DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Sono trascorsi 200 anni dalla nascita di Karl Marx e 170 dalla pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista. Neanche la borghesia può ignorare quest'anniversario così importante. La fase controrivoluzionaria ormai in corso da generazioni e lo stadio di arretratezza delle lotte di classe consentono ai suoi apologeti ideologici di presentarci un Marx decisamente ammorbidito. Le “celebrazioni”, che siano di natura “scientifico-critica” o meri omaggi privi di contenuto, negano sempre il carattere rivoluzionario e unitario del marxismo e puntano, storicizzandolo, a privilegiarne i contributi “riconosciuti” di natura gnoseologica, metodologica, economico-teoretica, considerati come blocchi a sé stanti. A fronte di tutto ciò la difesa del suo carattere vivo e rivoluzionario implica la difesa dell' « invarianza » storica del marxismo.

 

Alla fine del 1847, al congresso londinese della Lega dei Comunisti, i delegati di Francia, Germania, Gran Bretagna, Belgio e Svizzera, nonché i membri londinesi della Lega a loro volta delegati da Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Polonia e USA, incaricarono Karl Marx di riassumere in un manifesto i risultati di una lunga discussione teorica. Marx si assunse questo compito in stretta collaborazione con Friedrich Engels. Più avanti Engels lo ricordò così: « Il secondo congresso ebbe luogo alla fine di novembre e ai primi di dicembre dello stesso anno. Fu presente anche Marx che difese in un dibattito prolungato – il congresso durò almeno dieci giorni – la nuova teoria. Ogni opposizione e ogni dubbio furono infine eliminati, i nuovi principi furono approvati all'unanimità e Marx ed io fummo incaricati di elaborare il Manifesto.“ (Engels, « Per la storia della Lega dei Comunisti », 1885, cfr. https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1885/lega-com.htm)

Il Manifesto del Partito Comunista era l'espressione teorica concentrata della lotta di classe proletaria che allora cominciava a calcare il palcoscenico della storia internazionale. Con la pubblicazione all'inizio del 1848 del Manifesto, tanto profondo quanto coerente, questa lotta poté contare su una direzione programmatica che rimane valida sino ad oggi. Essa si fonda su un determinismo dalle basi materialiste, a cui è estraneo ogni culto idealista della personalità. Nel Manifesto stesso si legge che « le proposizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto su idee, su princìpi inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo. Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di una esistente lotta di classi, cioè di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi » (https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1848/manifesto/mpc-2c.htm).

Per poter essere sviluppate, queste « proposizioni teoriche dei comunisti » esigevano la realtà storica del fermento rivoluzionario (manifestatosi nel 1848, quando il proletariato, tra le fiamme della rivoluzione borghese, si presentò sul campo di battaglia come un « attore » a sé stante); allo stesso modo, il destino della ricezione di questa teoria è stato subordinato agli alti e bassi dell'effettiva lotta per l'emancipazione proletaria: al momento del passaggio al XX secolo, si verificarono l'appiattimento e la progressiva volgarizzazione del marxismo ad opera degli apparati partitici della socialdemocrazia, che già covavano in sé i germi del revisionismo; successivamente, Lenin e i bolscevichi produssero una coerente difesa e applicazione rivoluzionaria del marxismo, che sfociò nella prima rivoluzione proletaria vittoriosa del 1917; a metà degli anni ’20 seguì la sua liquidazione controrivoluzionaria da parte dello stalinismo, che affiancò allo sviluppo borghese e capitalista della Russia la costruzione ideologica del « marxismo-leninismo », deformazione e falsificazione senza pari del marxismo. Da allora, questa « lettura » del  marxismo, che la borghesia riprende volentieri e che è stata modificata dozzine di volte da legioni di interpreti « critici », rappresenta in larga misura la concezione dominante.

La Sinistra « italiana » ha sostenuto fin da subito che questo sviluppo non esigesse un distacco critico dal marxismo, ma anzi una sua difesa basata su saldi principi. In seguito alla sua riorganizzazione dopo la seconda guerra mondiale, all'inizio degli anni ’50, il nostro partito diede inizio al lavoro di vera e propria restaurazione teorica dopo i disastri compiuti dalla controrivoluzione staliniana, sottolineando « l’'invarianza' storica del marxismo »: « Si adopera l'espressione 'marxismo' non nel senso di una dottrina scoperta o introdotta da Carlo Marx persona, ma per riferirsi alla dottrina che sorge col moderno proletariato industriale e lo 'accompagna' in tutto il corso di una rivoluzione sociale – e conserviamo il termine 'marxismo' malgrado il vasto campo di speculazione e di sfruttamento di esso da parte di una serie di movimenti antirivoluzionari. [...] La storia della sinistra marxista, del marxismo radicale, e più esattamente del marxismo, consiste nelle successive resistenze a tutte le 'ondate' del revisionismo che hanno attaccato vari lati della dottrina e del metodo, a partire dalla organica monolitica formazione che si può far collimare col 'Manifesto' del 1848 » (« La 'invarianza' storica del marxismo », Riunione di Milano, 7 settembre 1952, ora in Per l’organica sistemazione dei principi comunisti, Edizioni il programma comunista, 1973).

A questo punto, non pochi ci accuseranno di essere “inflessibili dogmatici“, magari ci rimprovereranno persino di non capire il « metodo dialettico » e sicuramente ci considereranno « non moderni ». Sì, ammettiamo volentieri di non dedurre le nostre certezze politiche dalle congiunture attuali: al contrario, il nostro lavoro si muove – proprio come quello di Marx – sul piano della storia. Ammettiamo volentieri di non avere l'ambizione intellettuale di “rinnovare” il marxismo : volerlo fare, infatti, equivarrebbe ad ammettere di essere incapaci di cogliere l'essenza del marxismo – e quest'incapacità la lasciamo volentieri ad altri.

Nel dibattito attualmente in corso a sinistra, « interpretare » il marxismo come un conglomerato teorico incompleto e costantemente bisognoso di attualizzazioni va a dir poco per la maggiore. Si veda ad esempio quanto scrive Karl Heinz Roth, che fu uno dei teorici dell'operaismo nella RFT, nell'allegato Marx 200 del quotidiano „Neues Deutschland“: « Per noi Marx è stato una miniera, ci ha fornito un'incredibile quantità di impulsi ed infatti le sue tesi centrali ci hanno sempre guidati. Ma al contempo abbiamo sempre considerato incompleto il suo pensiero ritenendo che egli stesso coltivasse un buon numero di dubbi. E gli studi più recenti su Marx non fanno che confermare questa nostra interpretazione » (ND, 28-29/4/2018) Sullo stesso giornale, poi, in una recensione della nuova biografia di Marx ad opera di Michael Heinrich, quest'indeterminatezza subisce un ulteriore rivolgimento dialettico: « Quel che ne è emerso è un Marx non finito, il cui pensiero critico è sempre stato in movimento, ha subito fratture, e si è rivolto verso nuove questioni, che a loro volta agivano su tale pensiero, mettendolo nuovamente in moto; di conseguenza anche la prassi politica di Marx cambiava, così come i suoi progetti di ricerca » (ND, 21-22/4/2018).

Che cosa derivi da questa concezione « aperta » e « moderna » di Marx lo dimostra un altro contributo dello stesso autore sul revisionista Eduard Bernstein: « Nello sforzo di esplorare le possibili applicazioni della teoria marxiana alla luce di condizioni che, dall'epoca della stesura del suo libro [Il Capitale del 1867], erano già sostanzialmente mutate, [Bernstein!] fu metodicamente, politicamente e intellettualmente più prossimo al vecchio [Marx] di tanti 'ipocriti guardiani della dottrina' […] » (ND, 29-30/4/2018).

Se si interpreta Marx come una miniera e ci si fissa sul metodo, si finisce per poter impiegare il marxismo così frammentato in qualsiasi impresa teorica : aberrazioni che non andrebbero neppure menzionate, come il marxismo di « impronta cinese » divulgato durante il « Congresso mondiale sul marxismo » tenutosi a Pechino nel 2015, o come il tentativo di strumentalizzare Marx per giustificare la politica della sinistra di governo. Quest'ultima operazione si riscontra per esempio in una “Lettera dei socialisti preoccupati al signor dottore di Treviri”, indirizzata fittiziamente a Marx, in cui i dottori riformisti della fondazione Rosa Luxemburg, una mangiatoia di cui usufruiscono anche molti appartenenti alla presunta sinistra radicale, non hanno esitato a mettere su carta stupidaggini come questa: « Il Suo fine, Dr. Marx, era una società in cui il libero sviluppo dei singoli contribuisse allo sviluppo della collettività […] Ciò richiede il controllo sociale dell'economia e degli investimenti, la democratizzazione delle decisioni in materia politica ed economica ». E « poiché nessun gruppo, neppure la classe operaia o i partiti, può dettare legge », oggi bisogna puntare « su alleanze ampie di tutte le forze democratiche ed umaniste », perché « trasformino i rapporti di forza politici e sociali all'interno dello Stato e promuovano la democrazia » (ND, 28-29/4/2018). Qui si vuole far credere, in tutta serietà, che Marx, parlando di comunismo (!) come libera associazione, avesse in mente i cittadini liberi e solidali di uno stato capitalista… Ma nello stesso Manifesto del Partito Comunista si legge che « Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe dominante attraverso una rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe, cioè abolisce le condizioni d'esistenza delle classi in genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe. Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra una associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti » (https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1848/manifesto/mpc-2c.htm).

Non ci meravigliano queste banali (e altrove anche più complesse) deformazioni del marxismo e neppure vogliamo inoltrarci in una produttiva gara sulle « corrette interpretazioni di Marx ». Come avevamo già evidenziato, la nascita e l'impatto della dottrina marxista non sono indipendenti dal reale sviluppo della lotta di classe. « Una nuova dottrina non può apparire in qualunque momento storico », scrivevamo nel testo « La 'invarianza' storica del marxismo ». Il manifestarsi della lotta di classe proletaria e delle prime crisi economiche, evidenti segni premonitori del fatto che il capitalismo aveva ormai esaurito la sua funzione progressiva nella storia ed era diventato superfluo e dannoso, ha fornito materiale sufficiente perché la dottrina marxista potesse « nascere in forma monolitica ad un'epoca cruciale » (ibidem). Già il Manifesto mette la nascita della dottrina comunista in relazione a queste condizioni materiali, mentre il socialismo utopistico, ad esempio, viene ricondotto alla causa materiale dell'arretratezza del capitalismo e delle lotte di classe e si constata che « l'importanza del socialismo e comunismo critico utopistico sta in rapporto inverso allo sviluppo storico. Nella stessa misura che si sviluppa e prende forma la lotta fra le classi, perde ogni valore pratico, ogni giustificazione teorica quell'immaginario sollevarsi al di sopra di essa, quella lotta immaginaria contro di essa.“ (https://www.marxists.org/deutsch/archiv/marx-engels/1848/manifest/3-sozkomm.htm#k33).

La critica di Marx ed Engels al socialismo utopistico, così come quella al « socialismo reazionario » e al « socialismo borghese », contenuta nel Manifesto, dimostra anche che l'insegnamento comunista – una volta formatosi – assunse subito la posizione antagonista che pertiene « ad una ben definita e compatta scuola e nel senso storico ad un ben definito partito ». Sempre in « La ‘invarianza’ storica del marxismo », la convinzione deviata per cui il marxismo sarebbe una teoria in « continua elaborazione storica », che si modificherebbe pertanto in base al corso degli eventi e agli insegnamenti che se ne devono trarre, viene giustamente rappresentata come l'espressione di borghesi ubbie rispetto all'ininterrotto progresso della civiltà, come « pettegolo supporre ogni generazione ed ogni stagione della moda intellettuale più potente della precedente ».

La difesa teorica dell'invarianza del marxismo non corrisponde ad un atteggiamento di chiusura rispetto allo sviluppo concreto della lotta di classe. Al contrario. Solo su queste fondamenta le esperienze precisanti della lotta di classe possono inserirsi nel programma comunista. Ed è il partito comunista storico e formale ad incarnare quest'invarianza. Già nel testo del 1952, il nostro partito si schierò contro la convinzione, che sempre si ripresenta, per cui il programma andrebbe « modernizzato » ad opera di vari circoli (o di un ambiente, di un milieu): « Aberrazione è poi che tale compito sia assunto da gruppetti di effettivi derisori e, peggio, risolto con una libera discussione scimmiottante lillipuzianamente il borghese parlamentarismo e il famoso urto delle opinioni singole, il che non è nuovissima risorsa ma antica scempiaggine ».

Anche se, da allora, lo sviluppo del Partito Comunista Internazionale ha avuto diversi alti e bassi, questa constatazione del 1952 continua a avere grande importanza anche per la nostra situazione attuale: « Questo è un momento di depressione massima della curva del potenziale rivoluzionario e quindi è lontano mezzi secoli da quelli adatti al parto di originali teorie storiche. In tale momento privo di vicine prospettive di un grande sommovimento sociale non solo è un dato logico della situazione la politica disgregazione della classe proletaria mondiale; ma è logico che siano gruppi piccoli a saper mantenere il filo conduttore storico del grande corso rivoluzionario, teso come grande arco tra due rivoluzioni sociali, alla condizione che tali gruppi mostrino di nulla voler diffondere di originale e di restare strettamente attaccati alle formulazioni tradizionali del marxismo » (sempre « La 'invarianza storica del marxismo »).

Così, anche in questi tempi impegnativi e difficili, il nostro ottimismo storico è intatto e manteniamo la rotta verso il comunismo delineata già 170 anni fa!

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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