DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il bitcoin è una moneta digitale distribuita e generata da una rete decentralizzata 'peer to peer'. Questo significa che non esiste alcuna banca o autorità centrale che stampa moneta e influenza il valore di un bitcoin che invece è affidato solo alle leggi della domanda e dell'offerta. Non c'è un ente centrale ma un database distribuito che traccia le transazioni, e sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali come la generazione di nuova moneta e l'attribuzione di proprietà dei bitcoin.

(Il Sole-24 ore online, 16 settembre 2017)

Dunque dietro questa cosiddetta criptomoneta non c'è alcuna banca centrale che ne garantisca la scambiabilità con qualsivoglia merce o la conversione in moneta legalmente riconosciuta. Non avendo alcuna rappresentazione fisica, se non la quantità di bit che la rappresenta nei computer (coniata in bit, appunto), questa moneta sembrerebbe esprimere una tappa ulteriore nel processo, già avanzato, di smaterializzazione del denaro indotto dallo sviluppo capitalistico. L'ancoraggio all'oro ha rappresentato a lungo la garanzia che le banconote emesse dalle banche rappresentassero effettivamente la cifra stampata su un pezzo di carta privo di valore intrinseco; quando le banche centrali hanno assunto il monopolio dell'emissione, questa si è completamente svincolata dall'obbligo della conversione sul mercato interno, mentre a livello internazionale le bilance dei pagamenti si compensavano con il trasferimento dell'oro che manteneva la sua funzione di moneta mondiale. Questo sistema è stato, in apparenza, completamente superato con la dichiarazione di inconvertibilità dollaro/oro (1971). Da allora, il denaro si muove liberamente sui mercati mondiali e i paesi con la bilancia dei pagamenti in attivo accumulano riserve monetarie in forma di valute accettate negli scambi internazionali, con il dollaro a farla da padrone.

Che cosa c'è dietro il dollarone, da farne un pezzo di carta così ambito da riempire i forzieri degli Stati? C'è la credibilità della Banca centrale USA, e dietro le virtù di questa c'è la potenza economica e politica USA, ben rappresentata dalle assai materiali dotazioni in bombardieri, missili nucleari e soprattutto portaerei qua e là nel mondo.

In realtà, sappiamo che con lo sviluppo del credito la possibilità di emissione di moneta dipende solo in parte dalle banche centrali, le quali all'occorrenza sono indotte a nuove massicce emissioni per sostenere il valore dell’enorme massa di crediti concessi e di prestiti contratti entro la inestricabile rete di relazioni tra banche e soggetti economici pubblici e privati. Tutto ciò è il risultato del processo di liberalizzazione avviato proprio a partire dalla dichiarazione di inconvertibilità, che ha posto le basi per l'espansione della massa monetaria globale a sostegno di uno sviluppo decentrato che permettesse una sempre più estesa valorizzazione del capitale fuori dai confini dai Paesi di vecchia industrializzazione.

Come se l'enorme massa di denaro variamente generato non bastasse, ora salgono alla ribalta queste “criptovalute”, che a detta dei sostenitori più o meno interessati costituirebbero la grande novità in campo monetario, se non addirittura il futuro prossimo della moneta. La grande novità starebbe proprio nel fatto che dietro il bitcoin e simili non v'è la garanzia di alcuna banca centrale, e pertanto esso sarebbe espressione di una emissione di moneta finalmente libera dal monopolio dello Stato emittente (ma non libera dal signoraggio, che nel presente caso sarebbe rappresentato dal compenso in bitcoin dei cosiddetti miners). Su questo aspetto, le fantasticherie libertarie sulla potenzialità della rete di creare spazi in cui gli individui si affranchino dal potere politico ed economico si sposano con le opportunità di fare affari senza dover rispettare regole o, quel che è peggio, pagare tasse. Una nuova manna per la vasta platea degli speculatori, nella quale alla fine prevalgono i grandi marpioni, e non certo gli smanettoni con velleità libertarie. Nel caso delle “criptovalute”, l'emissione “democratica” di moneta, controllata dalla piattaforma di rete, si porrebbe in alternativa a quella del famigerato Stato sovrano.

A quanto ci risulta, il bitcoin nasce all'interno del progetto di una rete di computers collegati tra loro (blockchain), finalizzato a garantire operazioni di acquisti, vendite, scambi (peer to peer) e ricerche nel totale anonimato. La funzione originaria del bitcoin era quella di remunerare quanti si impegnavano a mantenere l'efficienza e la sicurezza del sistema da intromissioni esterne. La blockchain risulta così essere un sistema autonomo con una propria moneta fondata sulla fiducia dei partecipanti nei confronti del sistema per ciò che riguarda affidabilità e criteri della sua generazione.

I cosiddetti miners hanno il compito di “convalidare tutti i pagamenti e le transazioni delle criptovalute e devono riunirli in pacchetti che vengono chiamati 'blocchi'” (Il Sole24ore, 3 marzo 2018). Il “minatore” che per primo convalida un blocco ottiene in ricompensa le commissioni dei pagamenti del blocco, più 12,5 bitcoin generati da zero. In questo modo, la massa totale del valore dei bitcoin corrisponde al totale delle passate transazioni in criptomoneta più la creazione di nuova moneta per remunerare l'attività di convalida dei miners. Anche ammettendo un qualche fondamento alle fantasie libertarie, quest’idea di una moneta libera dal controllo centralizzato dello Stato non esce dai confini angusti della società di classe. Per quanto “democratico”, il nuovo denaro è pur sempre denaro, o almeno ambisce a diventarlo. In quanto tale, la sua esistenza rimane indissolubilmente legata al valore, e pertanto a una società fondata sullo scambio mercantile che, a un dato livello di sviluppo della produzione sociale, non può che basarsi sullo sfruttamento del lavoro umano.

Il denaro – Marx insegna – non è una “cosa”, ma, in quanto espressione del valore incarna un rapporto sociale: “Il presupposto elementare della società borghese è che il lavoro produce immediatamente il valore di scambio, ossia il denaro; e che quindi anche il denaro compra immediatamente il lavoro, e quindi l'operaio, soltanto se egli stesso, nello scambio, aliena la sua attività.” In altre parole, se esiste denaro (in qualunque forma), esso non può che essere espressione della legge del valore; se esiste il valore, allora esiste nell’attuale modo di produzione l’appropriazione fraudolenta di una parte del valore prodotto socialmente. E se tutto questo, come fenomeno, esiste, se ne deduce che siamo ancora immersi in una società di sfruttamento, dove una gran massa di valore prodotto dai proletari viene espropriata dai produttori e drenata ai capitalisti e al capitale.

Su queste premesse, se il denaro, qualunque forma assuma, è espressione di una società mercantile e di classe, il fenomeno delle criptomonete, anche se nato come espressione di tendenze antiautoritarie, è funzionale agli interessi del capitale. In particolare, nell'epoca del dominio pervasivo del capitale finanziario, è destinato a essere fagocitato nel processo, ben espresso nell'ideologia neoliberista, che tende a sottrarre allo Stato settori sempre più ampi di attività. L'estensione dell'invadenza degli interessi privati – del capitale privato nelle forme associate che assume oggi – all'emissione di moneta si prefigura come l'ultimo boccone della bulimia privatizzatrice e liberalizzatrice, che tende a piegare ogni aspetto dell'esistenza al profitto nelle sue varie espressioni.

Posto che bitcoin (e simili) ambiscono a diventare denaro a tutti gli effetti, e quindi a concorrere alla mistificazione di un equivalente generale che occulta il lavoro non pagato come condizione fondante della produzione, in realtà ad oggi non ne hanno i requisiti. Come equivalente generale per lo scambio di merci sono utilizzati in ambiti molto circoscritti, mentre come misura del valore sono soggetti ad alti e bassi da ottovolante, e questo aspetto ne compromette anche la funzione di riserva di valore: dunque, ne compromette la possibilità di essere tesaurizzati. Nondimeno funzionano benissimo come mezzo di pagamento e dunque si prestano perfettamente come strumento di speculazione, specie da quando la Fed ne ha accettato la quotazione in borsa.

Il meccanismo è elementare: si acquistano bitcoin con la scommessa di un loro apprezzamento e la profezia si … auto-avvera: finché gli acquisti prevalgono sulle vendite il valore dei bitcoin aumenta. Poi viene il momento del realizzo, della conversione della moneta (fasulla) in denaro (espresso in divise che hanno alle spalle le banche centrali, meglio se con la faccia di George Washington in bella mostra). In quei frangenti, i furboni si riempiono le tasche di soldi veri ai danni dei fessi ultimi arrivati. Subentra la caduta delle quotazioni, cui può seguire un rimbalzo se vi sono le condizioni per una ripresa dei movimenti speculativi. Tutti questi movimenti possono avvenire anche allo scoperto, senza l'acquisto effettivo dell'asset in gioco, o a debito. Se i grandi speculatori agiscono a leva, il 60% dei piccoli investitori americani speculano indebitandosi con carte di credito, comprese le famigerate revolving, che permettono di andare allegramente in rosso. Finché il valore delle criptovalute cresceva, gli indebitati sono stati nelle condizioni di rimborsare; poi, quando i grossi investitori che muovono i giochi hanno deciso di realizzare, hanno recitato come d'uso la parte della vittima sacrificale.

Il valore delle criptovalute è estremamente volatile: nel corso di un anno (da febbraio '17 a dicembre), la loro capitalizzazione di borsa è salita da 20 miliardollari al picco di 800 miliardi, per poi scendere a 500 miliardi durante la crisi borsistica dei primi di febbraio di quest'anno. Negli stessi periodi, il valore di un bitcoin è passato da circa 1100$ a 20.000$, per poi precipitare a 6.000 e risalire a 10.000 e oltre. Un'altalena che per una moneta normale corrisponderebbe a una deflazione del 900% in un anno.

Tutto ciò ci fa concludere che le criptovalute sono assets che in questo momento più di altri attraggono capitali speculativi: ma sono ancora ben lontane dal proporsi come monete alternative a quelle a corso legale. Ciò non toglie che all'interno di determinati circuiti, più o meno opachi, possano già oggi svolgere la funzione di denaro a tutti gli effetti. Sotto questo aspetto, l'anonimato degli utilizzatori della catena, garantito dalla crittografia, tutela tanto lo smanettone di cui sopra quanto il criminale che usa il sistema per riciclare denaro sporco o trasferire mercanzia sospetta, e preserva lo speculatore “legale” borghese dalla fastidiosa attenzione del fisco; e se consideriamo che i capitali sono per lo più in mano ai borghesi e alle organizzazioni criminali, si capisce bene che questi ultimi due soggetti brindano felici alla dabbenaggine dei poveri “antiautoritari” stile Anonymous. Si potrebbe obiettare che ogni strumento è buono o cattivo in funzione dell'uso che se ne fa: ma quando lo strumento ha delle prospettive di utilizzo economicamente promettenti, ci puoi giurare che a prenderne il controllo sono gruppi che lo usano per trarne profitti e potere. Lo stesso è accaduto con il Web, di cui originariamente si celebravano le potenzialità e che oggi è in mano a poche grandi corporations che ne hanno fatto uno strumento micidiale di controllo, di condizionamento sociale e di sfruttamento del lavoro a livelli inauditi. Non è un caso che, oggi, soggetti come Google e i grandi fondi di investimento abbiano messo gli occhi sulle società di miners che generano criptovalute.

Al momento, le criptovalute rappresentano dunque, sui mercati finanziari, una nuova occasione di investimento speculativo. Ma tutte queste multiformi rappresentazioni del denaro, nel momento in cui subentra una crisi, tendono a essere convertite in denaro effettivo garantito da una solida banca centrale, rappresentante di una forza economica e politico-militare in grado di garantire il valore di quella moneta. Nella generale fuga dai titoli di debito, i bitcoin e tutte le consimili rappresentazioni criptiche del valore sarebbero tra i primi a essere brutalmente svelati nella loro vera essenza. Perfino la moneta più solida, in presenza di una generale crisi che dalla finanza si estenda alla produzione cercherà l'ancoraggio nell'oro, la manifestazione più materiale e concreta, per unanime consenso, del valore. Lo conferma il fatto che le principali banche centrali europee, quelle di Cina, Russia ed altri emergenti, dalla crisi del 2008 in poi sono impegnate a far rientrare nei propri forzieri l'oro depositato presso la Fed e la Bank of England. Che questo rientro sia in corso senza alcun clamore mediatico rafforza l'ipotesi che si tratti della manifestazione fattiva di una crescente sfiducia nell'attuale sistema monetario mondiale centrato sul dollaro – causa l'insostenibilità del deficit con l'estero e l'enorme debito americano – e di una rivalutazione dell'oro come garante ultimo delle relazioni monetarie ed economiche internazionali. Assistiamo così, in questi tempi di incertezza e confusione massime, accanto a nuove forme della smaterializzazione del denaro quali sono i bitcoin, a segnali di tendenza a un nuovo gold standard, effetto della crescente sfiducia delle maggiori banche centrali nei confronti della Fed, cuore dell'attuale sistema monetario internazionale.

Qualcuno si è chiesto se il paradosso non sia destinato a risolversi in una nuova sintesi: “nel futuro del metallo giallo è in incubazione un ruolo-guida nella rivoluzione finanziaria del denaro virtuale e delle Blockchain? Insomma, siamo alla vigilia di un nuovo Gold Standard 2.0?” (A. Plateroti). In effetti, lo stesso Mario Draghi, nel condannare le criptomonete come oggetto di speculazione, ha elogiato le modalità di generazione di moneta proprie delle blockchains. Una generazione programmata che ne presuppone la prevedibilità nel tempo costituirebbe un fattore di stabilità monetaria, nel momento in cui se ne facciano garanti le principali banche centrali. Alla blockchain sovrana potrebbe aderire un'area estesa di Stati con un'unica moneta virtuale destinata ad affossare l'attuale ruolo del dollaro. La convertibilità in oro della nuova bitmoneta chiuderebbe il cerchio. Insomma, la creazione maturata nei cervelli di smanettoni genialoidi potrebbe rivelarsi lo strumento capace di scardinare il semisecolare dominio del dollaro! Ma certo non di decretare o contribuire alla fine del plurisecolare dominio del capitalismo!

Per ora sono soltanto fantasticherie: ma chissà se sono davvero prive di fondamento, in un panorama mondiale dove stanno maturando sconvolgimenti degli attuali precari equilibri a tutti i livelli, effetto dell'assiduo e criptico lavoro di scavo della nostra vecchia talpa…

Nel frattempo le principali banche – non potendo rischiare di essere tagliate fuori da un processo di disintermediazione analogo a quello che, via Web, ha sottratto quote di mercato alle telecomunicazioni e al commercio al dettaglio – stanno studiando le prospettive delle blockchains e le opportunità che possono offrire in campo monetario e finanziario. Un indubbio vantaggio delle piattaforme che muovono criptovaluta è il risparmio dei costi delle transazioni, delle commissioni, ecc... Alla fin fine, tutta la potenzialità di questa tecnologia, come avviene nelle fabbriche automatizzate, finisce non per liberare l'essere umano dalla fatica e dal controllo, ma per portarlo a uno stato ancora peggiore di dipendenza e oppressione. In compenso abbatte i costi di esercizio. A tanto si riduce la “rivoluzione” delle criprovalute, come per tutte le “rivoluzioni” a cui il capitale impone il suo marchio.

In conclusione, se il bitcoin o chi per esso non può ancora dirsi denaro a pieno titolo, non è escluso che possa diventarlo sulla spinta delle innovazioni tecnologiche e soprattutto delle contraddizioni che attualmente segnano il sistema monetario e finanziario mondiale. Ma, quale ne sia il destino, non potrà sottrarsi alle contraddizioni inerenti al denaro in quanto rapporto sociale: “Le varie forme del denaro possono anche corrispondere meglio alla produzione sociale a tutti i livelli; e l'una può eliminare inconvenienti per i quali l'altra non è matura; ma nessuna, finché esse rimangono forme del denaro, e finché il denaro rimane un rapporto di produzione essenziale, può togliere le contraddizioni inerenti al rapporto del denaro: può soltanto rappresentarle in una forma o nell'altra” (Marx).

Breve bibliografia

P. Soldavini, “La moneta si disintermedia”, Nova Il Sole24ore, 18 maggio 2016

A. Plateroti, “La squadra dei Goldfinger accumula munizioni d’oro pronte all’uso”, Il Sole24ore, 21 dicembre 2016

A. Mincuzzi, “Gondo, nella miniera delle criptovalute”, Il Sole24ore, 3 marzo 2018

“Il bitcoin potrebbe diventare l'arma segreta dell'antipolitica”, La Stampa, 14 febbraio 2018

V. Lops, “Bitcoin, sale l'allarme in Europa”, Il Sole24ore, 13 febbraio 2018

“Perché crollano le borse. Intervista a R. Malnati (Ten Sigma), esperto di VIX, l'indice della volatilità dei mercati finanziari”. Due di denari, Radio24, 6 febbraio 2018.

K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, vol.I, La Nuova Italia, 1968, p.53, p. 187.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.