DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Non andremo a visitare il Museo dell’olocausto a Berlino o a Gerusalemme, non andremo a Hiroshima o a Nagasaki in Giappone a rivedere gli effetti della bomba atomica sulla popolazione e non scomoderemo i mille musei dell’orrore sparsi in tutto il mondo che resuscitano le immagini di milioni e milioni di uccisi, civili e militari del primo e del secondo conflitto mondiale. Ci recheremo invece idealmente a Buenos Aires, al Padillon Central del “Museo della Memoria” aperto nella sede della “Escuela de Mecànica de la Armada” nel 2011, sotto la presidenza di Cristina Kirchner.

 

Qui, grazie alla sovraesposizione di “memorie”, è condannato all’oblio più totale uno dei genocidi più efferati della repressione borghese: quello degli anni della dittatura militare argentina. Qui, il ritardo nel tornar sulla scena del proletariato permette alla borghesia democratica di mettere in bella mostra l’assassinio di massa. Qui, colpisce gli occhi la vetrata impolverata riempita da centinaia e centinaia di fotografie in bianco e nero, i volti degli uccisi e torturati. Sono le effigie di coloro che morirono sotto la dura repressione della dittatura statale, una tremenda iconografia di volti giovanili, di tanti militanti politici, tessere cancellate dalla feroce repressione, che si abbatté in Argentina tra il 1974 e il 1983. Lo scopo – raccontano i carnefici – fu quello di disperdere, mettendo fine brutalmente alle proteste, i dissensi sociali e le forme di lotta che si erano estese in ogni ambiente politico e sindacale ma soprattutto di annientare sul nascere i semi del comunismo. Lo stato di polizia inaugurò il terrorismo borghese con la formazione dell'Alleanza Anticomunista Argentina (AAA) e del corporativismo sindacale e politico peronista.

"Nunca Mas” (“mai più”) gridarono, a massacro momentaneamente interrotto, le associazioni mondiali di tutela dei diritti umani. “Nunca Mas”? Le belle mascherine democratiche ricordano che non ci fu un “controllo legale” sulle attività della polizia federale, sulle forze armate (esercito, marina, aviazione), sulle squadre d’azione, sui corpi speciali, sulle unità antisovversive, che non si impedì la “violazione dei diritti umani e civili”, la “privazione della libertà”, l’utilizzo dei metodi squadristi, la tortura, gli omicidi. Mancò forse il “controllo giuridico democratico”, il “consenso collettivo”? Non fu chiaro il grido di dolore delle Madres de Plaza de Mayo? Migliaia furono le persone incarcerate: 2300 furono gli omicidi politici e circa 30.000 le persone scomparse (“desaparecidos”). Le anime buone ricordano con paradossale ipocrisia che i generali assassini Videla, Viola, Galtieri, Bignone e sgherri al seguito “si suicidarono politicamente nella disastrosa guerra delle Falkland”, come scrive certo G. Pedullà in “Lettera da Buenos Aires” (Il Sole 24 Ore del 17/9). Da questa caserma, passarono, e qui subirono l’orrore, 3000 dei 30.000 desaparecidos: non per nulla si chiama “Spazio della Memoria e dei Diritti Umani” e non è certamente casuale che l’articolista esalti “la Grande Vittoria della rinata Argentina democratica. Finge di non sapere, e soprattutto vuole che si dimentichi, che “il Parlamento approvò una serie di colpi di spugna che garantirono a quasi tutti i colpevoli la completa immunità, che ebbe il suo culmine nell’amnistia voluta dal presidente Menem nel 1990”. Una documentazione sulla sorte dei principali responsabili, rintracciabile su Internet, svela la pena “subita” da costoro: l’amnistia, gli arresti domiciliari, i periodi brevissimi di carcere, i motivi di salute, tutti certificati dalla faccia compiacente della democrazia. I generali non furono impiccati, fucilati, garrotati, ghigliottinati, lanciati vivi dagli aerei: furono liberati!!

Questo luogo di detenzione per il presidente Menem doveva essere trasformato in un Parco della Riconciliazione, in perfetta linea con le tesi dei torturatori e con la formulazione della condanna ufficiale emessa dalla Magistratura, che vedeva negli avvenimenti degli anni settanta una sorta di guerra combattuta tra forze pari, una forza sovversiva contro l’esercito garanzia di sicurezza della Patria. E che cosa c’è di più sacro di un esercito di macellai in guerra dietro una bandiera nazionale e di più pauroso per gli interessi della borghesia della lotta di classe? Non si trattò di una “guerra sporca”, come eufemisticamente fu chiamata, ma di un vero e proprio assassinio premeditato e organizzato. L’articolista di cui sopra, innalzandosi in un volo pindarico, scrive che in questo inferno si potrebbe far confusione tra i volti dei torturati e torturatori: “Questi funzionari imbolsiti e catafratti nelle loro uniformi sembrano l’incarnazione stessa della banalità del male”. Ma guardando bene “si comincia a scoprire più di un persecutore che potrebbe figurare senza problemi tra i perseguitati. Non c’è un tipo fisico del mostro: neanche qui. E se un archivista birichino si fosse divertito a scambiare alcuni dei negativi saremmo cascati tutti nel suo scherzo”. Letteratura? La forma letteraria trasforma un’orribile caserma del terrore in un luogo modernissimo in cui ogni traccia d’odore di morte è cancellato. Pensava forse l’autore di essere in una corsia d’ospedale o di essere in una sala cinematografica a vedere un film dell’orrore? L’assenza stessa d’ogni traccia umana (non lo sa?) è diventata da tempo un’opera d’arte: i campi di sterminio in Germania, in Polonia etc., sono luoghi straordinariamente immacolati, le camere a gas sono pulite a specchio come delle lavatrici appena comprate, e dunque le guide accompagnatrici sono inappuntabili, cosi come i loculi dei reclusi, i video e le testimonianze in cui le donne, fatte partorire, private dei figli e drogate vengono lanciate dagli aerei nei “voli della morte”. La caserma è diventato un vero Museo d’Avanguardia, il materiale usato è quello dei visi immobilizzati in un eterno presente, il presentismo fotografico. Mostruose le complicità fuori dall’esercito tra la gente comune, la piccola borghesia, le classi medie, mostruose le responsabilità delle organizzazioni politiche di sinistra, sindacati e partiti, pieno il sostegno della WTO (World Trade Organization) per garantire l’organizzazione economica dell’affare politico. A poca distanza la repressione cilena di Pinochet. L’intreccio mortale economico-civile-militare non fu solo una definizione di quella repressione. La violenza scomparve poi senza lasciare traccia, l’ordine politico, economico e sociale fece il deserto attorno sé. La vetrata fu eretta perché si potesse vedere l’orrore e divenire un incubo per i sopravvissuti, a memoria eterna. E’ questo il testamento che ci ha lasciato quella generazione.

Ma c’è un terrore smisurato che agita le notti della borghesia, quello del comunismo. Ricordate? “Uno spettro s’aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo […] Quale è il partito d’opposizione che non sia stato tacciato di comunista dai suoi avversari che si trovano al potere? […] Il comunismo è ormai riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee. E’ ormai tempo che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze e che alla fiaba dello spettro del comunismo contrappongano un Manifesto del partito”

***

Leggiamo ora, per finire, una più che eloquente dichiarazione del Partito comunista argentino che evidenzia le sue responsabilità nella repressione militare: l’abbiamo riportata da un articolo del n.17/1978 de “Il programma comunista” (“Nuove prodezze del Partito Comunista Argentino”), che l’aveva tratta a sua volta dalla rivista Inprecor, del 6 luglio dello stesso anno. Essa dice:

“Il messaggio del presidente Videla del 29 marzo rappresenta un passo avanti in confronto al suo intervento alla Camera…Noi abbiamo già dato un giudizio positivo di questo discorso che ha confermato la volontà di un dialogo in vista di una democratizzazione del paese. Esso apre la via ad una tappa del processo politico già iniziato, tappa di uno scambio di idee fruttuoso fra militari e civili sul prossimo avvenire del paese e sulle sue prospettive. L’idea chiave di questo messaggio è la conclusione di un accordo fra civili e militari. Un volta di più noi riaffermiamo il nostro appoggio a questo accordo che consideriamo come un imperativo storico. I fatti mostrano che per l’Argentina molti dei cui problemi sono rimasti insoluti per decenni, non esiste altra via. A nostro avviso, il fatto che le Forze Armate abbiano espresso la volontà di contribuire all’instaurazione della democrazia pluralista e all’applicazione di una politica estera indipendente, riveste un grande significato. Esse hanno rinunciato, ed è un fatto importante, ai metodi corporativi…

“In uno dei suoi interventi, il presidente Videla ha parlato del diritto alla ‘diversità di opinioni’ e dichiarato che ‘il tempo del silenzio è finito’. E’ questo che occorre per costruire una democrazia nuova. Non si possono chiudere gli occhi sul fatto che esistono forze che minacciano la tranquillità del paese e l’instaurazione di una democrazia rinnovata. Respingendo il terrorismo dell’estrema sinistra, noi indichiamo nello stesso tempo il pericolo costituito dell’esistenza di bande fasciste e di ambienti reazionari. Essi tramano complotti al fine di instaurare una dittatura aperta. Noi condividiamo l’opinione del generale Videla secondo cui l’Argentina non ha inclinazioni naziste e che bisogna distinguere fra la sovversione e il campo del pensiero politico nelle sue differenti manifestazioni scientifiche ed ideologiche. Ecco perché un fatto attira la nostra attenzione. Il messaggio del presidente pubblicato nella rivista ‘Vision’ del 28 marzo ‘77 non allude ad una questione estremamente importante, cioè dei detenuti e dei dispersi. Se non si risolve questo problema la normalizzazione del paese ne risentirà”.

E’ questo il vero Museo degli Orrori!

Partito comunista internazionale

                                                                          (il programma comunista)


 

Articoli sull’Argentina usciti dal 1975 al 1990 su “Il programma comunista”

  • Argentina all'ora del peronismo - 1/1975

  • Un primo bilancio - 18/1975

  • Una democrazia dai fianchi di ferro - 3/1976

  • Dal regime democratico-costituzionale

  • a quello militare poliziesco (e viceversa) - 7/1976

  • Dall'Argentina un campanello d'allarme - 21/1976

  • Viva, dopotutto, i militati (secondo il PC argentino) - 2/1977

  • Quadrante internazionale: ancora sulla via argentina - 12/ 1977

  • Un malinconico tramonto (ERP) - 16/1977

  • Onore ai proletari in lotta in tutto il mondo - 23/1977

  • Il PC argentino sempre più al servizio dei militari - 14/1978

  • Nuove prodezze del PC argentino - 17/1978

  • Argentina: di fronte alle migliaia di scomparsi - 20/1979

  • Oltranzismo imperialistico alla sbarra (Argentina- Falkland) - 8/1982

  • Falkland e il proletariato - 9/1982

  • Lettera dall' Argentina: Per la rottura dell'Unione Sacra - 10/1982

  • A proposito della guerra delle Falkland - 11/1982

  • Le conseguenze della strana guerra delle Falkland - 13/1982

  • Situazione argentina e compiti dei comunisti - 5/1990

 

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