quello che appare un conflitto locale si rivela un’anticipazione di quelle che saranno le guerre mondiali del ‘900; e mette al centro della scena politica combattente il proletariato, che da pochi anni ha fondato la sua Prima Internazionale. Tutta l’Europa operaia si risveglia. Le sezioni operaie di Berlino, Chemnitz, Braunschweig, Parigi, Lione, Marsiglia, Rouen, Brest entrano in fibrillazione: le riunioni, le dichiarazioni, le pubblicazioni, i documenti, i manifesti, i volantini mostrano con evidenza il carattere dell’intensa e appassionata partecipazione operaia.  Le direttive di Marx cominciano a circolare fra i compagni delle sezioni e investono il Consiglio Generale e le segreterie dei diversi paesi: sono due Indirizzi, che riproduciamo a parte nella loro interezza, limitandoci qui a sottolinearne i passi fondamentali.

Il Primo Indirizzo (Londra, 23 luglio 1870) esprime la necessità che la Francia imperialista sia boicottata con il “disfattismo rivoluzionario” da parte del suo proletariato (“la sezione parigina dell'Internazionale, interpretando il sentimento e la volontà di tutta la classe operaia, deve pronunciarsi contro la guerra, tenuto presente che il proletariato francese non è in grado con le sue forze di battere Napoleone III”). La guerra della borghesia tedesca “aggredita”, che non ha ancora formalmente raggiunto l'unità nazionale, è “guerra di difesa” e va (“purtroppo”, scrive Marx) sostenuta dagli operai tedeschi contro l'imperialismo francese, contro la sua guerra di conquista. “Con profondo rammarico e con dolore ci vediamo costretti a sottostare a una guerra di difesa, come una sciagura inevitabile”: così si esprime il Comitato Centrale della sezione di Brunswick dell'Internazionale. Battere Napoleone III è l'unico modo pratico per mettere in pratica l'internazionalismo proletario. Anche se per principio si è contro la guerra, dal punto di vista pratico, e valutando realisticamente gli eventi, si deve tener presente che la guerra si prefigge come obiettivi l'indipendenza della Germania, la liberazione della Francia e dell'Europa dall'incubo del Secondo Impero. Marx fa intendere anche che, avendone “la possibilità”, cioè la forza organizzata, il proletariato dovrebbe disfarsi di tutti i principi tedeschi, nonché di Bismark e del suo sovrano, per realizzare l'unità del paese senza la guerra nazionale.

Qual era la condizione perché la guerra franco-prussiana si risolvesse in modo favorevole allo sviluppo storico europeo, in vista dell'affermazione della rivoluzione proletaria nei paesi più progrediti dell'Occidente e della rivoluzione permanente nei paesi arretrati del Centro Europa e della Russia? Era che la guerra di parte tedesca non perdesse il suo carattere difensivo e che, battuto Napoleone III, si concludesse con una “pace dignitosa”. Marx affida al proletariato il compito di non far degenerare la guerra e di impedire l'alleanza controrivoluzionaria borghese-feudale. Ma il rovesciamento di fronte nel corso della guerra (l'occupazione dell'Alsazia e la Lorena da parte tedesca) spinge Marx nel Secondo Indirizzo (Londra, 9 settembre 1870) a dichiarare che la guerra è imperialista e quindi va ostacolata con il disfattismo rivoluzionario da entrambi i fronti. Scrive infatti: “Annettere l'Alsazia-Lorena sarebbe il miglior modo per trasformare questa guerra in un’istituzione europea: sarebbe in effetti il più sicuro mezzo di eternare nella Germania il dispotismo militare indispensabile alla conservazione di questa Polonia occidentale, l'Alsazia-Lorena. È il mezzo più infallibile di trasformare la pace futura in una semplice tregua fino a che la Francia si senta in grado di rivendicare i territori perduti. È il mezzo più infallibile perché la Francia e la Germania si scannino a vicenda”.

Sconfitta la Francia, i proletari di Parigi insorgono e prendono il potere contro l'esercito prussiano invasore e contro quello francese sconfitto, ora alleato con i prussiani contro la minaccia proletaria. La guerra degli operai contro le due borghesie è “guerra di difesa”, “guerra della nazione francese” in quanto alla forma che essa ha assunto, ma la “forma nazionale” del “potere proletario” istaurato non può reggere: l'equilibrio è instabile, poiché il proletariato, “classe internazionale nel suo contenuto”, non può rimanere in questa condizione. Tende a trascendere la forma nazionale, non può rimanere nella forma larvale in cui si è affermata la rivoluzione. Scrive per l’appunto Marx: “Com'era possibile difendere Parigi senza armare la sua classe operaia, senza organizzarla, in una forza effettiva di guerra, senza istituire i suoi ranghi, senza il combattimento stesso? Ma Parigi in armi era la rivoluzione in armi. Una vittoria di Parigi sull'aggressore prussiano sarebbe stata una vittoria dell'operaio francese sul capitalista francese e i suoi parassiti dello Stato. In questo conflitto tra il dovere nazionale e l'interesse di classe, il governo della Difesa Nazionale [di Thiers] si trasformò in governo della Diserzione Nazionale”.

La classe proletaria dichiara dunque apertamente la propria dittatura contro le due borghesie alleate. Con la disgregazione dell'apparato statale borghese di Napoleone III, la forma nazionale tende a svuotarsi, ma le condizioni storiche internazionali non sono mature perché un tale risultato storico si compia completamente e rapidamente. In “Socialismo e nazione” (Battaglia comunista, n.9/1950), scrivevamo: “Il proletariato ha plaudito alla disfatta di Napoleone III, ma non può ancora essere indifferente alle sorti della nazione. Non è abbastanza maturo per scorgere in tutta la sua pienezza il suo compito di classe. Per mezzo secolo si commemorò la Comune e sembrò a molti incerto il gioco del fattore nazionale[...] rispetto a quello classista e rivoluzionario. [...] La storia non aveva dipanata la matassa di incontro fra le esigenze nazionali e quelle classiste, i partiti socialisti del tempo seguivano dottrine inadeguate, ma il proletariato comprese che […] fra i patti di armistizio [tra Francia e Prussia] c'era l'impegno di disperdere la canaglia rivoluzionaria a Parigi. […] Resta alla storia della rivoluzione operaia, insieme al primo esempio storico della sua rossa dittatura, la definitiva liberazione della pregiudiziale nazionale, il cui peso era stato riconosciuto dalla teoria marxista”.

La consegna al proletariato di tutte le altre nazioni è quella di difendere la Comune Rossa, il primo Stato del proletariato, e di espandere il processo rivoluzionario. Per quanto la Comune abbia avuto il sostegno dei proletari di tutta Europa, lo sviluppo rivoluzionario non poteva compiersi su un piano più ampio. Nel momento in cui la lotta di classe va divampando, lo “Stato nazionale borghese” si riprende dal colpo che gli è stato sferrato e servendosi degli apparati di forza delle due borghesie alleate, prussiana e versagliese, lancia un'offensiva senza scampo, dimostrando che l'alleanza di classe è la realtà della dittatura della borghesia sul piano europeo. Non appena la lotta tra borghesia e proletariato divampa, la maschera nazionale viene tolta e la difesa dell'interesse borghese, che ha nella forma nazionale la sua realtà materiale, si tramuta nel massacro dei Comunardi.

L'unione dei versagliesi e dei prussiani per schiacciare nel sangue la Comune rossa condusse al bilancio storico definitivo nell'Europa occidentale: “il più alto slancio di eroismo, di cui la vecchia società è ancora capace, è la guerra nazionale e oggi è dimostrato che questa non è altro che una mistificazione governativa, la quale tende a ritardare la lotta di classe e viene messa in disparte non appena la lotta di classe divampa in guerra civile”.

Da allora e per tutto l'arco di tempo che porta alla rivoluzione del 1905 in Russia, il processo rivoluzionario si eclissa e la borghesia europea si rafforza e dilaga. È l'epoca (relativamente pacifica) in cui le grandi trasformazioni borghesi si accompagnano all’affermazione delle organizzazioni sindacali e delle formazioni politiche della classe operaia: il laburismo e la socialdemocrazia. Lo sviluppo dell'Inghilterra, della Francia, della Germania, è prorompente. Verso la fine del secolo XIX, nascono altri partiti operai e altre nazioni si affacciano sulla scena mondiale. Il capitale ha sempre più bisogno di materie prime e di mercati: l'epoca del colonialismo sfocerà nell'imperialismo e nel primo conflitto mondiale. Il “fattore nazionale” si presenta come una pregiudiziale determinante nell'evoluzione della moderna borghesia europea: compito delle “nazioni civili” diventa quello di esportare la conquista del moderno Stato nazionale. E così, nelle valutazioni dei socialdemocratici tedeschi, il colonialismo, invece di essere mezzo di oppressione, diventa “foriero di civiltà e di progresso”!

Finché il 1905, la “domenica di sangue”, conseguenza della batosta subita dallo Zar nella guerra contro il Giappone, riapre in Russia la storica lotta tra proletario e borghesia.

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